Soggetto Radicale e fenomenologia della Presenza

31.03.2023

Inabitazione del Divino nell’anima cosciente

     Nella Via della Mano Vuota – ispirata al magistero filosofico e metapolitico di Aleksandr Dugin –, che descrive l’ascesi guerriera del Soggetto Radicale all’interno della Metafisica del Caos o Nuova Metafisica, dopo l’Immanenza come prima forma e dopo la Trascendenza come seconda forma, la terza forma di manifestazione diretta del Divino è denominata la Presenza.

     Come già illustrato nei due precedenti articoli, nell’Immanenza la percezione del Divino si caratterizza come Consapevolezza non differenziata, la quale emerge spiritualmente come emanazione energetica da ogni singolo oggetto che si affaccia all’esperienza diretta dell’anima cosciente, venendo colta da essa come un tutt’Uno vivo e indistinto da lei stessa (Link dell’Articolo: https://www.ideeazione.com/soggetto-radicale-e-fenomenologia-dellimmanenza/).

     Diversamente, nella Trascendenza, sviluppantesi dall’Immanenza come ulteriore tappa di maturazione spirituale del Soggetto Radicale, la percezione del Divino si palesa come manifestazione del Totalmente Altro, come rivelazione della Trascendenza che in un movimento esistenziale di presenza assenza ossia di alternanza di luce e tenebre, trasforma l’anima cosciente attraverso una più intensa purificazione (katharsis) e un più deciso svuotamento di sé (kenosis) rispetto alla precedente tappa dell’Immanenza, confermandola nella angelologica volontà di totale appartenenza al Divino e, quindi, quale messaggero del fuoco Divino della Tradizione (Link dell’Articolo: https://www.ideeazione.com/soggetto-radicale-e-fenomenologia-della-trascendenza/).

     La caratteristica peculiare della Presenza, quale terza forma di manifestazione diretta del Divino e tappa definitiva – che in realtà non ha mai fine – di maturazione spirituale del Soggetto Radicale nel corso del suo Esser-ci (Dasein), del suo itinerario esistenziale in questo mondo, consiste nella inabitazione del Divino ossia nella sua stabile dimora all’interno dell’anima cosciente. Una Presenza di libertà, fondata sul rispetto del Divino per la libertà dell’essere umano uomo e donna, che rende l’anima cosciente sempre più libera e liberata nella sequela della volontà Divina e delle ispirazioni del suo Santo Spirito. Una inabitazione del Divino che è agli antipodi da qualsiasi senso di occupazione, schiavitù e realtà di arbitraria possessione – come avviene invece per chi si consacra e si lascia possedere dagli spiriti infernali vivendo immerso nelle volute tenebre dei vizi capitali. Una vera libertà, quindi, che viene sperimentata nel vissuto quotidiano come pienezza della vita umana, sentiero di liberazione esistenziale e autentica realizzazione spirituale:

     «Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. (…) Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri». (Lettera di San Paolo Apostolo ai Galati 5,1,13-26).

     Dobbiamo tenere conto del valore paradigmatico di questa citazione dell’Apostolo Paolo inclusa nel Nuovo Testamento e interiorizzarla, in quanto ha una valenza spirituale universale che trascende e nello stesso tempo ingloba ogni singola confessione religiosa o filosofica, nel suo corretto rapporto di relazione col Divino. Essa non lascia spazio ad illusioni e crea un collegamento diretto tra libertà dell’essere umano e Presenza del Divino, il cui valore etico spirituale riguarda tutto l’itinerario esistenziale dell’essere umano e, in particolare, qualsiasi stadio di rivelazione del Divino durante le fasi di Immanenza, Trascendenza e Presenza nel tragitto proprio del Soggetto Radicale che procede lungo la Via della Mano Vuota.

