Tutti i ponti tra Turchia e Jihad che l’Europa fa finta di non vedere

21.03.2016

A fine novembre 2015, Can Durdar ed Erdem Gul, i due capi-redattori del quotidiano Cumhuriyet, , venivano arrestati dalla polizia turca ed accusati di “spionaggio ed alto tradimento” dopo che a giugno il quotidiano aveva pubblicato foto e video compromettenti che provenivano dall’esercito turco e che mostravano un carico di armi su un camion diretto in Siria per rifornire i jihadisti. In seguito all’arresto, Dundar aveva dichiarato: “Ci hanno accusati di spionaggio, addirittura per il presidente saremmo dei traditori – Non siamo traditori, né eroi. Abbiamo fatto solo il nostro lavoro di giornalisti”. Erdogan aveva addirittura chiesto due ergastoli per Dundar, aggiungendo che i camion stavano trasportando aiuti umanitari alle popolazioni turcomanne oltre confine e che i video erano stati diffusi per cercare di infangare il suo nome e quello dell’Akp. Peccato però che le foto e i videomostravano membri dell’intelligence turca (Mit) caricare di armi un camion da inviare in Siria.

Come avevano riportato in esclusiva a Reuters due pubblici ministeri turchi, successivamente finiti sotto processo per le loro rivelazioni, quattro camion pieni di parti di missili, munizioni e mortai semi-assemblati erano partiti tra il 2013 e il 2014 dalla Turchia per essere scortati da membri dell’intelligence di Stato in territorio siriano controllato anche da milizie di Al-Qaeda. Uno dei quattro camion, come affermato da testimoni, era stato intercettato dalla polizia ma gli altri tre avevano proseguito il loro tragitto grazie a membri del Mit che avevano minacciato gli ufficiali, intimandoli di lasciar stare. Sempre secondo tali fonti, i camion trasportavano sei container di acciaio con all’interno un totale di 1.000 parti di missili, 50 mila munizioni per mitragliatrici, 1.000 mortai e 30 mila munizioni per mitragliatrici pesanti. Il tutto era nascosto sotto strati di medicine. A riguardo del processo, il presidente della Suprema corte d’Appello, İsmail Rüştü Cirit, aveva dichiarato: “I tempi che stiamo attraversando sono eccezionali.

Noi facciamo del nostro meglio per tirare fuori il paese dai guai in cui si è cacciato”.1 2 Erdogan è sempre apparso estremamente preoccupato dal possibile emergere di elementi che documentassero l’appoggio turco ai jihadisti ed ha tentato e tenta ancora oggi il tutto per tutto pur di silenziare chiunque si opponga alla linea dell’AKP. Oscuramento di social media, occupazione dei quotidiani da parte di uomini fedeli al Governo (come dimostra il recente caso dello Zaman), arresti di giornalisti, licenziamento di agenti di polizia colpevoli di mettere il naso nelle faccende sbagliate. Nonostante ciò, nell’era di internet è molto difficile censurare tutti i canali potenzialmente “pericolosi” ed infatti le cose vengono comunque a galla, tanto che alcuni giornalisti hanno messo in evidenza come la maggior preoccupazione di Erdogan oggi siano proprio i media esteri perché più difficili da controllare e reprimere.

Jihadisti e AKP

Nel marzo 2015 la Russian Television (RT) rendeva noto che un leader dell’ISIS, Emrah Cakan, era ricoverato in un ospedale turco a Denizli, dove era entrato il 28 febbraio dopo essere stato ferito. Nell’aprile 2014 all’Hatay State Hospital veniva invece segnalato il ricovero di Abu Muhammad, un comandante del gruppo qaedista Jabhat al-Nusra, ferito durante una battaglia a Idlib; un fatto gravissimo che aveva portato Muharrem Ince, deputato del CHP, a chiedere spiegazioni. 4 La notizia era rilasciata dal quotidiano Hurriyet e curiosamente, qualche mese dopo, uno dei suoi più noti giornalisti, Ahmet Hakan, veniva picchiato a sangue da alcuni misteriosi personaggi. 5 6 Un altro deputato del CHP ed ex mufti, Ihsan Ozkes, aveva invece dichiarato che numerosi jihadisti, molti dei quali ceceni e tunisini, erano stati ospitati in un edificio del Direttorato per gli Affari Religiosi (Diyanet) sempre nella provincia di Hatay, sotto la supervisione del MIT (i servizi segreti turchi) per essere poi utilizzati contro il PKK e il PYD nel nord della Siria. Vi è poi il caso di un filmato nel quale si vedono due jihadisti dell’Isis avvicinarsi al confine con la Turchia proprio mentre passa una camionetta dell’esercito di Ankara. Dal veicolo scendono alcuni militari che si avvicinano alla recinzione e si intrattengono in conversazione con i jihadisti che poi si allontanano facendo segno di vittoria verso i militari. In Turchia sono poi stati segnalati diversi esponenti del jihadismo ceceno e daghestano, tra i più noti, Israil Akhmednabiev (Sosiko) e Movladi Ugdanov; di quest’ultimo sono noti diversi indirizzi a Istanbul e tre numeri di telefono, tutti turchi. Alcune fonti sostengono poi che Islam Matsiev, uno degli amministratori del Kavkaz Center (sito propagandistico legato all’Emirato del Caucaso), sia stato ospitato per diverso tempo in Turchia.

