SOLTANTO UNO ZAR CI PUÒ SALVARE

12.12.2017

L’America è ciò che non ha passato. «Terra senza storia», diceva il poeta Emerson nel 1883. L’Europa ciò che sembra non avere più un futuro. Da sempre l’America è priva di memoria storica, è proiettata nel futuro e ha pensato il suo presente non come la conseguenza di un passato, ma come il momento in cui il futuro si stava realizzando: «il futuro è dotato di tanta vita che vive per noi anche in anticipo», scriveva già Melville.

 

Oggi, però, le cose sembrano cambiate. La terra che sembrava orientata alla salvezza intrisa di spirito religioso del genere umano, ora è diventato il luogo dove si prepara un futuro post-umano, dove gli uomini saranno governati da intelligenze artificiali robotizzate. Dal luogo dell’utopia sta diventando il luogo della distopia. Lo ha ricordato poco tempo fa uno scienziato come Stephen Hawking, ammonendoci sul fatto che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale «potrebbe essere il peggior evento della storia della nostra civiltà»: «in teoria i computer possono emulare l’intelligenza umana e perfino superarla. Il successo nella creazione dell’intelligenza artificiale potrebbe essere il più grande evento nella storia della nostra civiltà. O il peggiore». La tensione messianica che era propria, una volta, dell’America, si è oggi trasformata in un’atmosfera satanica, in preda ad una follia tecnologica priva di ogni limite, a cui non ci si può opporre perché il futuro è già presente.

 

Altro è sempre stato il tempo dell’Europa: un tempo storico, e oggi neppure quello, se ormai viviamo nella nostalgia e soltanto della nostalgia di ciò che siamo stati. Siamo ormai privi di ciò che ci caratterizzava: il futuro visto non come presente, ma come ciò che non è ancora presente, il «non-essere-ancora» di cui parlava Ernst Bloch. Abbiamo perso questa tensione e non sappiamo più resistere alla americanizzazione del mondo, siamo sempre più schiavi di prodotti hi tech che si presentato come strumenti di liberazione e che invece sono fonte di alienazione. E che in un futuro già presente tendono a modificare la nostra stessa natura umana.

 

A ciò si aggiunga la perdita del senso della nostra identità europea, una identità plurale, ricca, che ci contraddistingue nel pianeta; invece di ripartire dai nostri valori per realizzarli, ci apriamo agli altri, dimenticando noi stessi; privi di orientamento ci abbandoniamo ad una accoglienza che rinnega tutto ciò che costituisce le nostre radici. Persino la Chiesa cattolica sembra avere abdicato alla sua missione salvifica con un Papa non europeo che dovrebbe meditare su quanto scriveva il suo predecessore nutrito di cultura europea: «L’Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che e proprio, fuga dalle cose proprie». Così si esprime Joseph Ratzinger nelle conclusioni di un denso saggio dedicato all’Europa.

 

C’è ancora una speranza per l’Europa? Forse la Russia? Mosca, la terza Roma e la nuova Gerusalemme: da lì forse partirà la riscossa dell’Europa. Dal recupero della tradizione politica del Sacrum Imperium e della tradizione spirituale del cristianesimo. Da Mosca viene l’idea di un’altra Europa, perché la Russia è sempre stata essa stessa un’idea di Europa – lo ricordava benissimo Dostoevskij: per un russo, «l’Europa è cara come la stessa Russia. Venezia, Roma, Firenze, Parigi, gli sono più care che la stessa Russia». La terza Roma: lì si è spostato oggi il katéchon, l’ultima forza frenante all’americanizzazione del mondo. L’ultima speranza per l’Europa.