     Tuttavia, nel criterio espositivo specifico della Antropologia mistica, la quale ha come fondamento ultimo l’affermazione di uno statuto ontologico riguardo la realtà naturale dell’anima cosciente, si è scelta una via oggettiva di neutralità confessionale e di autonomia antropologica, a somiglianza del criterio logico dell’Aquinate il quale pur nell’unità dello scibile, seppe distinguere e rendere autonomo il percorso filosofico da quello teologico, ossia differenziare le verità di natura dalle verità di fede, operando un distinguere per unire come affermava Jacques Maritain. Questa impostazione gnoseologica si conferma anche per noi come la più logica, affinché l’Antropologia mistica risulti essere una terra di mezzo e un terreno di confronto, utile a qualsiasi confessione religiosa o filosofica per stabilire una base certa sopra quelle verità di natura che concernono l’anima cosciente riguardo la sua essenza antropologica, la sua complessità strutturale, la sua interrelazione con mente e corpo, la sua apertura al Divino e alla relazione umana interpersonale e con le creature. Quindi, anche nella esposizione fenomenologica dei gradi di rivelazione della Presenza, la terza forma di manifestazione diretta del Divino nell’anima cosciente, ci atterremo al criterio oggettivo, neutrale ed autonomo che considera la stessa anima cosciente quale imago Dei, ossia la sua natura di immagine di Dio con le manifestazioni di Presenza a lei connesse.

     Per quanto riguarda invece l’anima cosciente come similitudo Dei – ossia la sua somiglianza con Dio al di sopra della imago Dei –, data dalla vita di grazia, di alleanza, di amicizia ottenuta per i meriti del sangue di Cristo, nonché la descrizione dei gradi di Presenza di Dio nell’anima ad essa propri, tratteggiati sull’esperienza mistica sponsale biblica del Cantico dei Cantici, risulta necessario l’uso di altri parametri conoscitivi che non riguardano direttamente l’Antropologia mistica, pur essendo in continuità con essa. Trattandosi piuttosto di un argomento trattato esaustivamente e profondamente dalla Teologia spirituale, ricordiamo a tal riguardo agli amici cristiani cattolici e ortodossi i trattati sistematici di Royo Marin, Tanquerey e Bernard che racchiudono l’insegnamento del Padri e dei Dottori della Chiesa riguardo l’ascetica e la mistica cattolica, nonché i volumi della Filocalia che custodiscono il tesoro prezioso spirituale ascetico e mistico dei Padri della Chiesa Orientale.

Caratteristiche della Presenza del Divino

     La tematica della Presenza come terza forma di manifestazione diretta del Divino dopo Immanenza e Trascendenza, pone anche nel presente contesto la questione antropologica del suo collegamento con la fase di Assenza, nell’alternanza tipica comune a queste tre forme, viste nella prospettiva di progressiva maturazione nella relazione tra il Divino e l’anima cosciente. Una questione essenziale questa, che segna inesorabilmente il modus vivendi, l’itinerario esistenziale e la vita spirituale dell’anima cosciente. Confrontata simbolicamente con il ritmo respiratorio inspirazione (Presenza) ed espirazione (Assenza), la ragione finale di questa ciclicità esistenziale dentro e fuori, di questo avvicendamento interno ed esterno, di questa alternanza luce e tenebre alle sorgenti dell’anima cosciente, sembra trovare la sua ragione ultima nella preparazione dell’essere umano e, in particolare, del Soggetto Radicale all’azione. La sospensione apparente, la recisione temporanea dell’intimità con il Divino, porta a definire questa Assenza come movimento centrifugo di ordine pedagogico, che scalza l’anima cosciente dall’abitudine ancora imperfetta del gaudium Dei, in vista di un suo impegno esistenziale a favore del prossimo, considerata la sua non completa maturità e perfezione nel distaccarsi dai piaceri celesti quando è necessario il compimento del proprio dovere esistenziale e sociale.

