Sull'immigrazione non è più possibile scherzare col fuoco
Nei rapporti con l’Unione Europea, Matteo Renzi ha deciso di buttarla in rissa (o almeno questa è l’idea che suggerisce con le sue dichiarazioni pubbliche).
Ha ragione, ci sono mille buone ragioni per alzare la voce contro i “tecnocrati di Bruxelles” e le loro miopi regole con le quali vogliono interferire nelle politiche economiche degli Stati membri. Regole dettate da considerazioni meramente contabili che strangolano l’economia dei paesi mediterranei e pesano come macigni sui cittadini.
Ma la battaglia per ottenere qualche risicatissimo margine di flessibilità in più, il Presidente del Consiglio italiano la sta conducendo su di un tema in cui è davvero impossibile seguirlo: quello dell’immigrazione.
Innanzitutto poter usufruire di qualche milionata di euro in più per gestire l’emergenza migranti è irrilevante ai fini della vera questione che pesa sull’Italia, ovvero creare una congiuntura economica in grado di rilanciare la crescita e l’occupazione.
Si tratta, infatti, di un settore assolutamente marginale nel complesso del tessuto economico del paese. Soprattutto, non è tollerabile continuare a scherzare col fuoco su questo tema.
Non è pensabile andare avanti facendo i furbi. Renzi crede con questo argomento di avere gioco facile nei confronti di Angela Merkel e delle élites europeiste - che su questo terreno non possono tirarsi indietro - scaricando sui paesi del Gruppo di Visegrad i costi dell’operazione, vista la loro riluttanza ad accettare il sistema delle quote obbligatorie. Ritiene di poter continuare a lasciar sbarcare centinaia di migliaia di migranti irregolari, assecondando lo stratagemma della richiesta di asilo anche in assenza di requisiti, per ottenere i fondi per la prima accoglienza e le operazioni di salvataggio, salvo poi contare sul fatto che l’Italia non è quasi mai la vera destinazione di chi attraverso il Mediterraneo, ma soltanto una stazione di transito.
Oramai questo trucchetto, che l’Italia con la sua proverbiale arte di arrangiarsi ha messo in campo per anni, non è più sostenibile. Primo perché gli altri paesi UE non sono più disponibili a tollerarlo. Secondo, perché oramai i numeri sono tali che questo problema non è più affrontabile con i tatticismi della “politica politicante”.
E’ di oggi, infatti, la notizia che il 2016 sarà un altro anno record per gli sbarchi in Italia. Parliamo già di 153.000 immigrati sbarcati soltanto fino ad ottobre. 1.300 in più del 2014, altro anno record. E il 2015, sebbene con cifre altissime, aveva visto un numero inferiore di sbarchi solo perché ad essere presa d’assalto era stata la “rotta balcanica”.
Di fronte ad un simile “movimento di popoli”, che mina alle fondamenta la struttura sociale, culturale ed economica delle nazioni europee non è più possibile continuare a buttare la palla avanti.
Da politico di provincia quale è, Renzi non si rende conto che su questo tema le nazioni dell’Europa centro-orientale non sono disponibili a fare sconti all’Europa. Anzi sono disposte persino a farla saltare.
Ciò che non è riuscito alla crisi economica, pur con gli immensi drammi sociali prodotti in Grecia, Spagna, Portogallo e anche Italia, può accadere con la crisi migratoria. Stiamo parlando dell’implosione dell’Unione Europea.
I segnali ci sono tutti. L’emergenza ha dimensioni epocali.
Uno Stato può anche non intervenire in ambito economico-sociale, ma ciò a cui non può in alcun modo abdicare, pena la fine della sua stessa ragion d’essere, è garantire la sicurezza interna e delle frontiere. Questo assunto politologico elementare è ben radicato nella cultura politica dell’Europa dell’Est.
Ma, soprattutto, sono consapevoli di ciò, magari istintivamente, le persone comuni, la gente normale.
Sarà l’istinto di autoconservazione a salvare i popoli europei da questa invasione. La solidarietà ed il senso di umanità hanno poco a che fare con la situazione attuale.
Renzi se ne faccia una ragione e trovi argomenti migliori per salvare l’Italia dal rigore di bilancio.
Sulla strada intrapresa gli italiani non lo seguiranno. Se ne accorgerà il giorno dopo le votazioni per il Referendum Costituzionale.