Trump e l'America Latina
Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Come tutti i suoi predecessori molta della sua fama postuma deriverà dalla sua politica estera e con questo articolo proveremo a comprendere le sue linee guida verso alcuni tra i principali attori geopolitici dell’America Latina, tenendo presente che the Donald è un politico di nuovo corso, nel senso che per la prima volta nella loro Storia gli Stati Uniti avranno un Commander in chief che non ha mai svolto precedentemente ruoli politici provenendo dal mondo degli affari.
Chi nel suo staff dopo la sua vittoria alle primarie repubblicane, chi si è occupato di mantenere contatti con diplomatici latinoamericani è stato Walid Phares, di origini libanesi, esperto in controterrorismo e Medio Oriente, destinato probabilmente ad entrare a far parte del nuovo Consiglio Nazionale di Sicurezza. Da notare che Phares è cristiano maronita come l’attuale Presidente del Brasile, Michel Temer, un legame che potrebbe essere utilizzato sia dagli USA che dal Brasile per facilitare le comunicazioni tra i vertici dei due paesi.
Il Brasile spera di potersi avvantaggiare delle possibili difficoltà del Messico e diventare così il primo partner commerciale di Washington puntando sulla complementarietà delle rispettive economie. Già ora gli USA sono il secondo maggior partner commerciale del Brasile: il primo è la Cina, verso cui è diretto il 20% delle esportazioni del paese verde-oro.
Il Partito Repubblicano è da sempre contrario agli accordi che Obama ha fortemente voluto con Cuba. Questa scelta è stata dettata anche dall’attuale teatro geopolitico iberoamericano che vede l’Avana protagonista in due delicati scenari: gli accordi tra i guerrieri delle Farc e il governo colombiano; l’appoggio determinante per un dialogo finalmente proficuo tra il successore di Hugo Chavez in Venezuela, Nicolas Maduro, e l’opposizione democratica. Rompere totalmente con Cuba, dunque, vorrebbe dire minare il successo di questi accordi importanti per la stabilità della regione.
La pace in questi due paesi sudamericani andrebbe a tutto vantaggio degli Stati Uniti, che vedrebbe aumentare notevolmente lo scambio commerciale bilaterale a tutto profitto delle aziende americane e proprio queste ultime potrebbero opporsi all’altra tendenza che vede i falchi repubblicani andare contro Cuba a prescindere da tutto per il loro anticomunismo senza compromessi.
Tra i decreti che Trump vorrebbe realizzare durante i suoi primi Cento Giorni vi sono due atti di enorme importanza per il Messico: l’espulsione di tre milioni di immigrati illegali che abbiano commesso crimini o abbiano fatto parte di gang e la rinegoziazione o l'abbandono di NAFTA (North American Free Trade Agreement), il Trattato di Libero Commercio del Nord America, per difendere i lavoratori statunitensi messi in difficoltà dalle maquiladoras, stabilimenti industriali, che si trovano sul lato messicano del confine messico-statunitense che impiegano lavoratori a basso costo e componenti temporaneamente esportati dal vicino nord americano in un regime di duty free ed esenzione fiscale.
Queste maquiladoras si trovano ubicate principalmente a Tijuana, Mexicali, Ciudad Juarez, Reynosa e Heroica Nogales. Il Governo Federale Messicano ha già fatto sapere, tramite dichiarazioni di suoi diversi esponenti, che difenderà con tutti i mezzi sia i diritti dei messicani negli Stati Uniti sia gli scambi economici con Washington che rappresentano una parte rilevante del PIL messicano, evitando di rinegoziare NAFTA o comunque difendendo la sua applicazione in tutte le sedi competenti compresa la Organizzazione Mondiale del Commercio.
Attualmente l’ultima parola spetta al già citato Phares che, in una recente intervista, ha spiegato che Trump è un uomo di affari, dunque un pragmatico, interessato alla stabilità e che manterrà rapporti stretti con partner economici tra i quali, per l’America Latina, ha citato Colombia, Argentina e Brasile. Che sono ben lontani dai confini statunitensi…