     L’acerbità, il dolore di questa Assenza non è più pronunciato di quello dell’Immanenza né più intenso di quello della Trascendenza. Ma è qualitativamente più profondo per l’anima cosciente che non percepisce più la Divina Assenza come un’uscita e una lontananza infinita del Divino da sé stessa come nelle due forme precedenti, ma la sperimenta come una sparizione, una scomparsa, un voluto inabissamento del Divino nelle profondità della stessa anima cosciente, nelle sue stanze più segrete di cui lei non ne ha assolutamente cognizione di esistenza. Questa apparente distanza, crea nell’anima cosciente una condizione di suprema desolazione, ma anche una corrente di forza titanica, attinta da questo stesso abisso dove il Divino si nasconde, per continuare con inossidabile tenacia la Grande Guerra Santa interiore.

     Possiamo quindi affermare che nell’inabitazione e nella stabile dimora del Divino all’interno dell’anima cosciente, in realtà la fase di Assenza può essere antropologicamente letta come Presenza negativa, la quale dal punto di vista fenomenologico si attiva come condizione di apofatismo interiore, in cui l’anima cosciente per mezzo della sua volontà totale di appartenenza al Divino diventa suo strumento consapevole che si muove ad ogni sua ispirazione, senza tuttavia averne né percezione né sensazione né fruizione alcuna. Il dinamismo Presenza Assenza, non più disperso come nelle forme precedenti ma contenuto nell’abisso dell’anima cosciente dove ora il Divino trova stabile dimora, rappresenta quindi la caratteristica sostanziale di questa forma la quale dà luogo a diversi gradi della stessa Presenza.

     Un’ultima considerazione di ordine etico, riguarda il rapporto tra libertà e impeccabilità. La Presenza del Divino come forma più elevata di rapporto tra il Divino stesso e l’anima cosciente, non garantisce a quest’ultima una condizione di impeccabilità, di uscita definitiva dalla possibilità di infrangere ancora la Legge Divina. Nei momenti dell’Assenza, infatti, l’anima cosciente viene sempre tentata dal maligno anche se, da un punto di vista qualitativo, le sue tentazioni al male sono più sottili sia nell’orgoglio sia nella sensualità. Sono un genere di tentazioni il cui fine ultimo è quello di provocare la caduta luciferina dell’anima cosciente, in quanto ottenebrano la sua facoltà di conoscenza cercando di creare in lei una confusione di ruoli, facendo crederle che “sentire di essere il Divino” per partecipazione, corrisponda ad “essere il Divino stesso”. “Sentirsi Dio” da parte dell’anima cosciente è un dono d’amore incondizionato che il Divino le riserva gratuitamente. A questa manifestazione infinita ed eterna d’Amore, l’anima deve corrispondere con la virtù dell’umiltà profonda conscia di essere e di rimanere una pura creatura davanti al suo Creatore e, soprattutto, deve esercitare una abissale pratica meditativa dell’Abbandono “come una piuma sul respiro di Dio”, come affermava di sé misticamente la grande badessa benedettina Santa Ildegarda di Bingen, amica dell’Imperatore Federico Barbarossa, proclamata Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI di venerata memoria.

I gradi della Presenza del Divino

     Nell’ambito della terza forma di manifestazione diretta del Divino, la Presenza, tutte le esperienze contemplative che nell’Immanenza erano non differenziate e tutte quelle che nella Trascendenza erano transeunte, vengono ora chiarificate dalla stabilità dello stesso Divino nell’anima cosciente e possono anche ripetersi in modo più lucido e comprensivo. Parlare di gradi della Presenza del Divino, qui non significa fare una graduatoria o una scala Paradisi ben definita, strutturata e conseguente. Significa solo identificarli come gradi di intensità della stessa Presenza nell’anima cosciente, i quali da una Presenza cosmica impersonale maturano verso una Presenza interiore personale secondo il pensiero di San Tommaso d’Aquino che vede nella natura personale di Dio non tanto una sua riduzione avatarica bensì la più piena manifestazione dell’infinità e della eternità di Dio stesso. Questi gradi della Presenza nel loro esperire non seguono neanche una concatenazione temporale, per cui se ne viene sperimentato uno minore, non è detto che necessariamente se ne debba sperimentare uno maggiore o viceversa. Ma è facoltà inderogabile della libera volontà di Dio che conosce ogni singola anima cosciente, il donare a lei ciò che le è più connaturale o ciò che maggiormente le serve per raggiungere una piena comunione con Lui.

