Nella sconfitta Renzi ha dimostrato i suoi limiti politici. Con Gentiloni premier si apre un'altra partita
Nel tardo pomeriggio di oggi la Camera dei Deputati ha votato la fiducia al nuovo governo presieduto da Paolo Gentiloni. Per domani è attesa la votazione del Senato, dopodiché l’esecutivo entrera’ nel pieno delle sue funzioni.
La crisi di governo seguita alle dimissioni di Matteo Renzi, causate dall’esito della consultazione referendaria attraverso cui gli elettori hanno bocciato la Riforma Costituzionale voluta dal Segretario del Partito Democratico, è durata pochissimo. Dopo appena tre giorni di consultazioni, il Capo dello Stato è stato in grado di conferire l’incarico di Presidente del Consiglio e di dare vita ad un governo sostenuto dalla stessa, identica maggioranza di quello precedente.
Non solo. Il nuovo premier non è altri che il Ministro degli Esteri della squadra di Renzi e la stessa compagine ha subito poche modifiche, la più importante delle quali è lo spostamento di Angelino Alfano alla Farnesina e la nomina a Ministro degli Interni di Minniti.
Se vogliamo tutto questo ha del surreale, un gattopardesco avvicendamento alla carica di Primo Ministro, attuato mentre tanto il principale partito di maggioranza, quanto le opposizioni, si dichiaravano disponibili ad elezioni anticipate.
La domanda è legittima: perché tutto questo? Era davvero necessaria questa crisi di governo?
Certamente Matteo Renzi non si aspettava un risultato così negativo al Referendum, eppure, nonostante avesse più volte ribadito che il destino del suo esecutivo era indissolubilmente legato all’approvazione della Riforma della Costituzione, le sue dimissioni irrevocabili non erano affatto indispensabili.
In questo ha giocato un ruolo importante l’uomo Matteo Renzi, prima che il politico, con tutti i suoi limiti. Con il discorso pronunciato alla mezzanotte della giornata delle votazioni, l’ex sindaco di Firenze ha pregiudicato la possibilita’ di rimanere a Palazzo Chigi. Quel discorso di pancia, con l’atteggiamento di chi non accetta compromessi, in cui confermava i suoi annunci di lasciare in caso di sconfitta la guida del paese, è stato l’ennesimo tentativo di “rilanciare”, di continuare a “fare il bullo”, senza contare che, per prassi istituzionale, non era mai accaduto che un premier annunciasse le proprie dimissioni davanti alle telecamere, prima di aver conferito con il Presidente della Repubblica.
Se si fosse limitato a tenere lo stesso tipo di discorso, senza dichiarare di aver deciso di dimettersi irrevocabilmente, ma limitandosi semplicemente ad annunciare la sua volonta’ di recarsi al Quirinale per conferire con il Capo dello Stato e trarre assieme a lui le conclusioni politiche del risultato referendario, Renzi avrebbe senz’altro ottenuto il rinnovo dell’incarico, non essendo stato, peraltro, mai sfiduciato dal Parlamento, che, al contrario (ennesimo paradosso), gli ha rinnovato la fiducia ancora una volta mercoledì scorso in occasione dell’approvazione della Legge di Bilancio.
Certo, a quel punto sarebbe mutata la “fisionomia politica” del governo Renzi, che si sarebbe tramutato in qualcosa di molto simile ad un “governo del Presidente”. Ciò che di fatto è oggi il governo Gentiloni.
Renzi, però, ha dimostrato di non saper gestire il momento di difficolta’, non ha voluto accettare un ridimensionamento del suo profilo politico e ha preferito, senza considerare le molteplici difficolta’ economiche del paese, le prossime scadenze internazionali, perfino la mancanza di una legge elettorale immediatamente utilizzabile dopo i pasticci combinati da lui e dai suoi collaboratori con l’”Italicum”, provare a giocarsi il tutto per tutto, allo scopo di capitalizzare quel 40 per cento di Sì al Referendum che lui considera “suoi”, e andare a votare.
Sì perché, diciamo la verita’. Al di la’ delle dichiarazioni ufficiali, in questo frangente l’unico che davvero voleva le elezioni anticipate e ha fatto di tutto per ottenerle, anche attraverso l’assurda pretesa di varare un governo di “responsabilita’ nazionale” appoggiato anche dal centrodestra, senza trovare però la minima sponda in Mattarella, era proprio Matteo Renzi, al quale, come dimostrano i quasi due anni di governo e, soprattutto, le ultime due settimane, ciò che manca, oltre alla caratura amministrativa ed istituzionale, è la capacita’ di mediazione. Un limite che potrebbe rivelarsi la sua rovina.
