Ecco perché ho festeggiato la Brexit

04.07.2016

Mi è stato di recente chiesto perché festeggiassi con tanto ardore la Brexit, o meglio, la domanda è stata: perché festeggi la Brexit, quando vedo e sento che tutti ne sono spaventati e dispiaciuti? Domanda legittima, e più che sensata. La risposta? Perché sono euroscettico e antieuropeista.

La cosa che mi ha sempre più spaventato dell’UE non è il fatto che sia stata imposta ai popoli europei senza prima chiederlo, come impone la base dell’educazione, ovvero il galateo, bensì la bandiera. A mio avviso una delle cose peggiori dell’Unione di cui siamo membri è la glaciale nullità della sua bandiera. Sventolata a più non posso, me la ritrovo ovunque, nelle scuole elementari e superiori, in Università, fuori dai comuni e dai palazzi pubblici. A volte, e questo è ridicolo, è presente solo la bandiera europea e nemmeno quella cittadina o quella italiana: raggelante. Questa bandiera è il perenne monito dell’Unione: “ovunque tu vai noi saremo lì, siamo già lì, noi ci siamo, e tu non puoi farci niente”. Ma la cosa più terrificante di questa bandiera è la sua forma stessa: un cerchio di stelle gialle in campo blu. Cosa rappresenta? Ad informarsi su internet si leggono banalità come: nello sfondo blu come il cielo le dodici stelle rappresentano i popoli liberi d’Europa. Che il cerchio sia un simbolo fondamentale per la storia europea e del mondo non lo metto in dubbio, anzi è forse l’unico elemento positivo, nonostante ciò il disco dell’Europa è vuoto, al suo interno non vi è nulla. C’è un abisso siderale in quel silenzioso cerchio di stelle, un abisso così profondo e denso di significato che sottolinea ogni istante la distanza fra il cittadino comune e le élite politiche che dall’alto delle loro posizioni stellari osservano in basso, osservano noi.

La stessa nascita dell’Unione Europea è volta a dividere e separare. Essa nacque come scimmiottamento dei veri padroni d’Europa: gli Stati Uniti d’America. Il contesto storico era terribile: da pochi anni era finita la Seconda Guerra Mondiale, il continente europeo usciva distrutto e piegato. La Germania era stata rasa al suolo dai bombardamenti e dalla guerra, metà di essa era occupata dai sovietici; l’Italia usciva dalla guerra civile, piegata e spezzata. I paesi vincitori avevano pagato un prezzo di sangue così alto da compromettere per sempre il ruolo egemonico europeo nel mondo. Una nuova minaccia si profilava all’orizzonte per i “liberi” Paesi europei e il mondo capitalistico occidentale a guida USA-UK: l’URSS. I comunisti avevano occupato, nella loro marcia trionfale contro le armate tedesche in fuga, gran parte dell’est Europa e avevano imposto ai paesi liberati regimi comunisti. Sconfitto il nemico comune, i vecchi alleati si preparavano allo scontro, i tempi di Yalta erano finiti. Serviva così agli USA, per difendere al meglio le loro nuove posizioni sul continente, un’Europa forte ed unita: da qui il piano Marshall e l’aiuto alla ricostruzione, l’arrivo del libero mercato statunitense e i primi accordi commerciali che avrebbero dato il via alla creazione dell’Unione.

Così l’UE sorgeva dalle ceneri di un mondo distrutto per sostenere e difendere il potere dei nuovi padroni: i paesi UE erano membri della Nato (tranne la Francia, grazie a uomini come De Gaulle), e si opponevano con forza al blocco sovietico. Un vistoso segnale dell’ingerenza USA è tutt’oggi il costante allargamento della NATO verso i paesi che, una volta caduto l’URSS, divennero di nuovo indipendenti: Romania, Polonia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, Estonia, Lettonia e Lituania. Espansione giustificata con l’assurda obiezione di doversi difendere da una possibile aggressione russa.

A coloro che obietteranno questo mio articolo dicendo che l’Europa Unita serve per far prosperare l’economia, perché noi avremmo una Lira debole e non potremmo più competere con il mondo io non rispondo nemmeno. Non starò qui a parlare di quanti soldi l’UE abbia fatto perdere al cittadino comune, all’operaio e al lavoratore, non parlerò di quote latte o dei milioni di kg di arance che in Sicilia vengono distrutte ogni anno per rispettare gli standard europei. Non risponderò parlando dell’Europa che permette di agevolare la fermentazione del vino con i truciolati o ai croati di creare un vino e chiamarlo “Prosek”, parodiando così il prosecco nostrano. Non parlerò dei debiti della Grecia e non citerò i vari accordi commerciali con l’America a cui dobbiamo sottostare, non ultimi TISA e TTIP. Nemmeno citerò l’Euro, grazie al quale, per Romano Prodi, avremmo dovuto lavorare un giorno in meno guadagnando come se lavorassimo un giorno in più.

