POPULISMO: GOVERNO DEL POPOLO E NUOVA IDEOLOGIA GLOBALE

05.09.2019

Il populismo rappresenta tutto ciò che travalica l’élite liberale globale.

Molti ritengono che il «populismo» sia solo un termine peggiorativo per designare manifestazioni spontanee anti-élite in Europa e in altri paesi che caratterizzano il panorama della politica contemporanea. Il «populismo» è spesso inteso come l’assenza di una coerente ideologia politica – come la socialdemocrazia, la liberaldemocrazia, il socialismo, il nazionalismo, o idee repubblicane formulate in modo chiaro. Inoltre, «populismo» è considerato tutto ciò che non rientra nel perimetro dell’ideologia a cui aderiscono le moderne élite globali.

Oggi, le élite professano il liberalismo quasi ovunque. Il dibattito concerne unicamente ciò che dovrebbe essere preponderante nell’ambito del liberalismo: se la parte destra (enfasi sull’economia, libertà di impresa, grandi mercati, monopoli, tagli fiscali, ecc.) o sinistra (politiche di genere, migranti, diritti umani, ecc.). Ma, sia in un caso che nell’altro, stiamo parlando di liberalismo (economico, politico o generalizzato, integrale). Tutto ciò che oltrepassa i confini di quello che viene generalmente riconosciuto come liberalismo (di destra e/o di sinistra) viene solitamente chiamato «populismo».

La fine della storia e il trionfo del liberalismo

Le scienze politiche, oltre al liberalismo, riconoscono ideologie non liberali, illiberali o addirittura antiliberali, principalmente nazionalismo (antiliberalismo di destra) e comunismo, socialismo, socialdemocrazia (antiliberalismo di sinistra). Ma queste non hanno a che fare con il populismo, perché stiamo parlando di visioni del mondo a tutti gli effetti (fascista, nazionalsocialista o comunista), che sono state ideologicamente e storicamente sconfitte dal liberalismo. Nel corso del ventesimo secolo, il liberalismo ha sconfitto prima il fascismo (con l’aiuto del comunismo), e poi il comunismo stesso (nella Guerra Fredda). Questo è stato sostanzialmente il contenuto politico e ideologico del secolo scorso. Da quel momento in poi, la sola ideologia dominante (politicamente corretta) è stata quella liberale.

La tesi di Fukuyama sulla «fine della storia» si basa sul fatto che il liberalismo ha storicamente trionfato, dacché non ci sono più fascisti o comunisti. Più precisamente, né i nazisti né i comunisti rappresentano più una seria e reale – simmetrica – minaccia o alternativa al liberalismo. Ma dal momento che sulla scena mondiale sono rimasti solo i liberali, essi non hanno avuto più nessuno con cui polemizzare o contro cui condurre una battaglia ideologica: tutte le élite di tutti i paesi sono liberali, le alternative sono ormai esaurite, vinte, finite, dunque non sussistono più i presupposti per dei conflitti ideologici. Il mondo, secondo il ragionamento di Fukuyama, è ora destinato a diventare un’umanità liberale globale unita sotto la guida delle élite liberali globali e del Governo Mondiale. La politica sarà sostituita dall’economia. Ci sarà un unico Stato Mondiale: una società civile globale, la «società aperta».

A decretare la «fine della storia», secondo Fukuyama, sono due eventi fondamentali: il crollo del comunismo nel 1991 e l’antecedente caduta del fascismo (nel 1943) e del nazionalsocialismo (nel 1945). In seguito, forme più blande di nazionalismo sono state smantellate definitivamente: il peronismo in Argentina, il regime franchista in Spagna e Salazar in Portogallo. Le ultime propaggini ideologiche della «Terza Via» nel Terzo Mondo (nello spirito del ba’thismo arabo) sono cadute non molto tempo fa. Tutte le ideologie illiberali oggi sono scomparse insieme ai loro vettori – paesi, regimi, sistemi politici, modelli economici. È sopravvissuto solo il liberalismo, con le sue prassi e i suoi valori.

