L’Italia è l’inizio della grande rivoluzione populista che cambierà il mondo
Questo non è un momento storico come gli altri. Questo è il momento in cui ha inizio la «grande rivoluzione anti-liberale»: quella del popolo contro le élite, del diritto del cittadino contro il diritto dell’uomo, dell’identità nazionale contro la non-identità globale. In altre parole, come spiega il filosofo russo Alexander Dugin, controverso ma notevole personaggio dell’estrema destra russa, è l’ennesimo scontro tra “civiltà di mare” (mercantile, dinamica) e “civiltà di terra” (statica, tradizionale). Scontro che in questo caso cambierà le sorti dell’Europa e, si immagina, del mondo intero.
Arriva a Milano per presentare insieme al filosofo Diego Fusaro il suo ultimo libro, Putin contro Putin, edito dalla casa editrice Aga. Dugin è noto per aver elaborato una Quarta Teoria Politica (che supera fascismo, comunismo e liberalismo) ma soprattutto per la sua vicinanza al presidente russo Vladimir Putin («Non tanto mia – precisa – quanto delle mie idee»). E sono idee piuttosto chiare, in paricolare in geopolitica: «per l’Europa questo è il momento migliore» perché «oggi ha la possibilità di ritrovare la sua sovranità, il suo ruolo del mondo». Può ancora «ritornare libera» – ma, come è intuibile, non liberale – «proprio grazie all’aiuto della Russia».
Partiamo proprio da qui: cosa intende quando parla dell’aiuto della Russia?
Come è noto, dal punto di vista geopolitico ci sono tre poli: gli Usa, con la loro enorme potenza, l’Europa, che in passato è stata indipendente e sovrana e ora è diventata una colonia strategica degli Stati Uniti – è questo il senso della parola “atlantismo”, nata proprio con il dominio americano – e infine la Russia. Un terzo polo che non è europeo né asiatico ma eurasiatico: una novità rispetto al dualismo della Guerra Fredda. Ora: oggi la Russia è più debole rispetto ai tempi dell’Unione Sovietica, ma più forte rispetto ai tempi di Eltsin, in cui rischiava il crollo. Non ha più una funzione di dualismo contro gli Stati Uniti (ruolo che tocca alla Cina) e, soprattutto, non rappresenta più un pericolo né una sfida per Europa e Stati Uniti. È nella posizione di essere, invece, la sua salvezza.
Cioè?
Oggi, con Trump al governo negli Stati Uniti e con una Russia forte ma non minacciosa, l’Europa ha la possibilità di ristabilire il suo ruolo geopolitico. E per questo credo che questo sia il momento ideale. Non si tratta di abbandonare gli Usa per abbracciare la Russia, come sarebbe potuto succedere durante la Guerra Fredda. No: la Russia non ha né le pretese né le risorse, per occuparsene. L’Europa può, oggi, affermarsi con un suo ruolo indipendente sia dagli Stati Uniti che dalla Russia. Ma seguendo un suo cammino di sovranità sull’esempio dato dalla Russia.
Ma come funzionerebbe questa riaffermazione di indipendenza? L’Europa, oltre a essere poco libera, non è nemmeno unita.
Ad esempio, attraverso la formazione “Grande Europa” immaginata da Putin, che arrivi dall’Atlantico fino a Vladivostok. In altre parole, con un’alleanza tra Eurasia ed Europa occidentale. Perché ciò avvenga, gli alleati naturali sarebbero alcuni Stati europei importanti, cioè i francesi e tedeschi, che sono il centro del continente. Del resto è da tempo che la Russia cerca rapporti e contatti più stretti, soprattutto con la Germania e, in via politica con la Francia. Stava quasi per realizzarsi un asse Berlino-Parigi-Mosca in occasione della guerra in Iraq, ma poi è fallito. E il motivo è sempre lo stesso. I nemici, in particolare, sono sempre gli stessi.
I populismi distruggeranno questa Unione Europea. Ormai è impossibile fermarli: la Ue non è più rappresentativa e non lo può nemmeno essere perché non corrisponde ai desideri e alla volontà del popolo
E chi sono?
