Il declino della Psicoanalisi come theoria e praxis terapeutica globale
Il crepuscolo di Freud dagli anni novanta alla Quarta Teoria Politica
Tra la prima e la seconda metà degli anni ’90 del XX secolo, in campo culturale e medico-scientifico era d’attualità il dibattito sul declino della Psicoanalisi, divenendo in breve tempo oggetto di accese discussioni e di vedute a volte antitetiche e spesso contrastanti, una sorta di infiammata disputa che si protrasse con inevitabili strascichi più o meno fino al primo decennio degli anni duemila, della quale i giornali, i rotocalchi e le riviste di settore ne conservano ancora la memoria. Non è mai stata mia intenzione entrare nel merito di una polemica i cui risvolti rischiavano di rivelarsi sterili e infruttuosi, anche se sulla Psicoanalisi ho personalmente avuto sempre idee precise che cercherò ora di focalizzare. In quel periodo ero presente come “ricercatore sul campo” (pathfinder) nel settore neuromeditativo e in quello della Psicologia Transpersonale, tra l’altro in qualità di membro della Associazione Italiana di Psicologia Transpersonale della psicoterapeuta Laura Boggio Gilot nonché della American Psychological Association. Tutto questo avveniva prima della mia delusione nei confronti della globalità delle correnti psicoterapeutiche, in cui permaneva una riduttiva weltanschauung che vedeva l’essere umano costituito esclusivamente dal binomio “corpo-mente” ed in esso escludeva a priori la realtà dell’anima, la qual cosa provocò come conseguenza la mia fuoriuscita dall’agone della Psicologia.
A suo tempo il declino della Psicoanalisi veniva ad evidenziare nuovi orizzonti di intervento terapeutico alternativo ad essa e più in generale alle psicoterapie, attraverso un rassemblement variegato di discipline, terapie, tecniche e trattamenti di ordine olistico e/o neuroscientifico, alcuni già da allora scientificamente consolidati e attualmente rappresentati da: Tecniche neuromeditative, Sociologia clinica, Naturopatia, Salutismo taoista, Counseling filosofico, Accompagnamento spirituale e altri ancora. Quindi oggi ci sembra necessario, a mente fredda, delineare alcuni punti atti a favorire la riflessione su un tema di così allora vivace attualità. Anche perché molte persone, davanti ai deficit di ordine psicologico e psicosomatico imposti dalla loro condizione stressoria o ansioso-depressiva, hanno spesso cozzato contro l’insufficienza terapeutica a loro proposta dai metodi psicoanalitici e più in generale dalle forme di psicoterapia da essi derivate.
Parleremo qui di declino e non di fallimento della Psicoanalisi. La quale, attualmente integrata con il supporto offerto dalla psicosomatica e da nuovi modelli di psicoterapia (di cui in fondo la Psicoanalisi è loro autorevole origine, almeno a partire da Groddeck), rimane l’indiscusso fautore della “pretesa” di risanamento terapeutico dalle nevrosi e da tutte le sintomatologie di tipo ansioso-depressivo, la cui eziologia sia attribuibile a quel vasto mondo dai contorni spesso indefiniti, che nel linguaggio corrente definiamo col nome di Stress. Ci preme sottolineare, che non è nostra intenzione svolgere opera di denigrazione o comunque tesa a dissimulare il ruolo positivo che la Psicoanalisi ha svolto sino ai nostri giorni. Ne sono segno l’elevato contributo che essa ha dato sia allo sviluppo dell’indagine sulla stratificazione della mente umana – quantunque inficiata da una theoria utopica di ordine pansessualista e negante la realtà sostanziale dell’anima, a favore di un surrogato mentalista che deforma e dà nuovi contenuti epistemologici ai sostantivi psyché e coscienza –, sia al progresso della prassi clinica di discipline quali la Psichiatria e la Psicologia. Tenteremo solo di esporre molto sinteticamente alcuni dei motivi che, a nostro avviso, hanno contribuito a generare il declino della Psicoanalisi. Ci soffermeremo maggiormente sui limiti della sua metodologia terapeutica, piuttosto che su quelli dell’analisi epistemologico-teoretica della cui trattazione parleremo qui per sommi capi.