Populismo: i liberali cadono preda della «teoria del complotto»

Negli anni 2000 e soprattutto nell’ultimo decennio – dal 2010 in poi – è emerso in politica un fenomeno completamente nuovo che lancia una sfida diretta al liberalismo. Esso nasce principalmente in Occidente, ma è in costante e rapida crescita e si sta espandendo a macchia d’olio in ogni parte del mondo. Questo fenomeno ha iniziato ad essere chiamato «populismo»: proteste di massa contro le politiche dell’élite liberale globale, l’ascesa di nuovi leader chiamati ad affermare questo nuovo orientamento, e la crescente influenza dei partiti e dei movimenti populisti nel panorama politico. Inoltre, questa sfida populista, essendo rivolta specificamente contro il liberalismo, non proviene dai comunisti (che non rappresentano più una potenza globale) né dai nazionalsocialisti (soprattutto perché non esistono più, dal momento che i regimi fascisti sono stati sconfitti più di mezzo secolo fa). Non c’è né la Germania nazista, né l’Italia fascista, né l’URSS. Non ci sono più regimi illiberali, e le ideologie e i sistemi politici ad essi correlati si sono dissolti, disgregati, appartengono al passato.

Il regime comunista cinese non può essere considerato nel pieno senso della parola né «comunista», né «di sinistra». In economia, esso ha un impianto liberale, e in politica poggia su una commistione di realismo e nazionalismo pronunciato. Nell’ambito ideologico inoltre, le ragioni confuciane stanno prendendo sempre più piede, determinando un cambiamento significativo nel contenuto stesso della società cinese. Pur con tutti i meriti della Cina, questo insieme sincretico e mutevole di idee caratterizzato dalla predominanza del pragmatismo può difficilmente essere considerato una seria alternativa ideologica ai liberali. Inoltre, in passato, soprattutto negli anni ’80 ma anche negli anni ’90, la maggior parte degli analisti riteneva che le riforme liberali dell’economia cinese avrebbero portato al naturale indebolimento del potere del Partito Comunista e, in ultima analisi, alla sua abolizione, incamminando la Cina verso un percorso post-sovietico. Ciò non è accaduto, ma la Cina non è ancora vista come una seria alternativa ideologica al liberalismo.

Tuttavia, il liberalismo ha oggi un nuovo nemico: il populismo. Questo costituisce in effetti un orientamento politico illiberale, che tuttavia non è riconducibile né al nazionalismo (fascismo), né al socialismo o comunismo. Questo nuovo fenomeno è diventato in politica un concetto quasi abusivo. I liberali non sono in grado di riconoscere l’esistenza di alcun tipo di ideologia antiliberale al di là del fascismo e del comunismo e pertanto stanno cercando di imporre un’interpretazione del «populismo» che farebbe di questo fenomeno una nuova forma di fascismo o di anarchismo di sinistra. Le élite liberali stanno cercando di spiegare il populismo con il supporto di vecchi cliché ideologici (come il velato fascismo, criptofascismo, o il velato comunismo, criptocomunismo). Nasce così un nuovo genere di «teoria del complotto», e a crederci ora sono i liberali (mentre prima si trattava di una prerogativa riservata a gruppi sociali marginali, spesso estremisti).

Il governo italiano giallo-verde e i gilet gialli: contro il centro liberale

In realtà, nei movimenti populisti scorgiamo elementi completamente diversi. Il populismo rappresenta un rifiuto del liberalismo – ebbene sì. Si tratta di una ribellione contro le élite liberali globali – sì, esattamente. Una ribellione scaturita da un forte e profondo – consapevole – dissenso verso tutto ciò che le élite liberali globaliste dicono e fanno. I populisti si rendono conto sempre più chiaramente che a risultare inaccettabili per loro non sono tanto le teorie liberali né le conseguenti pratiche di fondo volte ad inverarle, quanto i risultati derivanti dall’implementazione di tali pratiche. Ma poiché la crescita dei flussi migratori, il multiculturalismo, le politiche di genere, il post-umanesimo (e il transumanesimo), la disgregazione della famiglia tradizionale e la promozione delle nuove tecnologie (virtualizzazione, intelligenza artificiale, ecc.) sono parte integrante dell’ideologia liberale, gli ingenti costi che comporta introdurre tutto ciò nella società vengono attribuiti – logicamente – ai liberali. Pertanto, la protesta populista viene diretta sia contro le azioni concrete delle élite liberali sia, in particolar modo, contro la loro visione del mondo.