     Inoltre, all’interno della riflessione sull’anima considerata esclusivamente come imago Dei e non come similitudo Dei, il confine che passa tra percezione impersonale e personale del Divino è molto sottile e caliginoso. Infatti, nella percezione impersonale del Divino si avverte l’esistenza di un essere o di una forza che per l’anima cosciente assume anche i contorni personali in quanto viene percepito come Presenza. D’altra parte, la percezione personale del Divino, avviene sempre “per speculum et in aenigmate” come dice San Paolo ai Corinzi (1Cor 13,12), ossia “come attraverso uno specchio e in modo oscuro” ossia indecifrabile, quindi senza essere completamente certi di essere davanti al Divino come Persona.

     Prima di descrivere, pur sommariamente, i gradi della Presenza, dobbiamo sottolineare che alcune esperienze contemplative di manifestazione del Divino già sperimentate nell’Immanenza e nella Trascendenza in modalità luce tenebre, come già detto sopra possono ora ripresentarsi e replicarsi ma con attributi completamente diversi. In quanto nella terza forma ossia la Presenza, l’inabitazione del Divino nell’anima cosciente non permette a queste stesse esperienze contemplative di manifestarsi anche come tenebre ed assenza del Divino stesso. Ma tenebre ed Assenza del Divino, in questa forma si presentano in modo totalmente distaccato da un punto di vista temporale rispetto ai gradi della Presenza e, come dicevamo poc’anzi, il Divino si nasconde e sparisce nel profondo dell’anima cosciente stessa con un movimento ad intra e non più ad extra come nelle forme precedenti. Provocando così uno stato di desolazione maggiore per portare a compimento la purificazione (katharsis) e lo svuotamento di sé (kenosis), permettendo quindi all’anima cosciente del Soggetto Radicale una piena identificazione con esso come radice del Soggetto ordinario.

     Ricapitolando, tenendo presente che il senso progressivo dei gradi della Presenza del Divino non è continuativo né gerarchico né ascensionale né segue un ordine di merito, ma è solo una progressione indicativa che va dalla percezione impersonale a quella personale del Divino, nel quale il Divino stesso modula queste esperienze contemplative alle anime coscienti in base ad una loro connaturalità e secondo il suo imperscrutabile giudizio, cerchiamo ora di classificare sinteticamente questi stessi gradi evitando di proposito di dar loro una progressione numerica per i motivi suddetti.

     Ricordiamo anche che le tre prime esperienze contemplative, ossia i tre gradi di percezione della forza Divina, della Dispersione cosmica e dell’Universo interiore possono venire sperimentate come esperienza “unica”, ossia una volta sola nella vita, da chiunque sia attratto dalla contemplazione della natura e sia in una situazione favorevole di immersione in essa. Inoltre, queste primi tre gradi della Presenza rappresentano anche gli esordi esperienziali di mistica naturale, di coloro che per via filosofica o religiosa hanno iniziato un cammino contemplativo e che sfociano poi nella pratica della Consapevolezza immanente non differenziata. Queste stesse esperienze, come già detto, possono anche replicarsi all’interno della terza forma di manifestazione del Divino che è la Presenza, di cui stiamo argomentando nel presente articolo, ma con una percezione chiara della presenza del Divino che si manifesta in varie forme come Padre, Assoluto, Creatore pur restando non conosciuto per mancanza di una esplicita Rivelazione.

