La “fine” della politica del figlio unico in Cina?
Su L’Avvenire di domenica 8 gennaio 2017 c’è un articolo intitolato “La nuova Lunga marcia. Il «figlio unico» è ormai storia. In Cina si riempiono le culle.
L’inversione della tendenza demografica è arrivata dopo il cambio sulla politica di contenimento delle nascite Sono le grandi città a guidare la “riscossa”. Il contenuto dell’articolo che plaude ai successi della nuova politica di pianificazione familiare cinese mi ha lasciato molto perplessa.
Non voglio presumere d’esser depositaria della verità, ma vorrei fornire informazioni in proposito che giungono da fonti non filo-governative.
C’è gente che in Cina rischia di finire per un tempo imprecisato e senza regolare processo in un laogai, cioè in lager, un campo di concentramento, uno delle migliaia che oggi ancora servono al regime per reprimere il dissenso, fare il lavaggio del cervello ai condannati e produrre a costo 0, col lavoro forzato degli internati, le merci di ogni tipo e qualità che invadono i nostri mercati e mettono in ginocchio le nostre imprese. Tali dissidenti , a rischio di laogai, riescono a far arrivare notizie alla Laogai Research Foundation a Washington o in Italia, ad AsiaNews, a Women’s Rights Without Frontiers, a China Aid…
I Lettori hanno diritto di conoscere un’altra versione dei fatti. Sta allo spirito critico di ciascuno, poi, approfondire, verificare e farsi un’opinione propria.
È vero che in Cina c’è una crisi demografica paurosa. Il Paese invecchia, mancano i giovani (che lavorano e quindi producono PIL), visto lo sterminio di bambini che dura da più di 30 anni.
Il Governo dagli anni ’80 ha avviato la sanguinosa politica del figlio unico, fondata su aborto forzato (fino al termine della gravidanza) e su sterilizzazioni coatte: il Governo si è vantato di aver impedito 400 milioni di nascite, con tale politica demografica.
Tutte le donne in età fertile sono costrette a portare la spirale contraccettiva e devono passare il controllo ginecologico ogni 6 mesi perché le autorità possano accertarsi che non sono incinta senza permesso. Per fare un figlio, infatti, bisogna ottenere il “permesso di nascita” dalle autorità. Questo serve anche per il primo e il secondo figlio. I trasgressori sono puniti con aborto coatto, sterilizzazione, perdita del lavoro, distruzione di case e cose, multe salatissime che corrispondono a svariati anni di stipendio dei malcapitati.
Oggi la politica non è più del figlio unico? È dei due figli. Ma le regole e le punizioni non sono affatto cambiate (basta vedere le testimonianze e le denunce riportate nei siti citati sopra).
Ma, come dicevamo, la Cina paga ora le conseguenze economiche e sociali di tanto dissennato spargimento di sangue.
Non solo mancano i giovani, come dicevamo prima. Ma mancano anche le donne: perché gli aborti sono tremendamente sesso-selettivi: questo sì che è un vero “femminicidio”. La tradizione millenaria cinese crede necessario e indispensabile proseguire la stirpe con un figlio maschio. Potendo fare un figlio solo, le bambine sono state sistematicamente eliminate. Poiché i giovani cinesi ormai non hanno più giovani donne con cui sposarsi, la tratta delle donne e delle bambine ha assunto proporzioni gigantesche. Vengono rapite e vendute anche dai paesi limitrofi. Addirittura, qualche consulente governativo aveva proposto di consentire la poliandria.
Comunque, che la nuova “politica dei due figli” abbia dato già i frutti sperati a livello di inversione della tendenza demografica lo riporta Avvenire, sulla base dei dati forniti dalla National Health and Family Planning Commission (Nhfpc). Altri dati ( http://www.dire.it/26-12-2016/97963-cina-no-delle-famiglie-al-secondo-figlio/) non sono così incoraggianti, perché la gente è stata “rieducata” a non far figli.
Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010, colpevole d’aver chiesto un po’ di democrazia e che perciò è tuttora rinchiuso in un laogai, nel suo “Monologhi nel giorno del giudizio” edito da Mondadori, descrive bene le conseguenze sociali nefaste della politica del figlio unico: le nuove generazioni di Cinesi, sono figli unici viziati ed egoisti, cresciuti nel materialismo più sfrenato, con la convinzione che l’unico scopo della vita sia arricchirsi e che far figli sia indecente, inconveniente e indecoroso.
Comunque, poniamo che i dati forniti dalla Commissione governativa siano corretti (a volte nelle dittature i funzionari cui è stato assegnato un compito devono dire d’averlo assolto a costo di finir male. Ma facciamo che questo non sia il caso).
Quello che la propaganda cinese vuol far dimenticare ai Paesi Occidentali (che sono sempre più necessari a Pechino per il mercato di prodotti che dentro la Cina non ha sufficiente domanda, perché la maggioranza dei Cinesi, tuttora, è povera), è che la politica demografica del regime è ancora una politica coercitiva.
Finché il Governo si arroga il diritto di decidere se e quando la gente può fare un figlio (o due, non cambia niente), l’opinione pubblica internazionale dovrebbe perorare la causa del popolo cinese. Ma, si sa, con la Cina si fanno ottimi affari e “pecunia non olet”, dicevano gli antichi. Perciò, anche in questo caso, come in tutti i casi in cui la dittatura del partito Comunista di Pechino calpesta i diritti fondamentali del popolo cinese, l’Occidente e l’ONU guardano distratti da qualche altra parte.