La ribellione dei populisti in Italia ha portato alla formazione del governo giallo-verde di Di Maio (populista di sinistra a capo dei «Cinque Stelle») e Salvini (populista di destra a capo della «Lega»). Nonostante le discrepanze tra le tesi dei «Cinque Stelle» e quelle della «Lega», l’oggetto del loro comune odio, verso cui hanno manifestato una repulsione totale, è stato il liberale Renzi, un rappresentante di spicco del centro globalista e della democrazia liberale. Allo stesso modo, in Francia i gilet gialli – né di destra, né di sinistra – hanno dato vita ad una ribellione che non conosce tregua contro Macron, il quale rappresenta l’incarnazione stessa del liberalismo. Chi è Macron in realtà? È un dispositivo meccanico privo di una propria personalità che incarna la strategia generale delle élite globali. Oggi la Francia è guidata da un funzionario Rothschild ordinario, senza volto e narcisistico allo stesso tempo. I francesi lo rigettano a causa dell’inefficacia della sua politica, della sua arroganza e dell’inconsistenza del suo discorso. Ma, soprattutto, egli viene respinto a causa del suo liberalismo. Macron non è nemmeno un liberale, egli è il liberalismo stesso. È talmente una «nullità» (come politico e come persona) che il liberalismo lo attraversa senza trovare ostacoli, quasi come l’Intelligenza artificiale.

Il populismo non vuole essere né di sinistra né di destra

Cos’è allora il populismo? Che cos’è questo fenomeno, che si oppone al liberalismo eppure non è né comunismo né fascismo? Questo è l’aspetto più interessante. Coloro che seguono da vicino e con attenzione questo processo in Occidente ammettono che si tratta di un fenomeno nuovo. Concordano sul fatto che è effettivamente sbagliato descrivere il populismo come criptofascismo, criptocomunismo o addirittura come una combinazione di entrambi. Teorie cospirative e vecchi cliché applicati a nuovi fenomeni danno come unico risultato la distorsione dell’immagine, la rendono confusa e impediscono di comprenderne l’essenza. No, qui è del tutto diverso, abbiamo a che fare con un fenomeno che rifiuta categoricamente e consapevolmente di spiegarsi nei termini ideologici che la politica moderna impone.

Il populismo non vuole essere di sinistra, non vuole essere marxismo, non vuole essere socialdemocrazia – e questo è molto importante. I populisti respingono tutto ciò, non si considerano latori dell’ideologia politica convenzionale della sinistra occidentale. Si tratta di una caratteristica comune a tutti i populisti di sinistra, dai Cinque Stelle (Italia) al movimento di Melanchon (Francia), passando per Aufstehen di Sahra Wagenknecht (Germania), Podemos (Spagna), o i sostenitori di Tulsi Gabbard o Bernie Sanders (USA).

Ma allo stesso modo, la maggior parte dei populisti non si riconosce nella classica ideologia nazionalista di destra. I populisti non vogliono essere di destra, non vogliono essere nazionalisti, figuriamoci fascisti. Tra questi, v’è un persistente rifiuto dei flussi migratori, vi sono alcuni elementi di nazionalismo, ma non dominano, non sono prevalenti e sono caratteristici di molti lavoratori europei che rifiutano i migranti non per motivi culturali o etnici, ma per ragioni economiche. Alcuni populisti rifiutano l’immigrazione illimitata anche per motivi culturali, ma senza alcun legame con il nazionalismo, né tantomeno col razzismo o con la xenofobia.