Per il filosofo Paul Ricoeur, Freud insieme a Marx e Nietzsche, pur essendo esponenti di tre dottrine diverse che si escludono a vicenda, sono definiti i maestri del sospetto: «Per chi è cresciuto alla scuola della fenomenologia, della filosofia esistenzialista, del rinnovamento degli hegeliani e delle ricerche di tendenza linguistica, l’incontro con la psicanalisi costituisce uno choc considerevole. Quello che viene affrontato e messo in discussione infatti, non è l’uno o l’altro tema della riflessione filosofica, ma l’insieme del progetto filosofico stesso. Il filosofo contemporaneo incontra Freud nello stesso campo di interessi di Nietzsche e Marx; tutti e tre stanno davanti a lui come i protagonisti del sospetto, i penetratori degli infingimenti. Nasce con loro un problema nuovo, quello della menzogna della coscienza e della coscienza come menzogna». [1]
Quello che assimila i tre maestri del sospetto è una critica radicale della Modernità, in particolare di Cartesio, maestro del dubbio riguardo la realtà esteriore (rex extensa) ma non riguardo la realtà della coscienza soggettiva (res cogitans) ossia della certezza del pensiero umano, il “cogito ergo sum”, che Marx, Nietzsche e Freud, ognuno a loro modo destrutturano annullando la sua pretesa di verità. Essi hanno come idea comune il fatto che l’uomo attraverso la sua coscienza non sia in grado di cogliere la verità, che tra apparenza e struttura della realtà vi sia uno scarto, una non coincidenza, e che quindi la coscienza umana necessiti di essere decifrata, non essendo trasparente a sé stessa come affermava Cartesio.
Sospendendo il discorso su Marx e Nietzsche in quanto esula dal contenuto del presente articolo, Freud con l’affermazione personale di scoperta dell’inconscio, mette in discussione la morale tradizionale e fa emergere le fragilità della coscienza umana, proponendo la Psicoanalisi quale strada maestra verso l’equilibrio mentale in grado di attenuare il disagio individuale e sociale. La Psicoanalisi afferma che l’Io è il luogo in cui si scontrano l’istintualità pulsionale erotica dell’Es e i divieti censori del Super-io, e che quindi le pretese morali fungono da controllo sociale degli impulsi istintivi e aggressivi. Quindi, secondo Freud, la funzione dell’etica è quella d’essere un esperimento terapeutico proprio degli imperativi del Super-io, il quale interiorizzando comandi e divieti familiari ed educativi rivolti al bambino come valori della società, vengono vissuti poi come comando morale e senso di colpa che si traducono in bisogno di punizione.
Nel quadro della Quarta Teoria Politica descritta dal filosofo Aleksandr Dugin, invece possiamo sicuramente collocare Sigmund Freud tra i profeti della dissoluzione del soggetto che annunciano l’avvento del Postmoderno, dell’Illuminismo nero, del totalitarismo liberale. Nella fase finale del liberalismo, attore della Prima Teoria Politica della Modernità, dopo la sua vittoria in primis nei confronti della Terza Teoria Politica (fascismo e nazionalsocialismo) avvenuta con la Seconda Guerra Mondiale, e poi con il suo trionfo contro la Seconda Teoria Politica (comunismo) che nell’anno 1989 vede l’implosione del socialismo reale nei paesi della cortina di ferro sovietica, assistiamo nel corso dei decenni successivi fino al momento presente ad una sua svolta totalitaria, alla nascita del totalitarismo liberale. Un dispotismo assoluto che invalida e bypassa le stesse istituzioni democratiche da esso create, attraverso il controllo globale nelle forme del pensiero unico, del politically correct, del finis Storiae, del Grande Reset, dell’egemonia gender, finanziaria, multinazionale delle Big Companies e soprattutto del network multimediale attraverso una permanente connessione degli umani ad Internet. Divenuto unico possibile interprete della Modernità, attraverso un processo di dissoluzione secolare dei legami sociali promosso da un individualismo sfrenato e mediato dal potere bancario, finanziario, mediatico, tecnologico, produttivo che propongono l’Eden “liquido” del consumismo, il liberalismo mostra negli ultimi decenni il suo vero volto totalitario di attore nichilista del Postmoderno, di distruttore della famiglia tradizionale fino ad arrivare alla dissoluzione in interiore homini.