     Rammentiamo infine che il termine “Percezione”, sta qui ad indicare la visione intuitiva su base sensoriale, attraverso la quale si tramuta in “Sensazione” formando la “Conoscenza” dell’evento spirituale, il quale poi sarà razionalizzato da una riflessione critica su “Che cosa è avvenuto in me?”. Infatti, tutto avviene nel corpo e i sensi sono “le porte dell’anima cosciente” e della sua esperienza del Divino in questo mondo.

* Percezione della forza Divina.

     È una forma di percezione dell’energia vitale universale che avviene durante l’evento meditativo, attraversando il corpo sotto forma di corrente elettrobiochimica. Bruno Gröning, il quale è stato il più grande esponente di questa esperienza contemplativa e il suo codificatore, usava tre termini scaturiti dalla sua esperienza personale per indicare con Heilstrom la forza Divina, Einstellen il collegamento meditativo alla forza Divina, nonché Regelungen le regolazioni attraverso cui la forza Divina fa emergere, cura e guarisce le patologie spontaneamente o attraverso un processo più o meno lungo di guarigione:

     «Abbi fiducia e credi, la forza divina aiuta e guarisce. Il medico più grande di tutti gli uomini è e rimarrà sempre il nostro Signore! Nessun uomo può guarire, è sempre uno solo che può farlo: Dio! A Dio nulla è impossibile! Dio ha creato l’uomo bello, buono e sano, così vuole anche che rimanga. Originariamente gli uomini erano totalmente collegati con Dio, c’era solo amore, armonia e salute, era un tutt’uno. La malattia non appartiene all’uomo. Essere collegati a Dio, questo è tutto!». (Bruno Gröning, frasi tratte dalle registrazioni delle sue Conferenze, in website bruno-groening.org).

     Se questa esperienza di mistica naturale viene vissuta come grado della Presenza, l’anima cosciente sperimenta in modo intenso la paternità di Dio e l’amore nonché le attenzioni che Lui riversa in lei come amata dal Padre.

* Percezione della Dispersione cosmica.

     È un’esperienza contemplativa in cui l’anima viene proiettata nell’immensità dello spazio cosmico e vaga nello stupore di una Presenza misteriosa o nel dolore della sua Assenza. Questa esperienza di mistica cosmica, viene descritta in modo consolatorio, articolato e sublime da Paramahansa Yogananda, guru hindu ed esponente di rilievo del Kriya Yoga nella sua “Autobiografia di uno Yogi” vero bestseller di tiratura mondiale, di cui ne estraiamo alcune righe:

     «S’odono i mobili mormorii degli atomi. L’oscura terra, monti, valli, ecco son liquido fuso! Fluenti mari si tramutano in vapori di nebulose! Om soffia sui vapori, squarciando meravigliosamente i loro veli. Stan rivelati oceani, scintillanti elettroni, finchè all’ultimo tocco del cosmico tamburo le luci più dense svaniscono nei raggi eterni dell’onnipervadente beatitudine. Io venni dalla gioia, di gioia vivo, in sacra gioia mi dissolvo». (Astrolabio Ed., Roma 1971, pag. 146)

     Vissuto invece come grado della Presenza, all’opposto il dolore dell’Assenza non è qua presente come già sottolineato in precedenza. Resta però estremamente viva la percezione del Divino che qui, in aggiunta, si rivela in modo esplicito come Creatore dell’universo che accompagna l’anima cosciente in questo itinerario siderale, come tenendola tra le proprie mani e riempiendola di consolazione, d’amore ma soprattutto di bellezza. Una bellezza che a volte fuoriesce dai suoi occhi come magnetica luce, che viene avvertita dalle persone con cui l’anima cosciente è in relazione.

* Percezione dell’Universo interiore. 

