Turchia, cosa vai cercando?

02.09.2024
La Turchia deve scegliere dove andare. Con ogni probabilità, non lo farà sapere - o capire - a nessuno, rimanendo coerente con il suo stile consolidato.

La Turchia del ‘sultano’ Recep Tayyip Erdogan continua a riservare sorprese: il Ministro della Difesa, Yaşar Güler, ha recentemente dichiarato che la Turchia vuole incrementare le relazioni con l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO), pur mantenendo i legami con la NATO.

Cosa succederà?

Cerchiamo di analizzare alcuni scenari.

Pianificazione geostrategica della Turchia nel 2024

La Turchia sta cercando di sfruttare la sua posizione geostrategica favorevole.

Situata al crocevia tra l’Asia occidentale e l’Europa, enfatizza il suo ruolo in ogni occasione, sia che si tratti del transito di idrocarburi dalla Russia o da altri Paesi produttori di petrolio e gas verso l’Europa, sia che si tratti di nuovi corridoi di trasporto con autostrade e linee ferroviarie. Negli ultimi anni, è stata sviluppata la Via di Trasporto Internazionale Trans-Caspica e, con il miglioramento della situazione della sicurezza in Iraq, è tornato in auge anche l’ex progetto del Canale Secco, una linea logistica da Istanbul via Mersin, nel sud del Paese, verso l’Iraq, dove il percorso passa per Mosul, Baghdad, Najaf, Bassora e raggiunge la costa del Golfo Persico. Il progetto è stato discusso alla fine di marzo 2024 e approvato dalla Turchia e dall’Iraq in una dichiarazione stampa congiunta che cita la Via della seta come obiettivo di integrazione.

Il punto chiave del progetto è il nuovo porto di Al-Faw (Grande Porto), che dovrebbe essere uno dei porti più grandi del Medio Oriente e superare il porto Jebel Ali di Dubai. Ci sono diversi fattori che ostacolano la realizzazione del progetto: il vicino Iran, dove passa il corridoio Nord-Sud, potrebbe cercare di dissuadere l’Iraq dal creare un percorso alternativo.

Anche se il porto verrà costruito, sarà possibile estendere la parte terrestre non verso la Turchia ma verso l’Iran, scambiando parte del flusso di transito; gli Emirati Arabi Uniti sono interessati a lanciare un percorso aggiuntivo, in virtù del fatto che nel febbraio 2022 è stato firmato un accordo di trasporto tra la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti, in cui il Ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha dichiarato che queste linee ferroviarie e autostradali attraverseranno l’Iraq; l’instabilità politica e l’insicurezza in Iraq potrebbero mettere a rischio il progetto, perché oltre alle cellule dell’ISIS, una questione sensibile è la regione del Kurdistan (sia in Turchia che in Iraq) e, in particolare, le attività del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

Va sottolineato che l’instabilità regionale è un fattore stimolante per lo sviluppo del progetto Dry Canal. A causa del blocco del Mar Rosso da parte degli Houthi dello Yemen, il traffico del Canale di Suez è diminuito drasticamente e alcune merci destinate alla Turchia sono state trasportate attraverso l’Iran dal porto di Bandar su strada.

Nel frattempo, la Turchia ha ulteriori vantaggi dal lancio di questo nuovo corridoio: in primo luogo, offre un’ulteriore opportunità per il transito di risorse energetiche, dal momento che l’oleodotto esistente dall’Iraq alla Turchia è diventato causa di conflitti interni.

Le esportazioni di petrolio dalla Regione del Kurdistan attraverso l’oleodotto Iraq-Turchia sono ferme dal 23 marzo 2023, dopo che un tribunale arbitrale con sede a Parigi si è pronunciato a favore di Baghdad contro Ankara, affermando che quest’ultima aveva violato l’accordo del 1973 permettendo a Erbil di avviare esportazioni di petrolio indipendenti nel 2014. Dopo una fase di stand-by dovuta ai tentativi di nuovi accordi per risolvere le perdite economiche (circa 1 miliardo di dollari al mese), l’oleodotto è ora pronto a ripartire e viene testato. Tuttavia, potrebbe sorgere una controversia sulle preferenze tra Baghdad, Erbil e le aziende internazionali.