Gli atlantisti, i globalisti, i mondialisti che mantengono il controllo sull’Europa. E il risultato logico è la sua decadenza, il suo declino. È per questo che i Paesi più sovrani, cioè quelli che vogliono affermarsi come europei, hanno già cominciato la loro rivolta contro questa Unione Europea.
Paesi “più europei” perché portano avanti un europeismo anti-Ue?
Esatto. L’Unione Europea deve uscire da questa situazione indefinita, in cui è contesa dal polo atlantista e filo-americano, e un altro polo che – attenzione – non è russo, ma è europeo. Vive un’esitazione tra due posizioni come durante la Guerra Fredda, quando oscillava tra America e Russia, ma stavolta oscilla tra America (intesa come polo atlantico) ed Europa, intesa come l’Europa delle radici. Oggi l’Unione Europea non è più europea e non vuole essere europea. E questa è la vera origine delle tensioni drammatiche tra Italia e Ue, tra Italia e Germania.
Mi faccia capire: esiste un’Europa più europea e una meno europea?
Diciamo che l’Europa ha perso la sua identità geopolitica. E allora l’attitudine negativa, quasi distruttiva, da parte di Italia, Austria, Ungheria (l’altra Europa) è la logica conseguenza dell’assenza di volontà e di strategia di autoaffermazione da parte delle istituzioni centrali.
E la soluzione quale sarebbe?
Semplice. Il ritorno dell’Europa a una strategia sovrana e indipendente da Usa e da Russia. Questi piccoli sovranismi nazionali cui assistiamo non si riconoscono nell’Europa globalista, ma chiedono un ritorno al sovranismo europeo. I primi passi, per fortuna, li abbiamo visti con le parole della cancelliera tedesca Angela Merkel sull’immigrazione. O con l’annuncio dato da Francia e Germania di voler organizzare un Consiglio di Sicurezza diverso da quello della Nato. Sono tendenze politiche generali, ma chiare.
Ma questi “piccoli sovranismi nazionali” non promuoveranno piuttosto interessi locali?
Dipenderà da cosa faranno Francia e Germania. Se cambieranno il loro atteggiamento nei confronti degli Usa, riaffermando la loro volontà di indipendenza e sovranità, allora cambieranno anche i sovranismi nazionali. Se al contrario continueranno con la linea attuale, allora i populismi distruggeranno questa Unione Europea. Ormai è impossibile fermarli: perché la Ue non è più rappresentativa, non lo può nemmeno essere perché non corrisponde ai desideri e alla volontà del popolo. Oggi la democrazia liberale si definisce come il potere delle minoranze non elette sulla maggioranza dei cittadini. Quelle fanno i colpi di stato contro la Costituzione, le maggioranze reagiscono allora votando i Salvini, i Di Maio, le Marine Le Pen, o i Kurz. Destra o sinistra, non conta più. È una rivolta di popolo contro le élite, cioè contro le minoranze che vogliono difendere apertamente gli interessi delle minoranze. Se questa è la nuova forma della democrazia, ecco, al popolo non piace.
Per i liberali l’identità una cosa da distruggere. Ma distruggere l’identità significa distruggere il popolo: da qui nasce il populismo, che altro non è che l’accusa fatta al popolo di essere popolo.
In tutto questo però ci sono anche i migranti, spesso al centro di questo scontro.
È il punto simbolico più grande. I migranti sono il caso in cui una questione tecnica e marginale, cioè la gestione dell’immigrazione, rivela un contrasto ideologico insanabile.
Quale?
Questo: l’ideologia liberale dominante si fonde sull’assimilazione dell’uomo con il cittadino. È, in altre parole, l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo questa visione, ogni essere umano gode di particolari diritti universali. Questa posizione ideologica ha come conseugenza che gli Stati siano obbligati a trattare tutti, anche gli stranieri e gli immigrati, come se fossero loro cittadini.
È così.
Ma questa è solo l’applicazione pratica di un’ideologia più ampia, che invece vuole distruggere e assimilare le tradizioni, le culture e le storie dei popoli. E allora il popolo ha una reazione: sarà pure viscerale, sarà organica, ma va al punto perché ha una sua origine politica, ideologica, metafisica. Resiste, anzi combatte questa ideologia. E allora succede che il semplice migrante, la semplice nave che li trasporta – elementi che di per sé non avrebbero alcun interesse sociale – diventano in questo campo di battaglia qualcosa di più grande: il segno della grande scelta di radicalità di questa civiltà.
