La lettera del Senatore
06.06.2019
Come ho già scritto altre volte in passato, l’elezione di Donald Trump alla massima carica politica americana è stata accompagnata da grandissime speranze di cambiamento. Non solo in termini di politica ed economia nazionale, ma anche sul piano internazionale. Molti hanno sperato (e sperano ancora adesso) che Trump chiuda la stagione delle guerre per procura, dei cambi di regime ottenuti con azioni di psicopolizia, dei continui ed aspri scontri diplomatici con la Russia. Purtroppo la situazione attuale non sembra proprio evolvere lungo le direzioni sperate: non solo Trump è continuamente osteggiato da una miseranda intellighenzia (per dirla a la russe) di appartenenti alla sinistra al caviale statunitense, ma l’incredibile falsità di un Trump agente del Cremlino, quindi infiltrato e traditore agli ordini di Putin, ha bloccato per più di due anni la nuova amministrazione. Il rapporto Muller, che scagiona Trump dalle accuse, non ha risolto completamente questa impasse e rimangono sul tavolo molti problemi che potevano essere già stati risolti.
Di più, sono stati nominati in posizione chiave personaggi come Bolton e Pompeo, da sempre considerati falchi guerrafondai e all’ostilità nei confronti della Russia si è aggiunta quella recente contro la Cina (ostilità comunque prevedibile dalla campagna elettorale) e purtroppo quella contro l’Iran.
Riguardo agli ayatollah di Teheran, è ragionevole chiedersi se Trump sia solo mal consigliato dal suo entourage oppure segua una sua inclinazione personale o stia per forza di cose cercando di pagare un debito con la lobby ebraica a cui deve, secondo alcune indiscrezioni, l’essere scagionato dall’accusa di tradimento. Scagionato dall’accusa, ma ancora assurdamente sotto rischio di impeachment. Non possiamo dare una risposta precisa ma siamo comunque in grado di affermare, senza paura di essere smentiti, che una guerra contro l’Iran sarebbe spaventosamente costosa in termini di vite umane e danni materiali. Entrambe le parti si troverebbero in preda ad una condizione, ahimè, catartica ma gli americani sarebbero i nemici invasori e gli iraniani coloro che si difendono perché attaccati: combatterebbero come tigri per le loro case, i loro padri, le loro madri, mogli e figli. L’Iran è una Nazione antica il cui popolo ha radici che risalgono agli antichi imperi. Perché dovrebbe arrendersi senza far pagare il più alto prezzo possibile?
Questi ed altri pensieri devono agitarsi nella mente e nell’animo anche del senatore Richard Black, del Senato statale della Virginia, al punto da spingerlo ad una azione chiara e definita come altre volte in passato: uomo di grande rigore morale e limpido patriottismo, già colonnello dei Marines e Purple Heart in Vietnam, Black ha scritto al presidente Trump una lettera [1] di cui offro qui ai lettori italiani la mia traduzione.
“Caro Signor Presidente:
Ho servito come colonnello nell'ufficio del JAG al Pentagono ed una volta ho esercitato l'autorità di giustizia militare nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Inoltre, come ufficiale dei Marines, sono stato ferito durante feroci combattimenti in Vietnam. È da quelle prospettive che scrivo questa lettera.
Trovo profondamente preoccupanti il continuo tintinnare della sciabola e gli sforzi per innescare una guerra contro l'Iran. Ho votato per Lei, ma non ho eletto John Bolton. Mi sono allarmato quando Lei lo ha scelto come Consigliere per la Sicurezza Nazionale, perché è stato un architetto chiave della nostra guerra per il cambio di regime in Iraq.
Mi oppongo alla guerra contro l'Iran. L'idea che l'Iran intenda attaccare gli Stati Uniti è assolutamente assurda. Sono rimasto costernato che John Bolton convocasse i Suoi segretari di gabinetto e consulenti chiave presso la sede della CIA, apparentemente per escogitare un pretesto per la guerra. All'improvviso il Dipartimento della Difesa, che si è opposto all'invio di 5.000 soldati per difendere i nostri confini, ha dispiegato 120.000 uomini per attaccare il popolo iraniano.
John Bolton ha usurpato la Sua autorità di Comandante in Capo. Ha annullato il Suo ordine per un ritiro immediato dalla Siria ed ora ha allarmato i nostri alleati agitandosi per la guerra contro l'Iran. È stato riferito che Lei spera di evitare la guerra con l'Iran. Ma il Comandante in Capo non "spera". Comanda. Non delega la creazione di guerre al suo personale.
