La rivoluzione culturale di George Soros

11.01.2017

Che le correnti macro-storiche o – per dirla con Pino Rauti – le idee che scossero il mondo non possano essere sommariamente sintetizzate nell’operato dei singoli individui è concetto unanimemente accettato.

Nondimeno, è innegabile che alcuni figuri, attraverso un sostanziale contributo ideologico e/o empirico alla causa perorata, siano tanto indissolubilmente legati alla stessa da diventarne – per la storiografia come per l’immaginario collettivo – icone perenni.

La dissoluzione mondialista in cui il globo sta sprofondando, sotto i colpi della turbo-finanza, ha il suo asso in George Soros.

In questa sede non ci soffermeremo tanto sulla famigerata guerriglia finanziaria condotta dal magnate americano di origini ungheresi – formatosi nel torpore del pensiero popperiano e campione del filantropismo radical-chic – come  l’attacco sferrato nel 1992 contro la nostra valuta, quando il fondo Quantum da lui creato e gestito,  vendendo  lire allo scoperto contro dollari, costrinse il governo italiano di allora a vendere quasi 50 miliardi di dollari di riserve auree, provocando una svalutazione della lira pari al 30% e sancendone l’uscita dallo Sme.

Non vogliamo, d’altra parte, dilungarci nello stillare la sin troppo lunga lista dei colpi di stato (pardon: rivoluzioni colorate) ideati e foraggiati da Soros.

Nonostante questi e altri indubbi successi per ciò che concerne la destabilizzazione globale funzionale all’egemonia della finanza internazionale, ciò che rende George Soros qualcosa più che una mera icona del mondialismo è la sua visione. Mai nessuno quanto lui ha, infatti, investito nella formazione della prossima generazione di volonterosi speculatori, affaristi, diplomatici e opinionisti, tutti sposati alla causa del disordine plutocratico di cui egli è, alla veneranda età di 86 anni, punta di diamante. L’officina che forgia gli enfants prodiges dell’affarista dem è la Central European University di Budapest. Sin dalla sua inaugurazione nel 1991, la CEU ha soddisfatto le esigenze accademiche e formative della finanza internazionale e dell’atlantismo, promuovendo la sovversione culturale del Continente Europa tramite l’aggressivo indottrinamento al determinismo. Questa rivoluzione culturale si regge in realtà su di un’impalcatura tanto semplice quanto efficace: la tauromachia tra Stato –simbolo del male – e individuo sradicato e apolide – essenza del bene e della libertà, pienamente realizzato nelle organizzazioni sovranazionali. Questo paradigma, quest’opposizione tra socializzazione ‘tritacarne’ e idillio dell’iniziativa privata costituisce l’argomento principale del ciclo annuale di conferenze intitolato The Individual vs. The State, tenutosi per oltre dieci anni alla Central European University.

Dal sito dell’edizione del 2013 leggiamo:

La libertà è spesso ristretta per far spazio ad altre libertà che prima non erano prioritarie, o per motivi connessi a quanto i filosofi (iniziando con Tommaso d’Aquino) chiamano libertà “reali”. Queste sono spesso determinate dalle maggioranze e dalle tradizioni, senza riferimento alcuno all’autonomia personale.

La libertà superiore, acriticamente e preventivamente identificata con l’autonomia personale (leggi: libero mercato) sarebbe quindi mortificata e sacrificata a favore di libertà “reali” come, azzardiamo, nazionalizzazione della produzione del denaro e diritto all’autodeterminazione, sintomo delle ‘tradizioni’ e degli umori del popolo bue.

La Central European University forma i nuovi emissari del mondialismo in ragione di un apparato teoretico in cui strutturalismo, esistenzialismo e relativismo concorrono alla decostruzione socio-culturale dell’Europa.

Esemplificativa, a tal proposito, è la presenza dei due master offerti dal Dipartimento di gender studies – vero fiore all’occhiello di ogni ateneo liberal che si rispetti, ove nel 2014 si è tenuto un seminario sull’etica esistenzialista di Simone de Beauvoir. Stando alla descrizione dell’evento, il concetto di libertà espresso dalla pensatrice femminista sarebbe in totale accordo con le fondamenta teoriche dei diritti umani. Possiamo pertanto immaginare che il suo categorico rifiuto a firmare la richiesta di grazia per Robert Brasillach – colpevole, ricordiamolo, di reato d’opinione – sia stato garbatamente omesso in quella sede, giacché poco funzionale alla narrativa proposta.

L’indottrinamento non si limita ovviamente alla teologia del gender, ma interessa una moltitudine di altri corsi. Il Master in studi sul nazionalismo, ad esempio, prevede un insegnamento di sociologia avente come obiettivo dichiarato l’individuazione aprioristica di un nesso di causa-effetto tra nazionalismo e pregiudizio nei confronti delle minoranze.

Inoltre, i più meritevoli tra gli studenti del corso di laurea in diritti umani svolgono attività di tirocinio presso l’Open Society Foundation, ONG con cui Soros ha pesantemente influenzato il corso politico dell’Europa Orientale, come avvenuto con i primi tre premier della Polonia post-comunista, Mazowiecki, Bielecki e Suchocka, crociati ‘riformatori’ sulla strada del liberismo e dell’integrazione europea, i cui governi sono stati plasmati e generosamente finanziati dallo speculatore d’oltreoceano.

La Central European University sembra anche essere la scelta accademica privilegiata dall’élite politica della Georgia, avamposto atlantista in Eurasia.

Qua, infatti, si sono laureati l’attuale Presidente georgiano Giorgi Margvelashvili e Tina Khidasheli, membro del Partito Repubblicano e attivista che ebbe un ruolo di spicco nella cosiddetta ‘Rivoluzione delle Rose’. Coincidenza vuole che la Khidasheli, convinta sostenitrice della deriva atlantista della Georgia, sia stata presidente (o presidenta, Laura Boldrini?) dell’Open Society Georgia Foundation dal 2004 al 2005. Che a pensar male ogni tanto ci si azzecchi?