Breve storia del mosaico religioso ucraino

14.01.2017

L’oggetto di questo articolo è la nascita della Chiesa greco-cattolica in Ucraina e le sue conseguenze sulle vicende del paese.

La Rus’ di Kiev passò definitivamente dal paganesimo al cristianesimo ortodosso nel 988 con la conversione del Gran Principe Vladimiro I, spinto a questo decisivo passo in vista del suo matrimonio con la sorella dell’imperatore bizantino Basilio II, Anna Porfirogenita. Ciò portò all’insediamento, a Kiev, di un metropolita nominato dal Patriarca di Costantinopoli. Durante il XIII secolo le orde mongole invasero e sottomisero la Rus’, la stessa Kiev nel 1240 circa fu saccheggiata mettendo fine così alla sua funzione di capitale del popolo russo.

A partire dal Trecento i russi si ritrovarono divisi principalmente, ma non solo, tra il principato di Mosca, ortodosso ma vassallo nominale del Khanato mongolo, e il Granducato di Lituania che non solo era riuscito a respingere i nomadi delle steppe ma era giunto a conquistare vaste parti dell’attuale Bielorussia e dell’Ucraina occidentale con la stessa Kiev. Anche per questo motivo il metropolita Pietro, nel 1326, trasferì la sede del suo magistero episcopale da Kiev a Mosca, che offriva maggiore sicurezza. Quando quello stesso anno morì, Pietro lasciò una lettera ai suoi successori chiedendo loro di non spostare la sede della Metropolia che da allora non fu più trasferita. Dunque tra il XIII e il XIV secolo sia i leaders politici che quelli spirituali della Rus’ si erano spostati per motivi di sicurezza da Kiev a Mosca sancendo in questo modo l’unificazione, politica e religiosa, di tutte le terre sotto controllo del Principato della Moscovia.

Nel Granducato di Lituania non vigeva invece l’uniformità religiosa, infatti se il sovrano e gran parte della nobiltà erano cattolici, il resto della popolazione era a maggioranza ortodossa e questa situazione costituì per molto tempo una fonte di perenne preoccupazione per i Granduchi, per la contesa con i principi moscoviti del dominio sulle terre russe, A causa delle discordie religiose rischiavano di perdere terreno rispetto al rivale, che invece si rafforzava sempre di più. Il clero e la popolazione ortodossa della Lituania si trovarono, loro malgrado, a stretto contatto con il cattolicesimo e la cultura occidentale che cambiò, in parte, il loro modo di vedere le cose, preparando in tal modo la futura riconciliazione con Roma. Ci furono nel corso del XIV secolo periodi in cui la Chiesa Ortodossa nel Granducato fu indipendente da quella moscovita, con un proprio metropolita, comportando scontri tra le opposte autorità che rischiarono di spaccare la Chiesa Ortodossa locale in maniera irrimediabile.

Un primo tentativo di riconciliazione e di unione con la Chiesa Cattolica Romana avvenne ai tempi del Concilio di Basilea (trasferitosi in un secondo momento prima a Ferrara e poi a Firenze), che si svolse tra il 1431 e il 1445.

Nel 1438 giunse a Ferrara un’importante delegazione ortodossa capeggiata dall’Imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo e dal Patriarca di Costantinopoli Giuseppe II con lo scopo di concludere in qualsiasi modo lo scisma in atto tra cattolici e ortodossi, risalente al 1054, in modo da ottenere l’aiuto romano e dell’ecumene cattolico contro il pericolo turco, che minacciava in quel periodo Costantinopoli. Giunse in Italia anche una piccola rappresentanza russa guidata dal metropolita di Mosca Isidoro di Kiev, un greco favorevole alla riunificazione. A causa della peste, nel 1439, i lavori conciliari furono spostati a Firenze e nella splendida città toscana si arrivò alla conclusione dei lavori per superare il lontano scisma tramite la firma del decreto Laetentur coeli,  il 6 luglio 1439, con cui si giunse alla completa riunificazione tra greci e latini.

Quando però le delegazioni ortodosse tornarono ai loro rispettivi paesi trovarono forti opposizioni sia tra il clero sia tra i laici. Le più forti resistenze avvennero a Mosca dove il Gran Principe Vassili II fece addirittura imprigionare e successivamente destituire dalla sua carica Isidoro di Kiev che in Italia era stato investito da Papa Eugenio IV cardinale-presbitero e legato pontificio per la Lituania, la Livonia, la Russia e la Galizia, in pratica per tutte le terre dove abitavano dei russi.