L'Arabia Saudita ha invitato gli americani ad attaccare l'Iran per proprio conto. Ma io non servo né rispetto l'Arabia Saudita. Recentemente, il Principe ereditario ha inviato una squadra di assassini che hanno torturato, soffocato e smembrato il giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi. Il mese scorso, l'Arabia Saudita ha decapitato 37 uomini (soprattutto della minoranza sciita) in un’esecuzione di massa. E proprio la settimana scorsa, nella capitale Riyadh, una donna filippina è stata legata ad un albero sotto il sole cocente come punizione per un banale errore da casalinga. I sauditi trattano le donne come cani; nove donne che hanno incoraggiato il governo a permettere alle donne di guidare sono state imprigionate e torturate per averlo fatto.
Nessun iraniano - e, a mia conoscenza, nessun musulmano sciita - ha mai commesso un attacco terroristico sul suolo americano. È l'Arabia Saudita, con il suo violento culto religioso wahabita, ad essere il principale istigatore del terrore globale. I principi religiosi wahhabiti sono collegati a tutti gli attacchi terroristici più gravi negli Stati Uniti dall'11 settembre.
Sono stati i sauditi - non gli iraniani - che hanno inviato 19 terroristi di al-Qaeda a schiantarsi contro il Pentagono e le Twin Towers l'11 settembre. Non voglio che altri americani muoiano per l'Arabia Saudita; 3000 hanno già pagato quel prezzo l'11 settembre. Non dobbiamo versare altro sangue per favorire la politica estera della brutale dittatura saudita.
Lei ha condotto una campagna elettorale sul porre fine alle guerre per il cambio di regime e l’ho appoggiata per questo e per altri motivi. Tuttavia, John Bolton e Mike Pompeo stanno orchestrando un nuovo conflitto che potrebbe facilmente uccidere un milione di iraniani, lasciando quel paese nella povertà e nel caos. Abbiamo già sparso morte e distruzione in tutto il Medio Oriente ed il Nord Africa ed abbiamo ucciso o mutilato decine di migliaia di coraggiosi soldati americani mentre lo facevamo; questo insensato spargimento di sangue deve fermarsi.
L'America l’ha eletto per porre fine alle guerre per il cambio di regime e per ridurre le tensioni. La nostra Nazione è stanca della guerra; non esiste un sostegno pubblico per una guerra contro l'Iran. Sono preoccupato che il Partito Repubblicano possa subire perdite elettorali storiche nel 2020 se avvieremo un attacco all'Iran.
La sostengo e voglio che Lei abbia successo. Per favore non abbandoni il Suo solenne impegno con l’America.”
La lettera risale al 22 maggio scorso e per il momento non è dato sapere se il Presidente Trump abbia risposto. E tuttavia le parole di Richard Black fanno emergere tutte le difficoltà e le incongruenze dell’attuale amministrazione americana. Perfino le sue debolezze: Il Comandante in Capo non "spera" ma comanda, ricorda Black a Trump. Quello che è sempre stato un inflessibile uomo d’affari, abituato ad essere obbedito all’istante e svelto a licenziare tutti quelli che non facevano un buon lavoro, questo Trump così determinato non riesce ora a farsi obbedire alla Casa Bianca dai suoi sottoposti, che non solo scelgono a quali ordini obbedire ma anche usurpano la sua autorità stabilendo perfino nuove linee politiche.
Richard Black ha il coraggio e l’onestà di riconosce l’estraneità di Teheran a qualsiasi attacco terroristico sul suolo statunitense, riservando il suo biasimo non all’Iran ma all’Arabia Saudita. Le consuetudini sociali del Paese retto dalla Casa dei Saud, la spietata ma al contempo spensierata determinazione con cui i sauditi privano della vita i loro oppositori, il loro trattare le donne come cani, financo i 19 cittadini del Regno che hanno partecipato agli attacchi dell’11 settembre, di fatti la totalità dei terroristi, tutto ciò non ha mai ostacolato le relazioni diplomatiche con Washington.
Deve cessare questo insensato spargimento di sangue, i cui effetti hanno colpito anche la società americana. Deve. Ma lo sarà? Il senatore Black scrive spinto dal senso del dovere ma siamo di fronte ad un’incognita e questa incognita risiede non nelle parole di Richard Black, patriota leale e sincero, ma in quante persone come lui siano rimaste oggi in America.