Il problema di Israele

11.09.2024

In Israele la situazione si sta facendo estremamente tesa. Non solo ai confini, ormai tutti pressocché in stato di guerra, visto le scelte del governo Netanyahu. Anche all’interno di Israele, anzi forse soprattutto al suo interno la tensione sta raggiungendo il calor bianco. Con, da una parte, le opposizioni, tra tutte i laburisti, che guidano una crescente protesta popolare. E, dall’altro, il governo del sempre meno popolare Bibi, forte del suo Likud più un paio di partitini – piccoli ma influenti – di un’orbita ultraortodossa. Coalizione che punta dritta al conflitto non solo con Hamas, ma con tutto quel mondo arabo che non ha accettato accordi con Israele. E che guarda a Tehran come a un riferimento fondamentale.

Ora sarebbe vizioso andare a vedere, e discutere,le diverse posizioni contingenti, soprattutto riguardo i restanti ostaggi israeliani in mano ad Hamas. Che vengono, ovviamente, sbandierati dall’opposizione in funzione anti Likud. Considerato reo di sostanziale disinteresse nei loro confronti.

Così come inutili sono le risposte di Netanyahu e dei suoi, ovviamente condizionate, e quindi mirate, al contrasto politico interno ad Israele.

Ciò che conta per davvero, è la realtà con cui i governi di Israele devono, oggi, confrontarsi. E non è una realtà né facile, né confortante.

Il problema, a monte di tutto, è la percezione che il mondo arabo circostante ha di Israele. Ed è una percezione al tempo stesso realistica ed estremamente negativa.

Realistica perché gli arabi, o per lo meno i loro vertici, sono coscienti che il primo problema di Israele è demografico. E che, di conseguenza, il tempo lavora a loro favore.

Un israeliano ucciso vale mille, diecimila arabi sulla bilancia degli equilibri regionali. Tradotto in termini semplici: gli arabi sono sacrificabili, gli israeliani no.

E di questo sono perfettamente coscienti sia i vertici dei nemici di Israele – Hamas, Hezbollah ed altri – sia quegli stati arabi, Sauditi e Giordani in testa, che con Tel Aviv mantengono buoni rapporti. Ed anzi talvolta cooperano con le sue strategie. Ben sapendo, però, che è solo questione di tempo. E di pazienza.

Negativa, però, dicevo. E qui è necessario sfrondare ogni lettura della situazione dai pregiudizi di noi occidentali ed europei. Da quella fuffa che sarebbe rappresentata da un certo antisemitismo arabo. In primo luogo perché gli arabi sono anch’essi semiti.

Anzi rappresentano la grande maggioranza del mondo semitico. Dal quale, però, percepiscono Israele e gli israeliani come estranei. Come degli invasori, figli e continuatori del colonialismo occidentale.

E questo, non un antisemitismo astratto e posticcio, rappresenta il vero problema.

Perché gli arabi leggono gli israeliani in stragrande maggioranza come estranei. Come europei, o peggio ancora americani. Imposti sul loro territorio dal neo- colonialismo occidentale. E, quindi, come avamposto di un Occidente alieno e nemico.

Hanno torto? Se guardiamo ai fatti, nudi e crudi, è difficile affermarlo. La società e la cultura israeliana è, massimamente, espressione dell’estremo Occidente. Completamente aliena da quella medio-orientale, islamica o cristiana che sia. E con la quale, invece, la cultura ebraica locale viveva sostanzialmente in armonia. Ma stiamo, ovviamente, parlando dell’ebraismo medio-orientale di un secolo fa. Completamente estraneo al Sionismo, che è, invece, espressione di una forma della cultura europea. Figlio del nazionalismo francese, e compenetrato di elementi provenienti dall’est Europa. Totalmente alieni dal contesto culturale in cui sono stati, artificialmente, inseriti.

E così Israele viene vista dagli arabi, estremisti e moderati, come una propaggine, o meglio un guardiano dell’Occidente. Un nemico che è li per controllare e depotenziare un risveglio (quale che sia) del mondo arabo.

Un estraneo con il quale alcuni trattano, altri confliggono.

Ma ritenendolo, comunque, un corpo estraneo inserito nel territorio.

Prima ce ne renderemo conto, smettendo di baloccarci con sensi di colpa per l’antisemitismo, tutto europeo, del ‘900, meglio sarà.

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