In questo contesto di decomposizione dei legami sociali e dell’interiorità umana, nella logica postmoderna la Psicoanalisi freudiana diventa il sosia, il doppio, il simulacro della Religione, l’Inconscio e l’Es divengono i sosia dell’anima, il Super-io il simulacro della coscienza etica, il Conscio e l’Io il doppio delle potenze dell’anima rappresentate tradizionalmente da memoria, intelletto, volontà. Avviene così una destrutturazione dell’individualità umana sotto la spinta di una falsa liberazione pansessualista, nonché di una critica ontologica di ordine psicoanalitico ai valori tradizionali dell’ascesi e della sua serena e virile gestione della sessualità. Valori questi, rappresentati dalla realtà dell’anima come essenza che attraverso le sue potenze, passa dall’intelligere dei vizi capitali e delle virtù contrarie, alla disciplina della purificazione della memoria dalle tentazioni, per arrivare infine alla voluntas del combattimento spirituale ossia della grande guerra santa contro i vizi capitali, attraverso la pratica delle virtù unita a meditazione e preghiera profonda. Valori, questi, ripudiati dalla Psicoanalisi come retrivi, tradizionali, figli della superstizione religiosa e di una visione filosofica secondo natura che – al dire dello stesso Freud – è nevrosi ossessiva e delirio paranoico, come vedremo più avanti.
La condizione di dissoluzione del Postmoderno – che vede la Psicoanalisi in posizione di leadership nel disfacimento dell’uomo interiore –, ci viene presentata dalla sapienza e dalle intuizioni di Aleksandr Dugin, le quali ci aiutano a chiarificare la complessità del tremendo periodo storico che stiamo attraversando:
«Il postmoderno, lo precisiamo, non è un ritorno alla Tradizione. Il postmoderno, piuttosto, supera il moderno, distruggendone i fondamenti, ma solo a patto che non ritorni in alcun modo il premoderno. È la logica conclusione del moderno, il suo esito nichilistico, non un superamento dei suoi limiti. Il postmoderno è, in ultima istanza, il trionfo del nichilismo: nascosto nel moderno, è ora completamente chiaro, trasparente e non più costretto a nascondersi. Sul piano antropologico, questo slittamento si manifesta nel post-umanesimo — nel graduale passaggio all’Intelligenza Artificiale, prima debole, poi forte, e infine alla Super-Intelligenza Artificiale, che pretende di essere il principale soggetto post-umano. La “morte dell’uomo” è l’esito naturale della “morte di Dio”. Come ultimo atto, il postmoderno dissolve tutto ciò che potrebbe cadere preda di elementi esterni — tempo, formazione, cambiamento e materialità — nell’uomo, nella società, nella cultura e nella storia. Solo l’elemento più puro ed eterno non viene sfiorato da tale processo — questo è il Soggetto Radicale. Qui c’imbattiamo in un nuovo problema. Il postmoderno è il dominio dei simulacri, delle copie senza originale (Baudrillard). Di conseguenza, tutti i fenomeni e le creature risultano sostituiti, clonati e replicati grazie alla virtualizzazione globale e alla digitalizzazione dell’Essere. Occorre, così, discernere i simulacri, uscendo dal loro raggio d’azione. Il culmine di quest’azione metafisica vede comparire un doppio nero dello stesso Soggetto Radicale. L’identificazione dell’Anticristo, della sua ontologia e antropologia, si sposta dal piano religioso a quello filosofico, culturale, sociale e politico. Da qui il titolo russo del libro: Il Soggetto Radicale e il suo doppio, che si riferisce alla figura del Sosia, del Doppio nero — sviluppo della famosa metafora di Antonin Artaud sulla natura del teatro. Tale questione non si riduce all’identificazione della natura infernale della civiltà attuale, all’analisi delle condizioni del Kali Yuga. Il problema dell’Anticristo richiede piuttosto l’interiorizzazione della Nuova Metafisica, così come di tutti gli altri aspetti legati al “tradizionalismo del Soggetto Radicale”. Il problema del doppio, come simulatore essenziale, acquisisce una centralità assoluta.».[2]
Nascita della Psicoanalisi
Il fermento scientifico e culturale in cui trovano la luce e si sviluppano il pensiero e l’opera di Sigmund Freud (1856-1939) medico neurologo austriaco di origine ebraiche e padre della Psicanalisi, è da collocarsi in quel periodo di transizione che dal XIX secolo si protrae oltre i primi decenni del nostro secolo. Anni intensi questi, carichi di grandi trasformazioni politico-sociali che vedono crescere e rafforzarsi ideologie utopistiche, che si incarneranno successivamente nei regimi totalitari del nazionalsocialismo razzista hitleriano e del comunismo marxista-leninista sovietico, i quali segneranno prepotentemente il corso di quell’irrequieto secolo insieme al bonapartismo risorgimentale del fascismo italiano, trasformatosi in breve tempo nel fenomeno internazionalistico dei fascismi europei. L’affermarsi del positivismo in campo medico-scientifico, le correnti filosofiche che si ispirano all’idealismo hegeliano o, come Marx ed Engels, al suo capovolgimento nel materialismo storico e dialettico, la reazione antidealista del secondo romanticismo, il mondo liberty e della Belle Époque, le prime ventate di cultura radical-liberale americana, la Grande Guerra con il crollo degli Imperi centrali e della loro forma politico-sociale cristiana: sono questi i principali elementi e i fattori di quell’humus culturale che darà luogo alla genesi del pensiero psicanalitico freudiano.