La contestazione nei confronti del liberalismo non si riduce solo ai flussi migratori. Riguarda anche una politica sostanzialmente inefficace, la crisi della classe media, che non cresce ma si contrae, la mancanza di visioni del mondo, il dominio soffocante dei grandi monopoli sull’economia reale, e politiche di genere che equiparano le perversioni alla norma. In Francia, ad esempio, coloro che si oppongono alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali hanno organizzato manifestazioni a cui hanno preso parte milioni di persone nell’ambito della «Manif pour tous». A parteciparvi è stata la stragrande maggioranza della più comune classe media francese. In tali manifestazioni e cortei, non esiste alcuna ideologia – la legalizzazione dei matrimoni omosessuali provoca indignazione politica tra la gente comune francese (non comunisti né fascisti, solo francesi). Naturalmente, cercano di catalogarli come «fascisti», perché la famiglia è considerata un’istituzione conservatrice, ma non è assolutamente così. «Manif pour tous» non ha nulla di «conservatore». Semplicemente la gente non accetta non l’esistenza stessa degli omosessuali, ma il fatto che venga loro attribuito uno status normativo e che venga permesso a queste coppie l’adozione di bambini. Tutta la Francia rifiuta ciò categoricamente, ma le élite politiche dicono: «Non ci importa dei milioni di persone che manifestano, noi ci sputiamo sulle vostre manifestazioni, voi non siete nessuno, noi promulghiamo ugualmente una legge sui matrimoni omosessuali, e voi, maiali, dovete tacere».

Democrazia come dominio della minoranza

In questo senso, le élite liberali stanno diventando sempre più arroganti e sempre meno democratiche.

Oggi, liberalismo e democrazia sono in contrasto tra loro. Ho avuto una conversazione alla televisione canadese con Fukuyama, durante la quale gli ho chiesto: cos’è la democrazia per i liberali moderni? È il governo della maggioranza? Ed egli mi ha risposto che no, la democrazia è il dominio delle minoranze contro la maggioranza.

Questa è la democrazia liberale oggi. Il liberalismo sta diventando sempre più totalitario, e non permette più alcuna democrazia (nel senso comune del termine). Le élite liberali usurpano il potere e chiamano «populisti» tutti coloro che mettono in discussione questa usurpazione. In un certo senso, i populisti sono i più vicini ai democratici (come venivano intesi prima). Sono un movimento democratico che pone al centro la maggioranza. I populisti sono coloro che vedono la democrazia alla vecchia maniera (la democrazia è il governo della maggioranza). Mentre le élite liberali vedono la democrazia in modo nuovo, come il dominio di queste stesse élite liberali, che rappresentano una minoranza tra le minoranze. In altre parole, i liberali moderni considerano la democrazia come il governo delle minoranze. I liberali tutelano le minoranze contro la maggioranza, proprio perché la maggioranza è potenzialmente portatrice di populismo. E poi, secondo la logica dei liberali, la maggioranza può scegliere qualcuno «sbagliato» – per esempio, non Macron ma Marine Le Pen, non Renzi ma Salvini, non l’Unione Europea ma la Brexit, non Hillary ma Trump. E questa è una catastrofe per le élite liberali. La gente può scegliere «quello sbagliato».

E cosa si intende per «quello giusto»? Dalla prospettiva della democrazia classica, «quello giusto» è colui che viene scelto dal popolo. Dal punto di vista dei liberali no, «quello giusto» è un liberale proveniente dall’élite globalista, questo è l’unico profilo legittimato ai loro occhi. Pertanto, il popolo assolve la funzione puramente onorifica di votare ciò che i liberali gli dicono di scegliere. E se il popolo non vuole votarlo e riconoscerne la legittimità, allora diventa «populista», e il populismo si trasforma in un termine dispregiativo da applicare agli elementi politicamente scorretti della società. Il cerchio si chiude. In realtà, si tratta della liquidazione della democrazia, del suo smantellamento. Ci sono tutti i sintomi di una dittatura ideologica: il terzo totalitarismo (se consideriamo il sovietismo come primo totalitarismo e il fascismo come secondo).

Il popolo come concetto: Rinascimento e antiche origini

Vorrei qui richiamare l’attenzione sul concetto stesso di «popolo». Esso ha avuto un destino interessante. Da un lato, il popolo è la base di tutte le costituzioni democratiche moderne, in cui si sostiene che costituisce la fonte legittima del potere. Come è possibile, allora, che in una situazione del genere si possa insultare il popolo con un termine dispregiativo? Se il popolo è la fonte stessa del potere, come possiamo usare il termine «populismo» per demonizzare e screditare il più importante detentore del potere? Dopotutto il termine «populismo», così come «popolazione», deriva dal latino «populus», da cui il francese «le peuple», l’italiano «il popolo», ecc. Ma il popolo, secondo la Costituzione, è il legittimo nonché principale detentore del potere. Come si può biasimare il principale e legittimo detentore del potere per essere quello che è!?

