Obama sogna un Kurdistan amerikano
Da alcuni mesi, l’opinione pubblica occidentale ha scoperto una nuova affascinante parola: peshmerga. Questo termine, dal suono esotico, significa “chi sta di fronte alla morte” in lingua pahlavi e indica, genericamente, un combattente. Il termine si trova utilizzato già in epoca sassanide in Persia, nel Settimo secolo dopo Cristo, a indicare l’élite della cavalleria pesante catafratta dell’esercito imperiale.
I peshmerga ci sono insomma sempre stati, anche quando a chiamarsi così erano solo i contrabbandieri e i briganti che infestavano l’altipiano sul confine tra Turchia e Iraq.
Nella prima guerra mondiale i peshmerga servirono nell’esercito ottomano come truppe irregolari. Nel 1919, dopo la sconfitta dell’impero ottomano, gli sceicchi curdi chiamarono i peshmerga alla rivolta contro l’occupazione britannica. Da allora i curdi hanno combattuto più o meno con tutti - sostenuti di volta in volta dagli uni o dagli altri - e persino tra di loro, tra il ’95 e il ’98, tra peshmerga comunisti e peshmerga patriottici.
I curdi sono un’etnia che abita da sempre una vasta area tra la Turchia, l’Iran, l’Iraq e la Siria, che nessuno Stato centrale è mai riuscito veramente a pacificare. A fasi alterne le diverse fazioni curde hanno espresso l’ambizione di costituire uno Stato indipendente comunemente definito Kurdistan. La fazione armata curda più attiva e longeva è il PKK, nato negli anni Settanta su una base ideologica marxista-leninista, appoggiato in origine da Cina e Urss nella sua lotta armata contro la Turchia, che allora era il fronte orientale più avanzato e solido dell’Alleanza atlantica. La lotta armata del Pkk si intensificò quando, negli anni Ottanta, una giunta militare assunse il controllo del governo turco, a seguito di un colpo di Stato sostenuto dagli Usa.
Anche i Curdi iracheni sono sempre stati insofferenti al dominio del governo sunnita imposto e guidato da Saddam Hussein, rivendicando la secessione o almeno l’autonomia della parte settentrionale del Paese, ricca di risorse.
Durante la guerra di invasione dell’Iran scatenata da Saddam su richiesta delle potenze occidentali nel 1980, i peshmerga si rivoltarono contro gli iracheni in un attacco coordinato con i pasdaran iraniani. La rivolta del 1983 venne repressa da Saddam Hussein con l’uso di devastanti armi chimiche che gli vennero fornite dalle potenze occidentali e che ufficialmente causarono la morte di 100mila curdi.
Dopo la sconfitta di Saddam, gli Usa hanno di fatto mantenuto una divisione tripartita dell’Iraq, lasciando il Sud al governo centrale controllato dagli sciiti e il nord curdo ad una sorta di autonomia e mantenendo sotto il proprio controllo militare la fascia centrale a maggioranza sunnita.
E’ nella zona irachena sotto il controllo americano che, in contemporanea al ritiro delle truppe annunciato da Obama nel 2014, si istaura il sedicente Stato islamico di Al-Baghdadi. E inizia in tutta la regione l’ennesima guerra di tutti contro tutti che mantiene nella paralisi formale l’estrazione e l’esportazione del petrolio.
Inizialmente è solo l’esercito regolare di Baghdad, sostenuto dall’Iran e da milizie sciite, a sostenere lo scontro con l’Isis. Le milizie sono organizzate dal leggendario colonnello dei pasdaran Qassim Suleiman. Lo stesso Suleiman, scampato a tre tentativi di assassinio da parte di killer sconosciuti, riesce a raggiungere l’altipiano curdo e organizzare nel 2015 le nuove truppe peshmerga per prendere l’Isis alle spalle.
Solo a questo punto l’Occidente ri-scopre l’esistenza dei combattenti curdi e comincia a dedicargli l’attenzione dei suoi media, organizzando campagne di sostegno internazionale che, passando per la pubblicazione di reportage e fumetti, giunge sino alla realizzazione di un film da parte del poliedrico filosofo francese Bernard-Henri Levi, che si auto-nomina portavoce della causa curda nel mondo, ottenendo il sostegno entusiasta dell’intellighenzia occidentale.
Gli elementi della nuova mitizzazione dei peshmerga sono ideologicamente significativi. Si sottolinea fino all’eccesso la parità presunta delle donne curde all’interno delle formazioni militari e una supposta diffusa laicità dei musulmani curdi. Sui rotocalchi occidentali impazzano foto di modelle e miss curde armate e vestite in mimetica. Ma soprattutto quello che interessa agli strateghi di Washington è l’eterna conflittualità dimostrata dai curdi nei confronti di tutti gli Stati in cui si sono trovati a convivere. Ampliare mediaticamente il contributo militare che i peshmerga daranno alla inevitabile quanto tardiva sconfitta del Daesh, fornirà la base mitica a sostegno di una richiesta di creare uno Stato curdo indipendente. Questo verrebbe costituito sottraendo territorio a Iraq e Siria e con la richiesta di ulteriore spazio a Iran e Turchia, che passa anche tramite interventi di protezione “umanitaria” nei confronti delle forze combattenti del Pkk che continuano la loro guerra contro le truppe turche sul confine siriano e nella stessa area metropolitana.
Si avrebbe così uno Stato cuscinetto tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, tutti Stati con i quali gli Usa sono attualmente in relazioni molto difficili e che risentono per motivi strategici o tattici dell’influenza russa.
I consiglieri di Obama sognano così di realizzare nel Medio Oriente un nuovo “effetto Israele”: introdurre cioè nella regione un elemento statuale che non possa mai amalgamarsi con gli Stati circostanti e costituisca un elemento di controllo e destabilizzazione perenne dell’area.
Il progetto non tiene tuttavia conto dei debiti di riconoscenza dei peshmerga nei confronti dell’Iran, che è stato al loro fianco in tempi non sospetti e che da sempre tutela la popolazione curda che vive entro i propri confini.