Tra coloro che hanno analizzato l’opera di Freud, vi è chi ha inteso accostare il suo pensiero a quello di Marx, almeno nella capacità dello stesso Freud di rovesciare l’assioma hegeliano “tutto è Idea” in “tutto è Sesso”. Questi pensatori, avvertono nella forma mentis freudiana imperniata sul concetto di libido, un pansessualismo che dà origine ad una visione materialista dell’individuo dai contorni pressoché totalitari. Questa visione si accentuerebbe poi con maggior rigore in alcuni suoi discepoli, come ad esempio Wilhelm Reich e Georg Groddeck [3]. A dire il vero, quando Freud ammette influenze dirette sul suo pensiero, egli lo fa pensando a Nietzsche, il quale fra l’altro è il creatore del termine Es che indica il primato del mondo pulsionale nonché di Trieb, parola con cui anche Freud designa le pulsioni: «Ho preso in mano Nietzsche dove troverò, spero, parole per moltissime cose che restano mute in me…». [4]
Tuttavia, il contesto storico e culturale in cui Sigmund Freud ha dato vita alla sua ideologia e alla sua opera, non lo hanno certamente immunizzato dalle influenze dirette o indirette delle varie scuole di pensiero hegeliane che, in quel periodo, avevano fortemente permeato la società imponendosi come il filone predominante della mentalità corrente. Pur avendo affermato in diverse occasioni e contesti la sua scarsa conoscenza in campo filosofico, Sigmund Freud era stato presente alle lezioni di Franz Brentano, filosofo e psicologo tedesco fondatore della psicologia empirica noto per il suo adagio: “Eine Seele gibt es nicht, wenigstens nicht für uns – ossia – Non c’è anima, almeno non per noi. – Poi prosegue – Ciò nonostante, una psicologia può e deve esistere; ma, usando l’espressione paradossale di Albert Lange, sarà una psicologia senz’anima”.[5] Con queste premesse, unita alle simpatie per il Dio è morto di Nietzsche, da cui ne consegue che anche l’anima è morta, la prima visione strutturale della psiche freudiana “inconscio preconscio conscio” (la prima topica, ossia dei luoghi psichici) risulta riduttiva rispetto alla weltanschauung olistica tradizionale “corpo mente anima spirito”, e riflette una concezione dell’essere umano di ordine mentalista, ossia di mente assoluta dai contorni certamente materialisti, conflittuale, su base pulsionale libidica, tesa a giustificare e a rafforzare con una nuova epistemologia pansessualista le conoscenze neurologiche dello stesso Freud.
Con la certezza che l’anima sia morta e che la psiche coincida con la mente, raffigurabile in tre luoghi psichici, la maturità del pensiero freudiano si struttura ulteriormente in senso epistemologico dando luogo alla seconda topica, quella raffigurata da “Es Io Super-io”, dove però al Super-io non viene concessa una valenza spirituale di ritorno alla realtà dell’anima, ma invece esso va a condividere con la libido pulsionale dell’Es parte delle istanze dell’inconscio, quelle repressive, mentre compito dell’Io sarà quello di mediare le loro esigenze antagoniste, nello schema tipico della filosofia hegeliana che Freud va a ricalcare in campo psicoanalitico nell’acquisizione della triade “Tesi (come Es) – Antitesi (come Super-Io) – Sintesi (come Io)”.