Da qui, scaturisce una importante riflessione, di grande importanza in tutti i sensi – anche, forse soprattutto, nel contesto del diritto costituzionale: come viene interpretato il concetto di popolo? Per capire questo, è necessario fare un breve excursus di storia politica.

Inizialmente, il concetto di «popolo» ha fatto il suo ingresso nelle costituzioni dell’era moderna anche antecedenti l’Illuminismo, e da allora è stato costantemente e saldamente presente. Quello di «popolo» è un concetto rinascimentale. Nel corso del Rinascimento, esso è tornato in auge, riemergendo dal circolo culturale in cui era nato nell’antichità, nella Grecia e nella Roma classiche. Questo termine, in Grecia e a Roma, veniva usato per indicare una comunità organica di persone che condividono la stessa tradizione. Il concetto di popolo non è mai stato quantitativo; al contrario, ha avuto sempre un’accezione qualitativa. Il popolo era composto da cittadini: persone con origine, antenati, cultura e tradizione comuni. Il popolo era un concetto che implicava un’identità rigorosamente definita – radici, culti, storia, legame con la terra e gli Dei. La totalità di tutte le persone poste una di seguito all’altra non è mai stata considerata un «popolo». Il popolo era inteso come unità qualitativa, come portatore di un’unica cultura, di un’unica tradizione, di un’unica lingua, avente una comune origine, che rievoca e custodisce il lascito dei propri avi. Il popolo comprendeva i residenti di una particolare città (polis), regione, villaggio, località.

È famosa la formula usata per definire il «popolo romano»: il Populus Quirites Romanus, facente riferimento ai cittadini, ai «quiriti», affiancato alla più alta aristocrazia patrizia che costituiva il Senato, da cui la formula giuridica S.P.Q.R. (Senatus Populusque Quirites Romanus). A detenere il potere e la legittimità nel sistema politico romano non erano solo i patrizi ma anche il popolo romano.

Il popolo è stata la categoria più importante dell’Antichità, riproposta in epoca rinascimentale, che si è caratterizzata per un rinnovato interesse nei confronti dell’Antichità. E in questo contesto, tale categoria è stata introdotta nei documenti giuridici. Il popolo è un concetto molto antico e profondo, qualitativo, spirituale e sacro. Essere parte del popolo, appartenere al popolo è come appartenere ad un essere vivente, strettamente connesso con il divino, con la storia, con la Provvidenza. Il popolo è un concetto provvidenziale, disposto dalla divina Provvidenza. Il popolo incarna l’idea di Dio; così fu definito da Herder più tardi, nel romanticismo. Il concetto sacro del popolo dal Rinascimento è poi stato recepito nelle costituzioni dell’era moderna.

L’usurpazione ideologica del concetto di popolo

Ma gradualmente, in epoca moderna, questo concetto ha iniziato ad essere interpretato in modo diverso. Nei testi costituzionali, il riferimento ad esso è stato mantenuto, e ciò rappresenta un tributo al Rinascimento, e di riflesso all’Antichità. Difatti è questo significato antico e sacro ad essere preminente ancora oggi nelle nostre costituzioni, compresa la Costituzione della Federazione Russa. Con il termine «popolo», supremo detentore del potere e della sovranità, si intende il suo antico significato.

Ma gradualmente, le diverse ideologie politiche che hanno prevalso in periodi e regimi diversi hanno iniziato ad interpretare il concetto di popolo a proprio piacimento. E qui è avvenuta una vera e propria usurpazione di questo concetto: i liberali hanno iniziato ad interpretare il popolo come un «insieme di individui». Il fatto è che l’ideologia del liberalismo considera una persona come un individuo. E quando i liberali si trovano di fronte a un qualsiasi fenomeno sociale, lo riportano al livello dell’individualità atomica. Questo è precisamente il contenuto principale della teoria dei diritti umani; questa teoria discende completamente dall’ideologia liberale, al punto che in un altro contesto il suo significato cambierebbe radicalmente o sparirebbe del tutto. Ma una tale interpretazione del popolo come insieme di personalità individuali è completamente contraria all’idea rinascimentale o antica. Questa è un’interpretazione moderna e liberale. Al limite, possiamo dire che non esiste il popolo per i liberali, ma vi sono solo gli individui.