Ad una persona che mi parlerà di economia io risponderò che in essa non ci credo. Io non credo nell’Unione Europea perché essa non è nata su basi politiche, bensì su fondamenta economiche. Non v’era, nelle menti dei politici europei, la visione di una politica comune, di un progetto politico e filosofico, bensì la necessità di benessere economico. Sono ancora una di quelle persone che crede nell’inversione dei rapporti fra economia e politica. Alla base di un progetto unitario continentale non deve esservi il primato dell’economia e della finanza, delle banche e del guadagno, bensì quello della convivenza comune, del quieto vivere e del benessere della comunità umana. Datemi pure del matto, ma io credo in un mondo dove non esisteranno più “governi tecnici” e “professionisti dell’economia” al governo, bensì in un mondo dove l’economia è al servizio del cittadino e non viceversa.

Al giorno d’oggi se si è euroscettici si viene bollati come fascisti, nazisti e anche razzisti. Si dice che le politiche antieuropeiste siano basate sul nazionalismo e sul profondo odio verso gli immigrati. Perché allora partiti politici comunisti di mezza Europa sono aggressivamente nemici dell’Unione Europea? Mai dimenticherò il giorno in cui Marco Rizzo, Segretario del Partito Comunista Italiano, stracciò in diretta tv un foglio con sopra la bandiera dell’Unione. Forse che a sua insaputa sia diventato nazionalsocialista? Non credo proprio. Credere in un’altra Europa, non serva di banche e banchieri, è possibile: il 23 giugno 2016 il popolo del Regno Unito lo ha dimostrato con un grandioso successo della democrazia.

L’Unione Europea che tanti difendono è la stessa i cui Paesi membri hanno appoggiato le manovre politiche statunitensi nel Medio Oriente. L’invasione dell’Afghanistan, l’invasione dell’Iraq, la creazione di movimenti di protesta organizzati che hanno portato inevitabilmente alle primavere arabe, facendo così crollare nel caos Paesi ricchi e sicuri quali Egitto e Libia. Una politica imperialista che tutt’ora, nonostante clamorosi insuccessi, sta andando avanti in Siria, dove gli USA appoggiano in maniera conclamata organizzazioni terroristiche come Al-Nusra, per far cadere il legittimo presidente Bashar Al-Assad. Politiche egemoniche che hanno causato da anni a questa parte la crisi dei migranti, dove migliaia e migliaia di disperati tentano la via del mare o di terra, mandando al collasso i sistemi d’accoglienza dei Paesi del Mediterraneo e dell’intera Unione. E proprio quando l’Europa deve fare fronte comune contro questa crisi umanitaria ecco che ogni Paese fa da sé, ognuno pensa a curare i propri interessi economici, dimostrando quanto fallace e menzognera è questa farsa. Una comunità basata sugli interessi di banche e finanza non sarà mai capace di affrontare in maniera decisa e ottimale una qualsivoglia crisi politica.

A coloro che nonostante tutto dicono che essa va cambiata dall’interno, come il nostro premier Renzi e non ultimo Beppe Grillo, io non posso fare altro che augurare buona fortuna. È difficile infatti costruire un edificio stabile se le fondamenta su cui si lavora sono di sabbia e per di più in mezzo al bagnasciuga. L’Unione deve crollare, deve diventare un brutto incubo del passato, così come l’Euro e le folli imposizioni della banca centrale europea. Ecco perché sono antieuropeista: perché credo e sogno la vera Europa, quella che non tradisce la sua storia millenaria e le sue tradizioni, quella che non accusa gli anziani per aver votato “Leave”, ma li ringrazia perché grazie a loro, che hanno vissuto prima e dopo l’incubo UE, potremo essere davvero liberi. Sogno un’Europa che crede nei suoi valori antichi e che lavora per il meglio dei suoi popoli, libera dalla “spending review” e dalla troika.

Per questo ho festeggiato la Brexit e la festeggio tutt’ora, perché il Regno Unito non esce dall’Europa ma dall’UE, che sono due cose totalmente diverse, perché un popolo è ritornato ad essere sovrano, perché la democrazia per una volta ha funzionato in barba all’alta finanza e alla politica dell’austerity. Festeggerò il Brexit anche se da qui a cinque anni il Regno Unito scomparirà per far posto a Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, perché saranno finalmente di nuovo i popoli ad autodeterminarsi e a riconquistare il loro destino. Con il voto del 23 giugno il Regno Unito ha strappato il proprio destino dalle mani di chi glielo aveva rubato, riappropriandosene con grande coraggio. Ora sta a noi iniziare a combattere per avere questa stessa possibilità, la possibilità di poter decidere autonomamente se tornare ad essere un popolo sovrano, o rimanere uno dei tanti servi del sistema UE. Sono un antieuropeista perché sogno l’Ex-It, per poter così tornare padrone del mio futuro.