Nonostante queste influenze filosofiche sul pensiero di Freud siano difficilmente contestabili, in quanto parte del contesto storico che permeava la mentalità dell’epoca, il fondatore della Psicoanalisi risultò sempre un duro oppositore della Filosofia, considerandola insieme all’Arte e alla Religione quali possibili forme di disturbo psichico: “Potremmo azzardarci ad affermare che l’isteria è la caricatura di una creazione artistica, che la nevrosi ossessiva è la caricatura di una religione, che il delirio paranoico è la caricatura di un sistema filosofico”. [6] E ancora: “L’isterico è indubbiamente un poeta (…), il cerimoniale e i divieti del nevrotico ci costringono a ritenere che egli si sia creata una religione privata, e perfino le formazioni deliranti del paranoico rivelano una sgradita somiglianza esterna e una affinità interna con i sistemi dei nostri filosofi”.[7]
Le ragioni di un declino
Esordiamo con una premessa che si rivela necessaria per affrontare l’argomento che ora tratteremo, il quale, a nostro avviso, rappresenta il preambolo al declino di ordine storico e clinico del pensiero psicoanalitico freudiano e di tutte quelle scuole di psicoterapia affini, oppure discordanti come quelle, ad esempio, dei suoi grandi allievi Adler e Jung, ma comunque da esso originate. Alla fine degli anni ’80 del ventesimo secolo, l’avanzare sempre più esplicito del mondialismo statunitense coi suoi modelli di esportazione politico-sociali, socio-culturali e di globalizzazione economica, ha determinato l’inevitabile crollo del muro di Berlino e con esso di quello dell’ultima utopia totalitaria: il socialismo reale. Anche gli stati europei occidentali, al di qua della defunta cortina di ferro, hanno subito pesantemente il contraccolpo della rottura di quell’equilibrio Est-Ovest, che rappresentava lo status quo da Yalta in poi, basti pensare ad esempio al crollo in Italia della Prima Repubblica. Le acque torbide e agitate della politica di quei giorni, non solo italiana ma anche europea, riflettevano un progressivo adattamento al diktat di un nuovo ordine mondiale (NWO), nonostante in quel periodo esso incontrasse ancora notevoli resistenze in Russia nonostante la sua forzata occidentalizzazione ad opera di Borìs Él’cin, in Cina e nei Paesi islamici. La giovane Unione Europea che pian piano si andava allora formando e che poi si è dilatata a 27 Stati membri, è così diventata naturale interlocutore e tavola d’espansione del progetto mondialista e della globalizzazione. Questa rivoluzione epocale, è tuttora orientata nella direzione di una nuova società planetaria basata su un modello di uomo decaduto di biblica memoria asservito al nuovo vitello d’oro, ossia schiavo della seduzione dei sensi, dell’ipnosi multimediale, dell’egemonia bancaria, finanziaria e informatica, del precariato lavorativo e socio-economico. Tale strategia ha previsto anche la graduale e definitiva estinzione di quelle società (peraltro “servite” a scristianizzare la fede bimillenaria dell’Europa) fondate sul mito dell’Uomo nuovo, utopicamente prospettato dai totalitarismi del Ventesimo secolo ma irrealizzabile perché profondamente contrario alla natura umana. Il crollo dell’utopia marxista-leninista ha quindi portato con sé una serie di demolizioni parallele, che hanno intaccato non solo la sfera politico-sociale ed economica dell’ordinamento europeo, ma anche i principi filosofici e le idee ispiratrici che ne sono state il fondamento dalla rivoluzione francese in poi, preparando lentamente la transizione dalla Modernità al Postmoderno.
A nostro modesto avviso, è all’interno di questo mutato contesto storico-politico-culturale mondialista post ’89, a trazione unipolare – ancora attualissimo e dominante, anche se ora viene contrastato dall’insorgere dei populismi europei e americani, dall’Operazione Militare Speciale della Russia in Ucraina e dal multipolarismo –, che va ricercata la causa profonda del declino della Psicoanalisi quale forma utopica di totalitarismo psicologico, lasciando però ad altri il compito di dare spessore geopolitico a questa analisi storica e sociologica. Ci limitiamo però a sottolineare che nell’ambito di questa crisi di pensiero che ha investito la Psicologia e la gnosi medico-scientifica, tuttora ancora purtroppo contagiate dalla “ultima utopia darwinista”, il passaggio dal materialismo pansessuale postulato dalla Psicoanalisi a quello di un decadente naturalismo rigorosamente panteista, psicosomatico e/o di evanescenza new age, certamente non rappresenta un contributo positivo al futuro di una epistemologia scientifica che solo nel ritorno al Diritto naturale e nella riscoperta ricchezza dei valori insiti nelle Tradizioni dei Popoli, può trovare sviluppo e compimento.