I regimi socialisti, dal canto loro, hanno interpretato il popolo come fosse una classe, un’interpretazione ancora più stravagante. In parte, le ideologie di sinistra accettano la visione liberale individualista, ma riducono tutti i tipi di persone a due classi: la borghesia e il proletariato, che hanno un diverso tipo di coscienza. Pertanto, per gli ideologi marxisti o socialisti, il popolo costituisce una massa eterogenea, che dovrebbe essere divisa secondo la classe e la cui unità è fittizia. Dunque, l’interpretazione classista precede l’idea stessa di popolo, rendendola condizionale, non fondamentale, e persino ingannevole. Anche qui non c’è alcun popolo; in questo caso sono presenti le classi.

Anche l’interpretazione nazionalista è tinta artificialmente e ideologicamente. Per un nazionalista, il popolo è costituito da persone che hanno la cittadinanza di un determinato paese. Una nazione è un concetto politico. Si tratta di una costruzione artificiale basata sull’identità individuale. Per i nazionalisti e i fascisti, il popolo è indissolubilmente legato allo Stato. I razzisti lo interpretano attraverso la razza, che è anch’essa una costruzione artificiale. Per i nazionalisti, quindi, non esiste il popolo, ma solo la nazione (o razza).

Così, in nessuna delle ideologie politiche (né nel liberalismo, né nel socialismo, né nel nazionalismo) esiste il concetto di «popolo». Inoltre, il popolo non può essere determinante per loro, poiché ogni ideologia lo interpreta a suo modo.

Ci vediamo costretti ad affermare che in epoca moderna è avvenuta una sostanziale falsificazione di un concetto giuridico fondamentale. C’è stata un’usurpazione del diritto di interpretare quell’istanza che dovrebbe essere la fonte primaria di qualsiasi interpretazione, dato che l’interpretazione in un certo senso è potere. Infatti, offrendo ai latori delle principali ideologie politiche moderne l’opportunità di interpretare il concetto di popolo, commettiamo un crimine contro l’ordine costituzionale e le sue fondamenta.

Quando qualche gruppo ideologico in una società usurpa il diritto di interpretare il concetto giuridico basilare e centrale del «popolo» in quanto fonte suprema del potere, e quindi sia della legalità che della legittimità, stiamo di fatto parlando di una presa del potere non autorizzata, di un’usurpazione.

La rivolta populista di oggi è un ritorno del popolo ai suoi diritti legali e costituzionali.  In ogni ideologia moderna – sia essa liberale, nazionalista o socialista – il popolo, nei fatti, non esiste. Al suo posto c’è invece una sua interpretazione basata sull’una o l’altra ideologia.  Ma in questo modo avviene un’usurpazione dei diritti costituzionali del popolo. Il popolo stesso viene privato del suo essere, del suo contenuto.

Il populismo ci rimborsa di questo furto, tenta di porre rimedio a questo crimine costituzionale. In senso stretto, il liberalismo, il comunismo e il fascismo dovrebbero essere vietati per legge. In questo senso, il potere delle élite liberali basato sull’ideologia (interpretazione individualistica del concetto di popolo) non solo non è legittimo, ma è anche criminale nella sua radice. È un crimine di Stato legalizzato.

Il divieto costituzionale dell’ideologia

È molto interessante notare come la Costituzione della Federazione russa bandisca l’ideologia. Se esaminiamo la questione più da vicino, questo divieto dell’ideologia può avere un significato molto profondo. Naturalmente, questo aspetto è stato introdotto negli anni ’90 dai liberali, che hanno cercato di liberarsi dell’ideologia sovietica e di porre il maggior numero possibile di ostacoli alla sua rinascita. I liberali che erano al potere in Russia negli anni ’90, volevano vietare tutte le ideologie diverse dalla loro, cioè dal liberalismo. Ma questa disposizione costituzionale, anche se promulgata ad hoc, tale resta. In Russia, qualsiasi ideologia è proibita come ideologia di Stato. Compresa – e in particolare – l’ideologia liberale. Il liberale non può parlare a nome dello Stato, dando a idee, definizioni e tesi filosofiche liberali lo status di posizione ufficiale. Questo vale anche per altre ideologie. Ma ciò è vero prima di tutto per i liberali, che abusano chiaramente del potere, soprattutto in settori come l’economia, l’istruzione e la cultura, e lo fanno per conto dell’autorità, dello Stato e del governo.

