IRAN: Elezioni presidenziali, sarà probabilmente Ahmadinejad lo sfidante di Rohani
Il Consiglio dei Guardiani della Repubblica Islamica ha stabilito che le prossime elezioni presidenziali in Iran si terranno il 19 maggio 2017. Si tratta di un banco di prova di fondamentale importanza per Hassan Rohani, che aspira ad ottenere un secondo mandato, per raccogliere i frutti della sua politica che ha portato alla fine delle sanzioni internazionali contro il suo paese causate dalla disputa sul nucleare.
La rielezione di Rohani, che nel 2013 fu eletto al primo turno, potrebbe apparire scontata, tanto più che non è mai accaduto, da quando lo Scià fu costretto all’esilio dopo la rivoluzione di Khomeini, che un Presidente della Repubblica uscente in Iran non abbia ottenuto la riconferma.
In realtà la situazione non è così semplice.
La fine del regime sanzionatorio aveva prodotto nel paese grandi aspettative, alimentate anche dalla propaganda del governo e, in particolare, dalla promessa che presto l’accordo con l’Occidente avrebbe determinato il calo dell’inflazione, portandola dopo anni da due ad una cifra percentuale. Al contrario il costo della vita è notevolmente aumentato, con gravi ripercussioni sulla condizione economica dei ceti medio-bassi. A questo dato va aggiunto il fatto che il blocco sociale che ha sostenuto Rohani alle scorse elezioni ha reclamato nel corso del periodo della sua presidenza i dividendi del risultato elettorale. Trattandosi soprattutto di elementi provenienti dalle élites economiche e religiose, oltre che di alti funzionari della Pubblica Amministrazione, Rohani ha orientato la sua politica in senso liberista, abbandonando molte misure ad alto impatto sociale prese dal suo predecessore Mahmud Ahmadinejad. Il riferimento riguarda in particolare i sussidi a favore dei ceti meno abbienti, drasticamente ridotti, e la distribuzione di alloggi popolari a canone agevolato.
In provincia e tra le classi sociali più povere la popolarità del presidente in carica è dunque in sensibile calo. Per ora la fine dell’embargo internazionale ha prodotto effetti positivi significativi soltanto a vantaggio della grande industria e della finanza. La gente potrà percepire sensibili miglioramenti delle sue condizioni di vita soltanto sul medio-lungo termine.
Il diffuso malcontento, però, fatica a trovare chi lo possa interpretare politicamente e rappresentare elettoralmente.
Allo stato attuale, infatti, l’unica alternativa credibile a Rohani è rappresentata proprio dall’ex presidente Ahmadinejad. Questi ha già annunciato la sua intenzione di ricandidarsi, ma gli ostacoli distribuiti lungo il suo cammino non sono pochi.
Innanzitutto si rincorrono voci circa un possibile scandalo che potrebbe investire lui personalmente o qualcuno del suo entourage e che potrebbero indurre il Consiglio dei Guardiani ha bocciarne la candidatura per indegnità. Ma seppure questo non avvenisse – Ahmadinejad gode ancora di un’ampia popolarità in tutto il paese e i suoi sostenitori non mancherebbero di contestare duramente una simile decisione – le resistenze nei suoi confronti sono molte e tutte provenienti da ambienti che contano.
Innanzitutto Ahmadinejad si è alienato in modo definitivo le simpatie della guida suprema Ali Khamenei, la cui opinione non ha solo una grossa influenza sul clero, ma anche su larghi strati della popolazione.
A ciò va aggiunta la circostanza che vede oramai Ahmadinejad sostanzialmente sprovvisto di un partito di riferimento. Il blocco conservatore che un tempo lo aveva sostenuto è ormai diviso in numerose fazioni, molte delle quali gli hanno voltato le spalle. Una parte consistente di essi è oramai apertamente o segretamente schierata con Rohani: sono stati numerosi infatti i parlamentari di destra che hanno sostenuto la sua elezione nel Consiglio degli Esperti, un organismo molto importante che tra l’altro ha il compito di indicare la Guida Suprema.
La verità è che in questo momento Ahmadinejad è alternativo tanto ai conservatori, quanto ai riformisti. Sta dando al suo discorso pubblico un taglio fortemente populista e in un suo recente discorso ha accusato l’establishment di aver ingannato il popolo iraniano a proposito degli accordi internazionali, sottolineando come allo stato gli Stati Uniti ed altri paesi non abbiano ancora dato seguito a quanto stabilito. Il che risponde al vero.
Se Rohani ed Ahmadinejad sono i due competitor principali, c’è tuttavia un terzo incomodo, il sindaco di Teheran Mohammad Bagher Ghalibaf. E’ incomodo, in realtà, soprattutto per Ahmadinejad. Ghalibaf è, infatti, un conservatore ed un ex capo militare. Nel 2013 fu il principale sfidante di Rohani, ma non riuscì nemmeno a raggiungere il ballottaggio. Essendo un ex comandante dei Pasdaran è chiaro che sottrarrà voti soprattutto all’ex Capo dello Stato. D’altra parte i Pasdaran, una lobby molto forte nel paese, sono anch’essi assai divisi al loro interno.
In questo quadro, Rohani, nonostante la diffusa insoddisfazione verso il suo operato, resta il favorito. Percepito in Occidente come un politico centrista, anche grazie alle sue non comuni doti di manovratore e diplomatico che gli consentono di aggregare tanto a destra, quanto a sinistra, di fatto Rohani deve essere considerato come un riformista. Alle sue spalle è schierato in blocco il clan di Rafsanjani, il vecchio leader della “sinistra progressista”, che gode di un ampio seguito nella buona borghesia persiana e tra i potentati economici del paese. La coesione e l’ampiezza del suo schieramento potrebbe, dunque, rivelarsi alla fine decisiva.