Limiti della terapia psicoanalitica
Dopo aver tentato, pur sommariamente, di enucleare le radici storiche, culturali e sociologiche inerenti alla crisi del pensiero psicoanalitico e del suo conseguente declino, vediamo ora quei motivi in ordine alla metodologia e alla prassi terapeutica che hanno permesso a questo stesso declino di manifestarsi palesemente. Secondo Freud, la Psicoanalisi non è semplicemente una visione teorica attraverso la quale osservare e descrivere la struttura psichica, ma si dirama attraverso una metodologia di ricerca psicoanalitica la quale dà luogo a una conseguente prassi terapeutica ossia a tecniche con le quali identificare e trattare i disturbi psichici. Critiche e riserve alla complessità del sistema freudiano non sono mai mancate, a cominciare proprio dall’interno dello stesso movimento psicoanalitico da lui fondato. Collaboratori di Freud come Alfred Adler e Carl Gustav Jung si dissociarono presto da lui, rifiutando i suoi postulati epistemologici. Senza contare chi, tra i suoi discepoli, pur rimanendo fedele all’integrità del suo pensiero intese rettificarne, modificarne o ampliarne la rotta metodologica, come pure integrarne la prassi terapeutica con l’acquisizione di tecniche innovative ed esterne al metodo psicanalitico. Tra le critiche mosse alla globalità del pensiero freudiano, merita di essere sottolineata quella di G. G. Pesenti il quale afferma che secondo l’ideologia psicoanalitica:
«la religione, sia per l’individuo che per la società, è un aspetto della libido sublimata… É facile il passaggio all’affermazione che la religione è una nevrosi ossessiva attenuata nella sublimazione dell’individuo malato e dell’umanità, e che resta un’illusione utile ad abreare, cioè a ridurre la tensione emotiva di origine repressiva della sessualità». Tuttavia lo stesso autore riconosce che: «A merito di Freud va ascritta la costruzione imponente e armonica di un progetto; la messa in evidenza del problema dell’attività psichica, sia anormale che normale, considerata nel complesso della vita umana e della sua storia; la valorizzazione di alcune dimensioni della personalità, come l’inconscio, fino ad allora trascurate; l’inizio della psicoterapia e neuro-psichiatria infantile; la denuncia dei limiti della psicologia; la indiretta, non sospettata, rivalutazione psicologica della confessione auricolare cattolica e della direzione spirituale». [8]
Non è nostra intenzione accumulare nuove critiche al pensiero psicoanalitico, bensì vogliamo sottolinearne alcuni limiti riguardo la sua metodologia e la sua prassi terapeutica. Tali insufficienze sono emerse da frequenti colloqui avuti nel corso dei decenni con ex pazienti di analisi e con colleghi psicologi, seriamente motivati a darsi una spiegazione riguardo la inadeguata risposta terapeutica offerta dalle psicoterapie di derivazione psicoanalitica e non. Questi scambi di idee, tra l’altro, cominciarono in un momento in cui il boom dei trattamenti empirici offerti dall’allora cosiddetta medicina alternativa sembravano ottenere risultati più incoraggianti almeno nel generico trattamento e nel superamento delle condizioni legate allo stress, venendo a determinare nuovi orizzonti nella comprensione dell’uomo, inteso come qualcosa di più ampio rispetto alla restrittiva visione biopsichica. Da questi dialoghi attorno ai mancati effetti terapeutici della Psicoanalisi, corroborati successivamente da una lunga riflessione critica ex post, sono emerse alcune valutazioni, sintetizzabili in tre punti che tratteremo necessariamente con brevità, in ordine sia al metodo e alla prassi terapeutica psicoanalitica, sia al suo risultato nei confronti del paziente.