Pertanto, la norma costituzionale sul divieto di ideologia dovrebbe essere interpretata come un divieto di usurpazione dei diritti del popolo a godere della pienezza della propria sovranità.

Nessuna ideologia può dirci cos’è un popolo. Solo il popolo stesso sa chi è, solo il popolo dovrebbe essere interpellato su questo, e solo il popolo è il soggetto della storia e il principale portatore di sovranità e diritti.

Il populismo come ritorno del popolo alla politica

Il populismo è questo ritorno del popolo alla politica. Ma quando il popolo cerca di esprimere il proprio disprezzo verso l’ideologia delle élite al potere, le élite iniziano a combattere il popolo. 

In che momento politico viviamo oggi? Oggi è in corso uno scontro tra gli usurpatori dei diritti del popolo e il popolo stesso. E questo fenomeno non si limita ai paesi occidentali. Sta avvenendo pressappoco lo stesso in altre aree del mondo. Inclusa la Russia. Le élite liberali sono globali. Segmenti di questa rete globalista nella forma di quinta e sesta colonna sono presenti in quasi tutti gli stati. E quasi ovunque occupano una posizione di primo piano nei rispettivi sistemi politici. C’è solidarietà tra queste élite: tutte hanno un nemico comune, un popolo (a prescindere da quale popolo si tratti) che oggi le sfida, disvelando progressivamente l’avvenuta usurpazione del potere e l’illegittimità del fenomeno stesso della dittatura liberale, che oggi ha una scala quasi planetaria. La «fine della storia» negli anni ’90, proclamata da Fukuyama, era un appello alle élite liberali globali per unirsi in un Governo Mondiale. Ma questo non era destinato ad accadere: i piani dei liberali si sono scontrati con la resistenza dei popoli. Una resistenza che, per di più, non proviene dalle opposizioni ideologiche classiche (nazionalismo e comunismo), ma da una fervente e verace maggioranza popolare. Dalla democrazia stessa.

L’imperativo della solidarietà dei popoli nella lotta contro l'élite globalista

Il liberalismo è un’ideologia incostituzionale, così come lo sono le altre ideologie del comunismo o del fascismo. Tutte e tre le forme di interpretazione del popolo (attraverso il liberalismo, il socialismo o il nazionalismo) sono incostituzionali perché pretendono di interpretare il concetto fondante della Costituzione. Esse sono possibili solo in una seconda fase. Il popolo esige: prima riconoscetemi come il sovrano principale, e solo allora – a condizione che abbiate riconosciuto la mia integrità, supremazia e sovranità – potrete presentare le vostre interpretazioni, ma non viceversa. Voi (liberali, comunisti o fascisti) non avete alcun diritto di imporre nulla al popolo sulla base della vostra interpretazione fatta secondo i vostri insegnamenti politici parziali e soggettivi.

Queste sono le ragioni alla base dell’ascesa del populismo. Questo è il più profondo processo ideologico, costituzionale e giuridico che può portare o all’abolizione del popolo dalla Costituzione (e quindi alla fine della democrazia in generale), o alla rivoluzione del popolo, con l’annichilimento delle élite liberali globali e, infine, la loro messa al bando. Perché il loro potere globale è illegale. Oggi essere liberale, essere un membro dell’élite liberale significa essere un criminale, un usurpatore. Si tratta di un atto incostituzionale. Il liberalismo è incostituzionale e deve essere riconosciuto come tale. Non abbiamo alcuna remora nel dichiarare che un’ideologia che invoca il terrore e la violenza vada proibita. Il liberalismo compie terrore semantico, violenza ideologica. Oggi rappresenta una setta totalitaria, che cerca di approfittare del momento storico per ottenere un potere illimitato su scala globale. Oggi, questa setta sente che un’onda di rabbia popolare sta montando contro di essa. E contrattacca, cercando di schiacciare i germogli del populismo sul nascere.

