Asia centrale

Nelle vaste distese dell’Eurasia, la forma più efficace di struttura statale – l’impero – sta rivivendo. Le costruzioni della Grande Rivoluzione Francese sembrano gradualmente ritirarsi nel passato, lasciando il posto a più naturali unificazioni di nazioni e tribù su basi religiose e culturali. La Turchia, in particolare, è diventata il nucleo chiaramente distinguibile di tale processo. Tuttavia, i suoi piani etno-culturali in Eurasia dovevano essere attuati senza l’ex fondamento “appiccicoso” dell’Impero ottomano, l’Islam. Prima del suo crollo, tutti i musulmani del mondo consideravano il sultano turco come il Califfo, il vice di Dio nel mondo dei vivi: gli Ottomani possedevano le città sante musulmane (la “culla dell’Islam”) nella penisola arabica – La Mecca e Medina. Per il momento, quindi, la Turchia ha dovuto accontentarsi dell’unità culturale e linguistica. Ma anche in questo caso le insidie stanno diventando più chiare.

In mezzo a gravi scossoni nel mondo della geopolitica, è davvero appropriato che il vertice dei capi di Stato dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) di quest’anno si sia svolto a Samarcanda, il crocevia per eccellenza della Via della Seta da 2.500 anni.

Anche se c’è sempre la possibilità che gli eventi vadano temporaneamente fuori controllo, le probabilità sono drasticamente ridotte contro chiunque, locale o straniero, speri di armare con successo le percezioni sulle riforme co