Visione riduzionista della natura umana
Anche quando non affetto o esasperato dalle concezioni materialistiche proprie delle sue origini, abbiamo avvertito all’interno del pensiero psicoanalitico post-freudiano e della sua prassi, una radicata insistenza verso una concezione teoretica incompleta della persona umana, legata alla sfera puramente fisica e mentale. La psiche intesa come mente, diventa strumento esclusivo di analisi e di modifica dei disturbi nervosi, mentre il corpo è referente ed esternatore di tali disturbi. Se tale concezione può rivelarsi esatta come strumento di diagnosi preliminare delle nevrosi, rimane tuttavia incompleta nella sua pretesa terapeutica. Affidata prioritariamente a strumenti di analisi di tipo psicomentale, questo genere di azione terapeutica, con cui si porta il paziente alla presa di coscienza e alla comprensione della propria conflittualità in vista di un superamento e di una sublimazione positiva, ottiene solo parziali risultati.
I pazienti in analisi da noi intervistati, sottolineando questo aspetto della terapia freudiana, hanno espresso il desiderio profondo e la necessità impellente di superare in modo più radicale l’alterazione per mezzo della quale i loro processi ideo-affettivi ed emotivo-istintivi rimangono sovente turbati, convinti che la mente da cui provengono i loro disturbi, proprio in quanto è una mente malata non possa simultaneamente diventare uno strumento di guarigione.
Alcuni pazienti culturalmente più dotati o più intuitivi, attraverso una nebulosa ma altrettanto reale percezione della realtà dell’anima e della concreta possibilità di un cammino liberatorio alternativo, hanno manifestato il desiderio di poter trovare uno spazio interiore oltre il corpo e la mente (non contemplato dalla Psicoanalisi ma di cui se ne intuisce con certezza l’esistenza), in cui ritrovare quella padronanza e quel controllo necessari ad attivare meccanismi di rimarginazione delle proprie ferite e in cui ristabilire l’equilibrio violato dagli stati ansioso-depressivi. Questa pulsione spirituale è, in fondo, un’intuizione attraverso cui la natura umana percepisce l’esistenza dell’anima o meglio sperimenta di avere un’anima e di essere un’anima perfettamente integrata con corpo e mente e, inoltre, un’anima in grado di spegnere e/o governare il conflitto permanente emotivo-razionale che si scatena appunto tra il corpo-cuore e la mente-cervello.
I problemi della terapia dialogico-verbale
In particolare, l’uso eccessivo di terapie dialogico-verbali orientate verso l’esplorazione dell’inconscio del paziente e dei suoi conflitti rimossi, oppure tese al miglioramento delle sue relazioni interpersonali, comportamentali e ambientali genera disagio. Anche nella forma di psicoterapia breve, da parte dei pazienti appaiono latenti o si affermano fenomeni di sindrome claustrofobica, senso di ingabbiamento, di chiusura e di perdita nevrotica in quel labirinto della mente, che l’intuito naturale del paziente sembra invece voler unificare e trascendere in un silenzio interiore generatore di profonda pace in cui pensieri, affetti, sentimenti e impulsi ritrovino la loro condizione ottimale.
Diversi pazienti hanno poi sottolineato l’effetto di bisturi psicologico provocato loro dalle sedute di analisi. Nonostante la graduale accettazione della propria nevrosi o del proprio stato depressivo e la soggettiva disposizione al cambiamento, tali pazienti hanno constatato la negatività dell’insistenza analitica nell’esplorazione dell’inconscio, con il successivo verificarsi di una dilatazione delle ferite interiori invece che di una loro progressiva regressione, suturazione e rimarginazione. Questo sentirsi vittime dell’effetto taglio provocato dall’analisi, li porta a desistere dal continuare questo genere di terapie.
Interminabilità del metodo di cura psicoanalitico
Il coinvolgimento esistenziale provocato dalle sedute psicoanalitiche, anche riguardo ai costi e ai tempi, insolitamente lunghi per consolidare un minimo risultato, pone il paziente in condizione di percepire quella che Freud già chiamava analisi interminabile della terapia psicoanalitica. Il colloquio e lo scambio di esperienze con amici psicoanalisti, ha invece sottolineato altri aspetti del medesimo problema. A loro giudizio, l’odierna mentalità psicoterapica generalmente diffusa, rivelerebbe la mancanza di fiducia nel potere di auto-guarigione insito nella natura dell’uomo. Questo, a loro avviso, avviene perché il viaggiare prioritariamente su parametri terapeutici di tipo mentale, porterebbe ad individuare la psiche come regìa esclusiva e magna comprensione del mistero umano. Sarebbe questa, a loro giudizio, la causa ultima della interminabilità di questo genere di terapie, le quali pretendono di curare i disturbi nervosi a partire da quella stessa mente che li ha generati e da cui ne è affetta, e non invece da un coinvolgimento totale di tutte le risorse e di tutti gli ambiti in cui viene a manifestarsi l’individualità dell’essere umano.