I “Lupi Grigi” mandati oltre confine contro i russi

L’abbattimento del Sukhoi russo sui cieli della Siria lo scorso novembre mostra poi un’altra torbida strategia messa in atto da Ankara, ovvero l’utilizzo di gruppi paramilitari turchi in territorio siriano. Subito dopo l’episodio infatti, la Turchia aveva parlato di un’azione per proteggere i “turcomanni”; poco dopo però l’intelligence russa aveva identificato la milizia responsabile dell’omicidio del pilota paracadutatosi in seguito all’abbattimento del velivolo, milizia comandata dal cittadino turco Alparslan Celik, membro dei Lupi Grigi e figlio dell’ex sindaco di Keban, Ramzan Celik. Cosa ci facevano dunque le milizie turche di estrema destra in territorio siriano? Un altro elemento interessante emerge dalle immagini di una conferenza stampa organizzata, subito dopo l’uccisione del pilota russo, dal gruppo “turcomanno”, nelle quali si può vedere Alparslan mentre mostra con orgoglio un pezzo del paracadute del pilota e parla ai microfoni di Cnn e Fox News.

La cecità di NATO e UE

A questo punto sorge lecita una domanda: com’è possibile che la Turchia, paese membro della NATO, supporti gruppi terroristi che in teoria dovrebbero essere contrastati dalla medesima Alleanza? Nel frattempo l’Unione Europea continua a non vedere fatti evidenti e si appresta a foraggiare ulteriormente il governo di Ankara affidandogli il controllo sul flusso di profughi (controllo che la Turchia già aveva in ogni caso) con un “non-accordo “ fondato su un inapplicabile “uno per uno”, secondo il quale tutti i migranti che andranno in Grecia verranno respinti in Turchia e per ciascuno di questi (siriano o iracheno) rientrato, Ankara ne manderà uno in UE. Un piano semplicistico, fatto a tavolino ma di difficilissima attuazione poichè non sembra tener conto di aspetti come l’identificazione (che può richiedere settimane se non mesi), l’aspetto logistico e quello del trasporto oltre alle modalità di monitoraggio e respingimento che restano un punto interrogativo. C’è poi un ulteriore elemento per quanto riguarda le domande di asilo dei profughi, valutate a loro volta dalle autorità dell’UE che prevedono il rimpatrio di quelli con esito negativo e di coloro che non presentano richiesta di asilo (ammesso che ve ne siano); una procedura che richiede tempistiche molto lunghe, mentre nel contempo giungeranno altre migliaia di profughi e conseguentemente altre domande, generando così un enorme ingorgo. I rifugiati ai quali verranno accettate le richieste di asilo dove verranno poi indirizzati? In quali paesi dell’Unione Europea? Ci sono accordi chiari tra i paesi membri? Chi si occuperà poi di distinguere tra i siriani e gli altri ai quali non spetta asilo? C’è poi l’aspetto legato alla sicurezza: l’Unione Europea può fidarsi di un Paese che ha intrattenuto legami di vario tipo con il jihadismo? Non dimentichiamo che mentre nelle zone turche al confine con la Siria trovavano rifugio jihadisti in transito verso la Siria, l’aeroporto di Istanbul diventava un crocevia per volontari della jihad provenienti da Europa, tra cui Hayat Boumedienne (moglie del terrorista Amedy Coulibaly), Maria Giulia Sergio e il marito, Aldo Kobuzi. Una Turchia che non è stata in grado di controllare il transito sul proprio territorio di volontari jihadisti può essere ritenuta affidabile per un’operazione così delicata? Chi assicura che in mezzo ai profughi non si possano infiltrare anche dei jihadisti pronti a colpire l’Europa? Del resto la Turchia non è in grado neanche di proteggere il proprio territorio, come dimostra l’attentato di due giorni fà ad Istanbul, presumibilmente perpetrato dall’ISIS. L’attentatore, Savas Yildiz di 33 anni, originario di Adana nel sud del Paese, pare facesse parte di una lista dei sospetti potenziali attentatori suicidi, ma nonostante ciò non ha avuto alcun problema a portare a termine l’attacco.

Giovanni Giacalone

 

 

1 http://jedasupport.altervista.org/blog/cronaca/esteri/giornalista-turco-...

2 https://www.youtube.com/watch?v=BA37nW0spRk

3 https://www.rt.com/news/238713-isis-commander-turkey-hospital/

4 http://www.hurriyetdailynews.com/chp-lawmakers-accuse-turkish-government...

5 http://www.hurriyetdailynews.com/chp-lawmakers-accuse-turkish-government...

6 http://www.theguardian.com/world/2015/oct/01/prominent-turkish-journalis...

http://www.lintellettualedissidente.it/