In secondo luogo, con gli investimenti esterni in Iraq, il Governo turco sarà costretto a rispettare i suoi obblighi e, in un modo o nell’altro, a trattare con i gruppi militanti. La Turchia sta combattendo il PKK e probabilmente sarà anche pronta a dispiegare le sue forze di sicurezza lungo il Canale Secco nel Kurdistan iracheno (parte di questo territorio è già occupato dalle truppe turche). In questo caso, Ankara avrà un nuovo strumento di influenza in Iraq.

Infine, utilizzando il percorso aggiuntivo, la Turchia otterrà alcuni vantaggi economici e politici. Allo stesso tempo, la politica interna turca può utilizzare la nuova infrastruttura per coinvolgere i curdi turchi, riducendo così i rischi di rivolte antigovernative, dal momento che le cellule locali del PKK utilizzano sempre qualsiasi scusa per inasprire il conflitto.

Quindi, la Turchia ha un interesse reale a tenere duro e ad ingraziarsi i suoi vicini ad Est, in vista di un’espansione già in programma, certamente più appetibile di qualsiasi prospettiva verso l’Occidente, dove l’Europa non offre una crescita del mercato, ma piuttosto una recessione.

La NATO come organizzazione terroristica e la convenienza strategica turca

Quando il Ministro della Difesa turco ha annunciato in una conferenza stampa l’esplorazione dell’adesione alla SCO, alcuni giornalisti hanno subito chiesto se la NATO, di cui la Turchia è membro dal 1952, gioca un ruolo chiave nell’equilibrio Ovest-Est. In effetti, i dubbi sono legittimi.

Ora, ragioniamo passo dopo passo:

  • la SCO è stata fondata come organizzazione anti-terrorismo;
  • la NATO ha promosso azioni terroristiche in tutto il mondo come braccio armato dell’imperialismo anglo-americano per 75 anni;
  • ne consegue che la SCO e la NATO sono diametralmente opposte e completamente inconciliabili;
  • La Turchia, quindi, dovrà fare una scelta.

Se il ragionamento è chiaro nella logica formale, lo è un po’ meno nella logica strategica: non è detto che ciò che è moralmente o politicamente coerente sia la cosa strategicamente più conveniente. Questo apre diversi scenari possibili.

Il primo prevede che la Turchia entri nella SCO come membro osservatore, in attesa di un eventuale impegno formale in seguito. Questo non sarebbe in conflitto formale – in termini di statuto – né con la NATO né con la SCO.

La piena adesione avrebbe condizioni diverse, ma non è questo il momento. In questo modo, la Turchia potrebbe giocare una sorta di ‘doppio gioco’, creando un ulteriore ponte e bilanciando le richieste dei Paesi americani e orientali. Naturalmente, non mancherebbero le difficoltà e il gioco di interessi potrebbe diventare molto caldo, costringendo la Turchia a fare una scelta radicale in breve tempo. L’inconciliabilità tra la NATO e la SCO è un dato di fatto solo se la NATO viene riconosciuta come un’alleanza che promuove gli interessi dei terroristi… ma questo è più un problema morale, non politico e strategico. Il governo di Ankara potrebbe sfruttare la posizione ambivalente a vantaggio dell’intelligence, degli accordi economici e dello sviluppo del settore della difesa. Non è una coincidenza che sia stato il Ministro Güler, e non il Presidente, a menzionare questa opzione, che manifesta una strategia di comunicazione specifica per raggiungere un determinato obiettivo internazionale.