     In questa esperienza contemplativa, la percezione che prova l’anima cosciente è quella di “vedere” l’universo gravitare dentro di sé e, in questo modo, di “sentire” dentro di sé la percezione di essere la sintesi di tutti gli elementi cosmici animati e non animati: minerali, vegetali, animali, angelici. Questa esperienza, può darci una percezione viva circa la vastità immateriale della stessa anima cosciente, capace di contenere in un modo misterioso-simbolico ma altrettanto reale-esperienziale l’interiorizzazione sintetica del cosmo.

     Santa Teresa d’Avila nel suo Castello interiore ci parla con stupore della bellezza e della immensa capacità dell’anima, la quale per contenere Dio non può che partecipare alla sua immensità: «Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione». (Il Castello interiore, I, II, 8).

     Nel presente grado della Presenza, in più, l’anima cosciente percepisce in modo intenso e reale di essere stata posta dal Divino quale Principe della creazione, sentendo come in una duplice corrente discensionale e ascensionale che passa dal suo cuore in modo chiaro, l’amore del Divino per le creature e viceversa quello delle creature per il Divino.

*Percezione della Consapevolezza cosmica.

     Rappresenta un insieme di esperienze contemplative di simbiosi, di identificazione non differenziata con gli elementi della natura, che abbiamo lungamente descritto nell’articolo sull’Immanenza. Qui, all’interno del silenzio meditativo, la percezione sensitiva si attiva in modo più intensivo rispetto alla percezione visiva, in quanto l’osservazione del contenuto all’interno dell’anima cosciente sembra transitare verso il vissuto di un’esperienza sensitiva in completa simbiosi aconcettuale e sovrarazionale con gli elementi del mondo minerale, vegetale e animale:  “io pietra”, “io montagna”, “io pianta”, “io foresta”, “io lupo”, “io delfino”, “io aquila”, “io fuoco, vento, terra e acqua”, “io oceano”, “io universo” ecc., sono parole che pallidamente possono descrivere tali esperienze di simbiosi.

     Un grande protagonista e un esperto della Consapevolezza indifferenziata anche nei suoi risvolti cosmici è stato il monaco buddhista vietnamita Thich Nhàt Hạnh: «Ogni giorno siamo partecipi di un miracolo di cui nemmeno ci accorgiamo: l’azzurro del cielo, le nuvole bianche, le foglie verdi, gli occhi neri e curiosi di un bambino, i nostri stessi occhi, tutto è un miracolo». (Il miracolo della presenza mentale: un manuale di meditazione, Ubaldini Ed., Roma 1992 pag. 20).

     La percezione della Consapevolezza cosmica vissuta in questo grado della Presenza, lascia invece percepire al di là dell’esperienza simbiotica della non differenza, la radice di questo Uno non differenziato, di questo Divino il quale essendo presente in ogni cosa, viene anche percepito come al di sopra di ogni cosa quale Creatore del cosmo.

* Percezione della nuda Presenza.

     In questo grado della Presenza, durante la percezione della nuda Presenza del Divino come nascosto, Deus absconditus, da parte dell’anima cosciente quale imago Dei, prevalgono stupore, silenzio, adorazione di quello stesso Divino che si percepisce presente ma di cui non si conosce il volto. Inoltre, il Divino viene qui fortemente percepito come l’Assoluto, Dominus, il Signore della Creazione. In questo stato, a volte, il Divino è così presente nell’anima cosciente che sembra incarnarsi in lei guardando con i suoi occhi, sentendo con le sue orecchie e camminando con i suoi piedi, mentre essa potrebbe per brevi attimi non percepire più la propria identità personale, ma solo quella del Divino. La percezione della nuda Presenza è figlia di una rigorosa ascesi spirituale, propria di quelle anime coscienti generose che dimostrano grande coraggio nell’opera di purificazione e svuotamento di sé. San Giovanni della Croce, valido esponente di questo apofatismo cristiano, in cui l’anima cosciente va alla ricerca del Divino dimenticando sé stessa, così descrive l’impervia e liberatoria tenacia che servono in questa Via spirituale:

     «Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente. Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente. Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente. Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi. Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai. Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai. Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei. (…) Quando ti fermi su qualche cosa, tralasci di slanciarti verso il tutto. E quando tu giunga ad avere il tutto, devi possederlo senza voler niente, poiché se tu vuoi possedere qualche cosa del tutto, non hai il tuo solo tesoro in Dio. (…) In questa nudità lo spirito trova il suo riposo poiché non desiderando niente, niente lo appesantisce nella sua ascesa verso l’alto e niente lo spinge verso il basso, perché si trova nel centro della sua umiltà. Quando invece desidera qualche cosa, proprio in essa si affatica». (San Giovanni della Croce, Opere, Salita del Monte Carmelo, libro I, cap. 13, 11-13, Postulazione Generale dei Carmelitani scalzi, Roma, 1991).

* Percezione della Presenza di intimità.

     L’anima cosciente, in questo grado, viene a scoprire che il Divino a lei sconosciuto, non rivelato ma di cui percepisce essere l’Essere supremo e Divina Persona, desidera da lei la sua familiarità e la sua intimità. Ella scopre così con intensità che il Divino la ama perché la natura del Divino è natura d’Amore, il Divino è Amore. Circondata da questo Amore celeste, infinito ed immenso, l’anima impara ad abbandonarsi a Lui, a vivere con Lui, a parlare con Lui, ad amare Lui, a seguire Lui, a uscire da sé in Lui. Questa scuola d’Amore, essendo l’anima cosciente creata come desiderium Dei, la conferma nella sua totale fidelizzazione al Divino e lascia nel suo cuore un pegno d’amore, un ricordo che si risveglierà quando, nell’Assenza del Divino stesso, lei lo cercherà desolata. Ripensando così alle intime bellezze del loro reciproco amore, l’anima cosciente vivrà con questo unico ricordo a cui si aggrapperà tenacemente per non abbandonare la Grande Guerra Santa.

     In questo amore intimo e familiare con il Divino, pur con gli esuberanze poetiche e sentimentali tipiche della mistica Sufi, fa scuola il teologo e mistico persiano medievale Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī, il quale riesce ad incendiare i cuori d’amore per l’intimità Divina: «Ho bisogno d’un amante che, ogni qual volta si levi, produca finimondi di fuoco da ogni parte del mondo! Voglio un cuore come inferno che soffochi il fuoco dell’inferno sconvolga duecento mari e non rifugga dall’onde! Un Amante che avvolga i cieli come lini attorno alla mano e appenda, come lampadario, il Cero dell’Eternità, entri in lotta come un leone, valente come Leviathan, non lasci nulla che sé stesso, e con sé stesso anche combatta, e, strappati con la sua luce i settecento veli del cuore, dal suo trono eccelso scenda il grido di richiamo sul mondo; e, quando, dal settimo mare si volgerà ai monti Qàf misteriosi da quell’oceano lontano spanda perle in seno alla polvere!». (Da Il fuoco dell’amore Divino, Website sufi.it).

     * Percezione della Presenza di unità. Questa esperienza contemplativa di tonalità fortemente mistica personale come le due precedenti, con cui spesso s’alterna o si s’intercala secondo i misteriosi disegni del Divino, lascia esperire all’anima cosciente il completo assorbimento nell’alterità del Divino, secondo i canoni della Scuola Advaita Vedanta del “non Due non Uno” (non duale) o con quella cristiana dell’Uno, propria dei mistici della scuola cattolica renana quali Meister Eckhart, Taulero e il Beato Suso:

     «L’anima è così completamente una con Dio che nessuno dei due può essere compreso senza l’altro. Si può concepire il calore senza il fuoco e la luce senza il sole, ma non si può pensare Dio senza l’anima, né l’anima senza Dio, tanto essi sono uno». (Meister Eckhart, I Sermoni, Ed Paoline, Milano 2003, pag. 432).

