Repubblica Srpska: prove tecniche di secessione?

26.09.2016
I serbi di Bosnia non piegano la testa e nonostante le minacce del presidente bosgnacco, Alija Izetbegovic, e dell'ambasciata americana votano in massa al referendum contro l'abolizione della festa del 9 gennaio.

Il 99,8 per cento dei cittadini della Repubblica Srpska, su di una affluenza del 51,17%, si è dichiarato a favore del mantenimento del nove gennaio come festa nazionale. Un sì scontato, che suona come un guanto di sfida verso il governo centrale della Bosnia e dell’Unione Europea. E che potrebbe precludere alla nascita di un nuovo stato autonomo.

Si è votato per una festa, per pesarsi o per fare le prove in caso di secessione?

La Republika Srpska, infatti, è la regione a maggioranza serba della Bosnia. Il presidente Milorad Dodik aveva convocato il referendum, considerato illegale dal governo centrale bosniaco, a seguito di un pronunciamento della Corte costituzionale che aveva cancellato il nove gennaio come data di celebrazione della festa d’Indipendenza Srpska, considerata discriminatoria verso le popolazioni cattolico-croate e bosgnacche (i bosniaco-musulmani, nda) che compongono il piccolo Stato mosaico balcanico. Quella data corrisponderebbe ad una festa ortodossa. Ma, soprattutto, ricorderebbe la data in cui i serbo-bosniaci - sotto la presidenza di di Radovan Karadžić -  dichiararono la loro indipendenza all’interno della Bosnia e incominciarono a espellere croati e bosgnacchi dalla Republika.

In modo speculare e contrario, croati e bosgnacchi, a seguito del pronunciamento della Corte Costituzionale sulla festa nazionale Srpska, avevano proposto come data per la celebrazione il primo marzo. In quel giorno del 1992, il parlamento bosniaco aveva dichiarato l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina dalla Yugoslavia, senza la presenza dei serbi. Proprio il primo marzo, iniziavano inoltre le uccisioni di massa di serbi a Sarajevo.

La situazione è oltremodo complicata, anche perché Milorad Dodik ha deciso apertamente di sfidare il presidente bosgnacco in carica, Bakir Izetbegović, dopo che l’ambasciata americana aveva minacciato “conseguenze” non specificate nel caso in cui le consultazioni si fossero tenute. Dopo l’intervento americano, Dodik era volato a Mosca per ottenere l’endorsement di Putin, mentre le stesse autorità di Belgrado avevano dichiarato che non avrebbero lasciato i loro connazionali soli. 

Dodik ha in questi mesi accusato Bakir Izetbegović di perseguire una politica accentratrice, volta ad annientare l’autonomia dei serbi. Nel dibattito si è inserito anche il cineasta filoserbo Emir Kusturica, che ha ricordato come il padre di Bakir Izetbegović, Alija Izetbegovic, presidente nel 1992, avesse rifiutato il Piano Cuteiro sul quale si basa la tripartizione etnica della Bosnia Erzegovina e soprattutto il complicato sistema di presidenza della Repubblica tripartita: divisa fra le tre componenti serba, croata e bosgnacca. Il presidente serbo Vucic, nel frattempo, si è dichiarato garante dell’integrità della Republika Srpska, all’interno della Bosnia Erzegovina, in conformità con gli Accordi di Dayton, ma pronto a intervenire militarmente in caso di minacce. La posizione di Belgrado è una reazione alle dichiarazioni dell’ex leader dell’esercito bosniaco Sefer Halilovic, che aveva affermato che la Republika poteva essere invasa militarmente qualora il referendum si fosse tenuto.

Ora, il referendum si è concluso, per fortuna senza scontri o incidenti. Una cosa non scontata, considerando che si era paventata anche la possibilità di attentati jihadisti a Banja Luka. Ma la stabilità della Bosnia sembra sempre più labile. Il Paese potrebbe implodere. Una Republika Srpska indipendente potrebbe condurre verso una “Grande Serbia” e creare un effetto domino anche in Krajina, la Repubblica serba che fa parte della Croazia. Anche lì, il passo da referendum a secessione potrebbe essere breve.