Un secondo scenario vede la Turchia rinunciare alla SCO e rimanere nella NATO. Questo potrebbe metterla in seria difficoltà con gli sviluppi multipolari in corso. Va ricordato che la Turchia guarda con grande interesse ai BRICS+, che però stanno agendo per smantellare l’egemonia anglo-americana, in direzione opposta alla NATO sul piano geoeconomico. A lungo termine, la Turchia rischierebbe uno svantaggio commerciale e strategico, soprattutto se i BRICS+ e la SCO dovessero effettivamente firmare un accordo di cooperazione formale.

In questa prospettiva, molto dipenderà dall’autodeterminazione del governo turco dal giogo atlantico. Si noti che, al momento, nessun Paese membro della NATO fa parte ufficialmente del BRICS+.

Il terzo scenario prevede che la Turchia si unisca alla SCO rinunciando alla sua posizione nella NATO. Sebbene si tratti di una prospettiva molto allettante, bisogna considerare le difficoltà a breve termine. La Turchia, infatti, ha un legame di lunga data con la NATO che l’ha stretta in modo non indifferente al gioco americano: nel corso dei decenni, l’Alleanza ha coinvolto molto attivamente la Turchia nello sviluppo militare – non da ultimo con il programma F-35, dal quale è stata esclusa all’ultimo minuto all’inizio del 2024 -, contribuendo sia alla ricerca che alla spesa. Altrettanto vero è che la Turchia ha spesso impiegato sistemi d’arma provenienti dalla Russia, con la quale ha ottimi rapporti commerciali, cosa che ha fatto innervosire il governo di Washington più volte negli ultimi sei anni. Gli Stati Uniti sostengono anche il movimento indipendentista curdo, cosa che non è andata giù ad Ankara. Di fronte agli incidenti diplomatici degli ultimi anni, la Russia è riuscita a sfruttare bene le opportunità, mostrando alla Turchia un sostegno significativo, a scapito dell’esitazione americana.

Il rapporto tra la NATO e la Turchia è stato storicamente caratterizzato da divergenze e crisi, e dall’approccio ‘transazionale’ della Turchia, di cui siamo stati testimoni con l’opposizione contro l’adesione svedese e finlandese negli ultimi mesi, che mira anche a revocare l’embargo sulle armi contro il Paese. In passato, la Turchia ha bloccato la cooperazione NATO-UE come ritorsione per l’ingresso della Repubblica greca di Cipro nell’UE, rendendo praticamente nullo l’accordo Berlin Plus del 2002 che avrebbe approfondito la cooperazione con Bruxelles.

La relazione è anche segnata dalla cosiddetta ‘dipendenza dall’alleanza’, la consapevolezza da entrambe le parti di essere troppo dipendenti dall’alleanza per interrompere i legami. L’alternativa è semplicemente considerata peggiore. Per la NATO (e l’UE), inimicarsi la Turchia nell’attuale situazione di confronto con la Russia non sarebbe razionale. I turchi sono abili commercianti, non hanno bisogno di grandi giri di parole: la scelta politica, anche nella sfera strategica ed economica, resta il pragmatismo, che rimane la soluzione migliore dato che l’equilibrio tra il contenimento della Russia nel Mar Nero e il mantenimento di buone relazioni con Mosca, anche alla luce della questione curda, deve essere preservato.

La Turchia, quindi, deve scegliere dove andare. Con ogni probabilità, non lo farà sapere – o capire – a nessuno, rimanendo coerente con il suo stile consolidato. Sia che scelga un percorso mediano, con una posizione dubbiamente bilanciata tra la NATO e la SCO, sia che scelga solo una delle due, non farà un passo indietro nel proteggere il proprio interesse nazionale e non permetterà che l’influenza di entità esterne la superi.

Quest’ultimo punto rimane centrale e deve essere ben compreso: La Turchia non permette forti interferenze politiche nella sua autonomia.

La NATO ha già toccato il limite diverse volte negli ultimi anni e il risultato non è stato molto positivo. Che si tratti della SCO o dei BRICS+, in ogni caso la Turchia non accetterà violazioni della sua sovranità.

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