Ora è chiaro che il tempo non gioca a favore di Renzi. Soprattutto i suoi avversari interni al Partito Democratico si stanno organizzando per lanciargli contro un’offensiva decisiva. L’obiettivo è sottrargli, a questo punto, la leadership del partito e più passeranno i mesi, meno Renzi sara’ in grado di conservare la maggioranza nel PD, che lui aveva blindato soprattutto grazie agli strumenti che il suo doppio ruolo di Presidente del Consiglio e Segretario del partito gli mettevano a disposizione.
I riposizionamenti delle correnti e dei singoli deputati democratici sono gia’ cominciati e ormai è chiaro che la battaglia finale si terra’ in occasione del congresso nazionale che avra’ luogo entro la primavera.
Anche chi pensa che Gentiloni sara’ un semplice “avatar” di Renzi fa un’analisi superficiale. Il nuovo premier, innanzitutto, ha gia’ chiarito che il suo governo non ha alcuna scadenza ed andra’ avanti fino a quando avra’ una maggioranza in Parlamento. Ed è difficile immaginare che, in questo clima di incertezza, ci siano molti parlamentari disponibili, tanto nella maggioranza quanto tra le opposizioni, a chiudere velocemente la legislatura, senza garanzie di rielezione. Un fattore con il quale Renzi non aveva fatto sufficientemente i conti.
Tra i corridoi della Camera e del Senato si sussurra che le prossime elezioni potrebbero tenersi in autunno, quando una volta raggiunto il mese di settembre i parlamentari avranno raggiunto il diritto al vitalizio legato a questa legislatura, o al più tardi a febbraio. Noi ci sentiremmo, però, visti i molti dossier aperti e la necessita’ di varare una nuova legge elettorale, sulla base delle indicazioni che emergeranno dalla sentenza della Corte Costituzionale prevista per gennaio, di scommettere qualche euro sulla possibilita’ che questa legislatura giunga alla sua scadenza naturale, prevista per la primavera del 2018.
Se così fosse, è difficile credere che Paolo Gentiloni si limitera’ ad eseguire le indicazioni dell’ex premier, senza tentare di dotarsi di un proprio profilo politico, se non rivendicare addirittura una leadership nell’ambito di un PD che sara’ inesorabilmente scosso da una guerra furibonda tra renziani, sinistra interna e correnti varie, che potrebbe anche concludersi con la fuoriuscita di Renzi e dei suoi e la fondazione di un nuovo soggetto politico, quel “Partito della Nazione” in grado di occupare stabilmente il centro della scena politica italiana, che Renzi avrebbe voluto grande come la vecchia DC e maggioritario e che invece potrebbe alla fine essere in ogni caso, con ambizioni più modeste, l’unica via di uscita dalla caccia serrata a cui lo sottoporra’ la vecchia guardia dei DS capeggiata da Bersani e D’Alema.
Il rischio per i democratici è evidentemente una lunga stagione di logoramento, sia all’interno sia nel paese.
Di una simile evenutalita’ potrebbero approfittare, ovviamente, le opposizioni.
Innanzitutto i grillini, soprattutto se i Cinque Stelle si dimostreranno in grado di rimettere in carreggiata la loro azione amministrativa nel comune di Roma, dopo le assurde gaffe di questi primi mesi, che oggi hanno avuto un ulteriore strascico con le dimissioni dell’assessore all’Ambiente Muraro, nell’occhio del ciclone sin dai primi giorni, per l’inchiesta sui rifiuti in cui risulta coinvolta.
Anche il centrodestra però potrebbe dimostrarsi più vitale di quanto ha dimostrato fino ad adesso. La possibile nuova legge elettorale proporzionale con premio di coalizione potrebbe favorire questa parte, che, in vista di un possibile ritorno sulla scena di Berlusconi, sta provando a riorganizzarsi.
Alla fine potrebbe nascere una coalizione “a tre gambe”, con Forza Italia e Lega Nord gia’ in campo ed un possibile raggruppamento composto da tutti gli scontenti di Forza Italia: è di queste ore l’annuncio dell’accordo tra i Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto e il Movimento Idea di Quagliariello, in procinto di creare alla Camera e al Senato gruppi parlamentari comuni.
A costoro, secondo fonti bene informate, potrebbe aggregarsi clamorosamente anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che avrebbe gia’ inviato emissari a sondare il terreno, per chiudere nei prossimi mesi l’operazione.
Ciò che è certo, è che, malgrado Renzi non la veda così, la politica in Italia non è finita con la caduta del suo governo e molti colpi di scena sono in arrivo. Alcuni di essi, purtroppo, avverranno sulla pelle degli italiani sui quali potrebbe presto abbattersi una nuova stangata fiscale, per fare fronte alle molte mance distribuite dall’ex premier nel corso della sciagurata campagna referendaria, ed una recrudescenza della crisi bancaria, che in questi giorni vede un istituto di credito storico ed importante come il Monte dei Paschi di Siena nell’occhio di un pericoloso ciclone.