Si spieghi meglio.
I liberali insistono in questa ideologia di forte ostilità al popolo. Per loro il popolo è una cosa negativa, perché è rischioso e incontrollabile e, se male indirizzato, potrebbe portare all’instaurarsi della dittatura o al governo di un leader forte. Allora la lotta che oggi viene fatta dalle élite contro Salvini, Di Maio e Orban altro non è che la lotta contro l’idea, sì, l’idea, che l’identità sia una cosa positiva. Per i liberali difendere il valore dell’identità di un cittadino o difendere l’identità nazionale costituisce il peggior male possibile, una cosa da distruggere. Ma distruggere l’identità significa distruggere il popolo: e da qui nasce il populismo, che altro non è che l’accusa fatta al popolo di essere popolo.
Ma gli altri reagiscono.
Eccome. Noi stiamo vedendo, di fronte a questa repressione, la reazione dei sovranisti: ebbene, questo è l’inizio della grande rivoluzione anti-liberale. Non è una correzione del liberalismo, no: è l’inizio della grande lotta sistematica dei popoli contro le élite liberali, contro le ideologie portate avanti dai Clinton, da Obama, da Soros, contro la promozione della globalizzazione sociale e politica. Non – e sia chiaro – non contro il controllo dell’immigrazione. Quello, come ho già detto prima, è solo un aspetto tecnico che si trova a rivestire una dimensione metafisica decisiva.
Metafisica?
Sì: oggi l’Europa decide il suo “Essere o non essere”: cioè essere un’Europa con identità, o non essere Europa. Perché senza identità l’Europa non è Europa: è solo un territorio, come l’Africa, o l’Antartide.
Il Rinascimento è la forma culturale assoluta: e l’identità italiana è nella sua radice un’identità rinascimentale
L’Europa decide, ha detto. Ma, nel concreto: a chi tocca davvero questa scelta?
Oggi decide chi governa e proprio questo è il problema: è il popolo o è l’élite a governare? Si può dire che ci siano, in realtà, due governi: quello del popolo, rappresentato legittimamente in Italia, in Ungheria e in Austria, e quello europeo, che decide ogni volta in senso opposto. Questo è interessante. È l’inizio della lotta politica della nuova generazione, anzi della politica stessa della nuova generazione che – secondo me – dovrà portare alla creazione del populismo integrale.
In cosa consiste?
Un populismo che non sia né di destra né di sinistra, ma rappresentativo del popolo. Oggi in Italia assistiamo a una novità politica importante, un primo passo, cioè un’alleanza tra destra e sinistra. Già questo è notevole: cosa sarebbe successo se Marine Le Pen si fosse alleata con Jean-Luc Mélénchon? Il caos. O Donald Trump con Bernie Sanders? Sarebbe scoppiato tutto il sistema. O se Syriza si fosse unita ad Alba Dorata? Avrebbero cacciato la Grecia da tutto, sia dall’euro che dall’Unione Europea. E invece, ecco: in Italia è successo. Per la prima volta si supera la divisione destra-sinistra. Ha vinto Salvini, che con le sue felpe e le sue magliette ha contribuito a far smetter di demonizzare il populismo, e anche Di Maio. Insieme a loro ha vinto anche il popolo, in questa nuova lotta contro le élite per ritrovare la propria identità.
Ma dove si trova l’identità di un popolo?
Nella sua cultura.
Quale cultura, però? In Italia, ad esempio, in molti casi è espressione dal dominio americano: film, riviste, magazine. Come si fa a definire identitario un tratto culturale e non identitario un altro tratto culturale?
È una questione aperta. L’Europa è, come ho già detto, una colonia strategica, economica e culturale dell’America. Il problema è che con la politica di Donald Trump le cose sono cambiate: oggi l’Europa è una colonia che non desta più alcun interesse nella madrepatria. Un fatto deplorevole, per usare la celebre espressione di Hillary Clinton. E gli europei che si considerano globalisti, di conseguenza, sono i veri deplorables. Che cosa occorre fare con loro? Non lo so: non è un problema che c’è in Russia. Anche da noi esistono questi deplorables ma sono pochissimi e non decidono niente. Hanno rappresentanza in Parlamento, certo. Esistono. Ma non decidono. Del resto noi siamo russi, siamo orgogliosi della nostra cultura .