     Per concludere, nella riflessione critica globale sul tema dell’Uno propria dell’Antropologia mistica, questa esperienza di superiore unità, da non confondere con l’unità non differenziata della Consapevolezza immanente, viene fenomenologicamente analizzata in due fasi nella dinamica progressiva dell’affermazione Divina vetero testamentaria e mosaica dell’“Io Sono”.

     Nella prima fase, l’esperienza dell’”essere coscienza” può anche essere definita esperienza dell’”Io” Sono, in quanto l’accento di questa fase è ancora posto nell’identità individuale dell’essere, per cui la percezione dell’”Io” prevale sulla percezione del “Sono”. Da qui si comprende perché l’esperienza del proprio “Io” ossia dell’ego sia nella luce che nella tenebre, sia l’ultima illusione dell’anima cosciente e si afferma che l’utilità della tenebre interiore consista proprio nella sua funzione di mezzo di destrutturazione dell’”Io”, affinché le radici dei vizi capitali possano essere purgate e progressivamente attenuate a favore di una rinascita del vero “Io” che trova la sua reale natura nel confronto, nel dialogo e nella unione con l’alterità espresse dal “Sono”.

   La seconda e ultima fase dell’”essere coscienza” – che non ha mai termine nel corso di questa vita –, ossia del percorso di percezione del fenomeno anima cosciente, ha come sua caratteristica principale dal punto di vista esistenziale il progressivo e totale trasferimento nell’alterità, nel vivere-per-l’Altro, nel vivere-per-gli altri, nel vivere in simbiosi con il cosmo. Anche qui, lo sradicamento dal proprio egocentrismo operato dalla tenebra interiore e dal lavorio sui vizi capitali prosegue, ma in modo più accettabile e tranquillo, in quanto l’anima cosciente è giunta ad uno stadio di maturità per cui non sfugge più la sofferenza, ma la cavalca e la domina pacificamente attraverso la pratica meditativa dell’abbandono, pratica ora non più legata a singoli momenti e a tempi prestabiliti ma collegata ad ogni singolo respiro personale.

     All’interno della binarietà dell’“Io-Sono”, il trasferimento dalla individualità dell’“Io” alla alterità del “Sono” – in quanto il concetto di “Essere” è sempre partecipativo – si manifesta in diversi modi, non certo esaustivi in questa esposizione. Durante l’evento meditativo può a volte apparire l’estasi, intesa qui come una perdita momentanea della percezione psichica della propria individualità e il trasferimento nel Totalmente Altro, indifferentemente percepito come personale (stato di assorbimento, relazionale) o impersonale (stato di estinzione, a-relazionale), ma più spesso prevale la percezione tenebrosa dell’Assenza in cui la coscienza viene purificata dai suoi attaccamenti e dai suoi vizi. Nel corso quotidiano dell’esistenza, invece, la caratteristica peculiare del trasferimento progressivo nell’alterità del “Sono” che non è perdita di individualità ma suo completamento, è dato da una tensione integrale dell’anima cosciente verso l’offerta totale di sé agli altri, il senso acuto della misericordia e la pratica della compassione vissute nei confronti delle persone e di ogni essere animato e inanimato.

     Il nostro impegno per approfondire le tematiche sul Soggetto Radicale intende continuare, nella certezza di una nuova affermazione del Sacro, dell’Impero Europa, della Civiltà multipolare e nella ferma convinzione che «Il Soggetto Radicale è incompatibile con qualsiasi struttura del tempo. Domanda con forza un anti-tempo, basato sul potente fuoco dell’eternità, trasfigurato alla luce della radicalità». (Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica, NovaEuropa, Milano 2017, pp.239-240)

Buona Pasqua!

Fonte: Soggetto Radicale e fenomenologia della Presenza - IdeeAzione