Un altro aspetto del problema legato all’interminabilità, mi è stato additato nella nevrosi da transfert, con la quale il paziente in analisi proietta sull’analista la complessità dei suoi conflitti esistenziali. Oltre a provocare un indebolimento nello psicoterapeuta, anche quando egli reagisce con la neutralità analitica, con tecniche di controtransfert o mettendosi egli stesso in analisi presso colleghi, dopo un esordio positivo terapeuta-paziente tipico dell’inizi dell’analisi, sorge il problema del transfert che in genere crea, la mancanza di fiducia del paziente nei confronti dell’analista. Infatti, gli psicoanalisti ascoltati mi hanno segnalato la perdita d’immagine personale che essi riscontrano nei pazienti i quali, percependo le carenze umane e le debolezze personali dell’analista nel sostenere la durezza del metodo dialogico-verbale, hanno tendenza a non considerarlo più come valida ed esperta guida pur aggrappandosi contemporaneamente a lui in maniera morbosa. Questa duplice situazione d’impasse, verrebbe a creare ulteriore motivo di ostacolo all’interminabilità della proposta offerta dalle psicoterapie analitiche.
Concludendo questo breve itinerario sul declino della Psicoanalisi come theoria e praxis terapeutica globale, osiamo ribadire una dottrina antica e non certo fuori luogo della Tradizione spirituale monastica cristiana, sulla realtà dell’anima e del suo risveglio, il quale poi innesca la vis medicatrix naturae ossia il potere di guarigione della natura, come sosteneva Ippocrate. Questa dottrina, appresa dal mio maestro della Terra del Sol Levante Don Johannes Baptista Ishii, eremita camaldolese e maestro Zen ci insegna che:
«Ogni malattia del corpo e della mente, in modo diretto o indiretto è il riflesso di una malattia spirituale, perché ha nell’anima le proprie radici. Lavorando sui vizi capitali attraverso la pratica delle virtù contrarie e il silenzio meditativo nella Presenza di Dio, si libera progressivamente l’anima da queste radici e si provoca il suo risveglio. Un risveglio che permette all’anima di governare serenamente il corpo e la mente e che ha come conseguenza l’attenuazione o la scomparsa delle patologie psicofisiche».
La Presenza di Dio è guarigione! Infatti: «…per le sue piaghe siamo stati guariti». (Isaia 53,5-7).
[1] Paul Ricoeur, Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano 1977, cit. da filosofico.net di Diego Fusaro, alla voce Paul Ricoeur.
[2] Aleksandr Dugin, Teoria e Fenomenologia del Soggetto Radicale, AGA Editrice, Milano 2019, pp. 33-34.
[3] Su questo argomento cfr. l’art. del Presidente del CESNUR Massimo Introvigne, Le origini della Rivoluzione sessuale, in Cristianità n°55, novembre 1979.
[4] Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess (1887-1904), Bollati Boringhieri, anno 1986, in Cento anni fa moriva Friedrich Nietzsche, l’uomo postumo, di Enzo Rutigliano, in unitn.it, n° 26.
[5] Franz Bertano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, a cura di O. Kraus, vol. I, Felix Meiner, Hamburg 1924, pag. 16. Traduzione italiana, 1874-1911, La psicologia dal punto di vista empirico, a cura di L. Albertazzi, vol. I, Laterza, Bari 1997, pag. 76, traduzione modificata. La traduzione italiana riporta psiche invece di anima. La traduzione francese rende Seele con âme.
[6] Sigmund Freud, Totem e Tabù, 1912-13, p. 79.
[7] Sigmund Freud, Prefazione a Il rito religioso: studi psicoanalitici, di Theodor Rank,1919, p. 125.
[8] G. G. Pesenti in Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, alla voce Psicanalisi, Città Nuova, 1992, pp. 2061-2065.