Referendum, le Ragioni del No. Tre buone ragioni per votare No
Ci sono almeno tre buone ragioni per votare No al Referendum che si terrà in Italia il 4 dicembre per confermare o meno la riforma della Costituzione voluta dal governo Renzi e dal Ministro per le Riforme Maria Elena Boschi.
La prima riguarda il metodo.
C’è modo e modo di fare le cose. Non è una questione di lana caprina: la forma spesso è sostanza, soprattutto in politica. E lo è ancora di più quando si affrontano temi delicati come la modifica della Legge fondamentale dello Stato.
Nessuno, infatti, contesta la necessità di aggiornare o, addirittura, riscrivere interamente la Costituzione della Repubblica italiana. Ma non essendo, la Costituzione, un provvedimento qualunque, ma il quadro normativo di riferimento dell’intera vita economica, sociale, politica ed amministrativa di un paese, non è accettabile che essa venga riformata in fretta e furia a colpi di maggioranza, da un parlamento ordinario.
Non solo.
E’ molto grave che una modifica della Costituzione così ampia, ben 47 articoli, circa un terzo dell’intero testo, sia stata approntata senza tentare di coinvolgere un numero quanto più ampio possibile di forze politiche presenti in Parlamento. Tanto più che la maggioranza parlamentare, in virtù di una legge elettorale maggioritaria, peraltro incostituzionale in base alla sentenza della Consulta, non è nemmeno rappresentativa della maggioranza dei cittadini.
L’unico percorso plausibile e degno di una riforma così importante dovrebbe prevedere la convocazione di un’Assemblea Costituente, eletta attraverso un sistema elettorale proporzionale, della durata massima di due anni. Un metodo analogo, insomma, a quello seguito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
La verità è che una Costituente avrebbe potuto essere convocata già nel 1994, come all’epoca proposero diversi esponenti politici. Si preferì invece passare dalla Prima alla Seconda Repubblica de facto e non de jure, come in tutte le altre democrazie occidentali, creando in Italia una confusione istituzionale che in vent’anni ha polverizzato la qualità della politica italiana.
Eppure, c’è ancora la possibilità di recuperare, evitando ulteriori soluzioni pasticciate. Basta volerlo.
E, a proposito di pasticci, passiamo alla seconda ragione per cui è fondamentale votare No al Referendum. E’ una ragione di merito.
Si tratta di una riforma imponente, ma che potrebbe creare molta confusione nel funzionamento delle istituzioni della Repubblica, un po’ come è accaduto con l’abolizione delle Province.
Questo succede quando, sull’onda della demagogia e del tornaconto politico a breve termine, si fanno i pasticci di cui parlavamo.
Il Senato ad esempio. A parte il fatto che non è stato per niente abolito: ci si è limitati solamente a privare gli elettori della possibilità di eleggerlo. Anche il famoso risparmio sui costi della politica, si riduce a meno dell’1% degli attuali costi di funzionamento. Per avere tagli reali si sarebbero dovuti licenziare funzionari, uscieri, dirigenti e smantellare infrastrutture ed uffici. Bisogna mettersi in testa una volta per tutte che la democrazia ha dei costi, se la si vuole preservare, e la burocrazia ne ha molti di più (e là si potrebbe fare qualcosa, ma questo è un altro discorso…).
Il dato inquietante, però, è un altro: del nuovo Senato non sono chiare le competenze ed i meccanismi di funzionamento. Alla faccia della sbandierata semplificazione, lieviterebbero a dismisura le procedure per l’approvazione delle norme: ben 18!
Anche la famosa storiella, di berlusconiana memoria, ma ripresa fedelmente da Renzi, secondo la quale in Italia il parlamento lavora lentamente, rendendo difficile la governabilità e la produzione di leggi, va stroncata una volta per tutte.
In Italia, rispetto agli altri principali paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Germania), si emanano molte più leggi, addirittura il triplo secondo il Financial Times. Il vero problema è un altro: che si tratta di leggi scritte male, farraginose, contraddittorie, ideali per rendere chi lavora nella Pubblica Amministrazione padrone del paese. Alla faccia della casta dei politici. Insomma, in Italia non c’è nessun problema di lentezza nell’approvazione di nuove norme. C’è un problema, invece, di norme inefficaci ed opache.
Inutile dire, poi, che la prassi della decretazione d’urgenza ha ampiamente risolto il problema della governabilità.
Parlando, però, di cose più serie, va detto che la riforma Renzi-Boschi si presenta particolarmente punitiva nei confronti delle regioni del Sud, che perderebbero una serie di meccanismi di solidarietà ad esse riconosciuti dalla Carta attuale. Anche la sovranità nazionale verrebbe seriamente compromessa, in virtù dei vincoli posti al parlamento nazionale rispetto alle direttive emesse dall’Unione Europea.
Non è un caso se la Riforma piace così tanto ai mercati finanziari e ai tecnocrati di Bruxelles.
La terza ragione che ci spinge a votare No, infine, è eminentemente politica.
Il Presidente del Consiglio Renzi ha voluto, nei mesi scorsi, legare il suo destino politico all’approvazione della Riforma tramite il Referendum. Oggi è tentato di fare marcia indietro su questo punto, ma è difficile.
E’ da irresponsabili, politicamente parlando, legare l’approvazione della Legge fondamentale dello Stato alle proprie fortune personali. Basterebbe questo per spingere tutti a votare No e tirare le somme di un giudizio altamente negativo nei confronti del premier italiano, arrivando a dubitare che sia persino afflitto da megalomania.
A ciò va aggiunta la necessità per l’Italia di liberarsi di un governo approssimativo, estremamente ciarliero, ma fondamentalmente debole rispetto ai ricatti che il paese subisce a livello internazionale, come dimostra la famosa questione della “flessibilità” nelle politiche di bilancio che Bruxelles, nonostante le colorite sceneggiate del Presidente del Consiglio, non ha in alcun modo voluto concedere.
Gli piaccia o meno, in caso di sconfitta, Renzi, all’indomani del voto referendario, sarà costretto a rimettere il suo mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. Quand’anche Mattarella lo reincaricasse, il suo sarebbe un esecutivo diverso, un “governo di scopo”, incaricato di sbrigare l’ordinaria amministrazione e di fare una nuova legge elettorale. Dovrebbe, in ogni caso, abbandonare le forme di “bullismo politico” che lo hanno caratterizzato e lasciar perdere, soprattutto, con le sue politiche regressive dal punto di vista sociale e volte, secondo il modello anglosassone, a smantellare i corpi intermedi su cui si regge la coesione della società italiana. E nonostante le acrobazie retoriche di Renzi, sarebbe anche e soprattutto un No politico all’attuale Unione Europea, agli USA, ai maggiori players dei mercati finanziari che, senza alcun riguardo per la sovranità del popolo italiano, continuano a minacciare fantasiosi scenari apocalittici in caso di mancata vittoria del Sì.
Spiacenti, a casa nostra decidiamo noi. Il 4 dicembre vincerà il No. E non assisteremo alla fine del mondo.