La nuova mappa ideologica e politica è questa: liberali (destra e sinistra) contro populisti («destra» e «sinistra», ma in realtà, né di destra, né di sinistra) o, detto altrimenti, élite contro popolo. Le élite globaliste sono internazionali; esse hanno una chiara consapevolezza della loro solidarietà su scala planetaria, degli interessi comuni e della necessità di sostenersi a vicenda nella lotta contro i popoli. I popoli, invece, sono frammentati. Pertanto, nella rivolta del populismo, nella sollevazione dei popoli, qualsiasi cenno di nazionalismo (terza teoria politica) può essere estremamente pericoloso, giacché liberali non mancheranno di approfittare di conflitti tra i popoli per continuare a tenerli sotto il proprio giogo. Da qui l’imperativo: i populisti nella loro lotta devono essere non meno uniti dei loro nemici globalisti.

Un divieto esteso a tre ideologie

Perché parliamo maggiormente di liberalismo? Perché, a differenza della realtà ideologica del XX secolo, oggi il socialismo non è particolarmente influente e, a fortiori, non ha la capacità di dettare i suoi principi ideologici in modo totalitario. Inoltre, oggi i socialisti non hanno praticamente alcuna influenza sulla definizione delle categorie giuridiche di base. E se lo fanno, come nel caso della Cina o della Corea del Nord, ciò avviene su scala regione e, inoltre, per valutare adeguatamente questa influenza, è necessaria un’analisi approfondita di sistemi giuridici come quello cinese o nordcoreano. E non è tutto come appare ad un osservatore esterno. Va da sé, tuttavia, che il divieto di ideologia dovrebbe valere non solo per i liberali, ma anche per la sinistra.

Corrispondentemente, dovrebbero essere legalmente interdetti i nazionalisti, poiché essi sostituiscono il popolo con i loro concetti (estatici, nazionalisti, razzisti o xenofobi, in ogni caso artificiali). Il pericolo del nazionalismo sta proprio nel fatto che può facilmente deviare verso altri popoli, minoranze o rappresentanti di altre culture e fedi la giusta rabbia dei popoli contro le élite dominanti. I globalisti non mancherebbero di approfittarne.

Il popolo e il suo Verbo

Il popolo deve proseguire la sua lotta. Giacché è lui che dovrebbe essere il principale depositario della sovranità. In quasi tutte le società moderne non è così. Pertanto, la maggior parte delle società moderne sono illegali e incostituzionali. La struttura del potere in queste società moderne, molto spesso liberali, è in diretta contraddizione con i diritti costituzionali fondamentali.

Il populismo non dovrebbe essere percepito semplicemente come una reazione spontanea della popolazione all’illegittimità delle élite globaliste. Dovrebbe diventare una nuova ideologia che ponga il popolo al primo posto. Dev’essere un movimento democratico. Un processo costituzionale di lotta popolare per la sovranità del popolo.

Il popolo non dovrebbe umiliarsi, chiedendo alle élite o addirittura implorandole di «concederci diritti» e di «darci una vita migliore». Le élite moderne sono illegittime. Non dobbiamo rivolgerci ad esse, dobbiamo sbarazzarcene, destituirle, abolirle. Esse semplicemente non dovrebbero esistere. Le élite liberali sono usurpatrici del potere, sono anticostituzionali. Sono il posto in cui si collocano coloro che hanno commesso un golpe, almeno, in luoghi non troppo remoti (se non peggio).

Quelli che oggi dichiarano guerra al popolo e usano in modo dispregiativo il concetto di «populismo» sono i nemici dei nostri popoli. Sono elementi incostituzionali che hanno usurpato il diritto di parlare a nome della società, a nostro nome, a nome del popolo.

Nessuno, tranne il popolo stesso, può parlare in sua vece. Pertanto, la lotta dei popoli per la loro voce, per il loro potere e per la loro supremazia è una battaglia storica per la parola. Per il Verbo.

Traduzione di Donato Mancuso