I russi hanno recuperato un’identità culturale precedente al comunismo. Gli italiani fin dove nel passato dovrebbero andare?
Questa è una cosa che devono decidere gli italiani. A quale cultura dare valore? Quale aspetto percepito come “italiano” occorre promuovere? Quale mondo di idee recuperare? Non ve lo posso dire io: sono russo. Se lo facessi sarebbe un atteggiamento globalista, razzista, mondialista.
Certo, ma come intellettuale cosa suggerirebbe?
Per me il Rinascimento italiano è la forma culturale assoluta. Ha avuto effetti grandissimi su tutti gli altri popoli, anche su noi russi. Io adoro il Rinascimento e credo che l’identità italiana (poi magari mi sbaglio) sia nella sua radice un’identità rinascimentale. Non medievale. Credo anche che il Risorgimento sia la continuazione del Rinascimento in un altro ciclo storico.
Nel Rinascimento però l’Italia non era unita.
No, certo. Aveva e ha ancora grande varietà al suo interno, con gruppi diversi etnicamente e culturalmente. In questo senso è una ricchezza, ma una ricchezza organica, con i tedeschi sulle Alpi e i francesi valdostani e valdesi, o i siciliani, che sono del tutto diversi. Invece, la diversità data dai rifugiati che non vogliono accettare e comprendere la vostra cultura e i vostri valori è una diversità anti-organica e pericolosa. Se li accettassero e li studiassero non vedo allora nessuna ragione per rifiutarli, no?
Parliamoci chiaro: noi russi conosciamo bene la dittatura, sappiamo bene come è fatto l’autoritarismo, lo abbiamo vissuto. Il regime di Putin è la cosa più democratica che abbiamo mai avuto
E il cattolicesimo non costituisce un fattore identitario importante?
Certo. È la forma più importante dell’identità tradzionale europea e latina. Ma anche qui: ci sono molte forme di cattolicesimo e di cattolicità. Gli italiani, se vorranno, dovranno scegliere la forma più importante per loro. Io ritengo che quella Rinascimentale fosse molto ricca e, soprattutto, non è modernizzata. È diversa e può ancora dare molto.
Una domanda su Putin. Anzi: sul dopo-Putin. Chi verrà, secondo lei, dopo di lui?
Putin è una figura simbolica: nessuno comprende Putin, lui è totalmente nascosto. Essendo un simbolo ha un ruolo fondamentale nel contesto internazionale: con il suo esempio mostra il cammino da seguire per far rinascere il Paese.
In che senso?
Al tempo di Eltsin la Russia versava in una situazione disperata, conseguenza diretta dell’adesione al liberalismo. Putin con il suo intervento ha corretto la direzione, senza però instaurare una dittatura o portare in auge il nazionalismo, o un autoritarismo vero. Parliamoci chiaro: noi russi conosciamo bene la dittatura, sappiamo bene come è fatto l’autoritarismo, lo abbiamo vissuto. Il regime di Putin è la cosa più democratica che abbiamo mai avuto.
Messa così, è vero.
Putin ha corretto questa democrazia attingendo a un bagaglio culturale tipicamente russo, e per questa ragione ha ricevuto grandi apprezzamenti. Ora credo che siamo arrivati nel mezzo del cammino della restaurazione del Paese. Il cambiamento definitivo arriverà dopo di lui.
E come sarà?
Non è sicuro. È possibile che continui in questo modo, solo con più velocità. Oppure ci sarà di nuovo una fase di decadenza e un ritorno al disordine dell’epoca di Eltsin. Putin, dal canto suo, non ha fatto nulla per garantire la continuazione del suo corso. Questo è un pericolo sia per noi che per gli altri Paesi, perché una Russia forte e sovrana serve a tutti, anche agli Usa. Senza un controllo organizzato sul nostro territorio sarà il caos: si pensi solo al controllo del nostro arsenale atomico. La Russia di oggi, che esiste nelle sue forme e nei suoi limiti attuali, è un bene per tutti. Anche perché, come dicevo all’inizio, rappresenta una via di salvezza per i Paesi che vogliono tornare a essere liberi. Non russi, ma liberi.