Il  4 luglio 1569 a Lublino il Granducato di Lituania, per impedire la vittoria della Russia nella Guerra di Livonia, si legò in unione personale con la Polonia costituendo la Confederazione polacco-lituana tramite il re polacco Sigismondo II Augusto. Così nel 1595, per controbilanciare la nascita del Patriarcato di Mosca (nel 1589 con il Patriarca Jov) e scongiurare il pericolo di passare sotto il suo controllo, la Metropolia di Kiev-Halyc e di tutta la Rus decise di rompere ogni rapporto con il Patriarcato di Costantinopoli e di riconoscere, dietro accordi, la supremazia del Papato.

Il clero si riunì in Sinodo nella città, attualmente in Bielorussia, di Brest nel 1596 dove furono realizzati  trentatré articoli in cui erano elencate le condizioni per la riunione definitiva con Roma. Esso si basava sulle disposizioni concordate nel già ricordato Concilio di Firenze, vennero infatti adottati come propri tutti i dogmi della Chiesa Cattolica e riconosciuta la supremazia episcopale del Pontefice Romano. Ma il clero locale chiese in cambio di mantenere il rito bizantino nelle funzioni sacre e il mantenimento della locale struttura gerarchica.

Nello stesso anno i rappresentanti della chiesa rutena, Cirillo di Lutsk e Ipazio di Brest, giunsero a Roma per discutere dell’Unione con il Papa Clemente VIII. Egli decise di accettare tutte le condizioni proposte dai ruteni sotto forma di concessioni sancendo così la prima Chiesa Uniate in terra ucraina. Nel 1596 ci furono due ulteriori Sinodi uno a favore e uno contrario all’unione con Roma, che non portarono ad una riappacificazione ma anzi ad una spaccatura tra ortodossi in Bielorussia ed Ucraina che ancora sussiste. Ciò indebolì la Polonia perché i cosacchi zaporoghi, provenienti cioè dal Dnepr, rimasti fedeli alla ortodossia, appoggiarono una riunione di prelati e laici ortodossi che si svolse  nel 1620 a Kiev in cui fu sancita la rinascita della Chiesa Ortodossa russa in Ucraina.

Anche se la Polonia fu costretta a riconoscere la rinascita dell’ortodossia nei suoi territori a causa della potenza cosacca, il governò locale cercò nel corso del tempo di eliminare questo ostacolo alla uniformità religiosa e politica nel suo stato provocando così rivolte cosacche che culminarono nel Trattato di Perejaslav, stipulato nell’omonima città tra lo zar russo Alessio I Romanov e l’atamano dei cosacchi zaporoghi Bohdan Chmel'nyc'kij, con il quale i cosacchi ucraini giurarono fedeltà allo Zar in cambio del mantenimento delle loro precedenti libertà. Il nuovo status quo fu definitivamente confermato nel 1667 con il Trattato russo-polacco di Andrusovo grazie al quale alla Russia furono concesse Smolensk e l’Ucraina a oriente del fiume Dniepr, mentre alla Polonia andarono la Bielorussia e l’Ucraina Occidentale. Erano confermate in questo modo, almeno in parte, le divisioni religiose e linguistiche che tuttora permangono.

L’ultimo tassello del puzzle etnico religioso dell’Ucraina fu aggiunto alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando prima fu occupata dall’Armata Rossa e poi annessa all’Ucraina Sovietica la Rutenia Subcarpatica. Questa regione, a occidente di Kiev, aveva fatto parte prima del Regno di Ungheria poi tra le due Guerre Mondiali aveva fatto parte prima della Repubblica Cecoslovacca e dal 1939 dopo breve indipendenza era stata conquistata dall’Ungheria. Il corrispondente ungherese dell’Unione di Brest avvenne nel 1646, sotto il pontificato di Innocenzo x, quando sessantatre preti ortodossi decisero di farsi cattolici anche grazie all’operato dell’Ordine Basiliano di San Giosafat, nato con lo scopo di consolidare i monasteri locali.

L’accordo fu sancito il 25 aprile 1646 nel castello di Užhorod alla presenza del vescovo di Eger Giorgio Jakusics.  Questo accordo prevedeva che in cambio del passaggio al cattolicesimo veniva conservato il rito ortodosso, lasciata libertà di scelta per l’elezione di un vescovo, dietro finale approvazione pontificia e concessi tutti i privilegi concessi al clero di rito latino. Il Sinodo di Tyrnov sancì tale scelta e con essa la definitiva nascita della Chiesa greco-cattolica rutena.

Sia l’Unione di Brest sia l’accordo sancito a Užhorod furono visti dagli ortodossi come una indebita ingerenza, straniera e cattolica, negli affari della loro Chiesa orientale per di più usata prima dai polacco-lituani e poi successivamente dagli Asburgo per dividere dalla Grande Madre Russia gli ucraini, considerati dall’Impero Russo come parte del mondo slavo ortodosso. Bisognava riportarli sulla retta via.