Nascita del Soggetto radicale e chiamata del Divino

27.10.2022
“Al di fuori del sacro, c’è solo il nulla”. (Aleksandr Dugin)

Preludio: l’agonia di vivere una vita senza eroismo

Qualche anno fa, parlando con un neuropsichiatra responsabile di un CPS – inoltre criminologo e con ottime conoscenze nel campo dell’etnoantropologia –, egli dichiarò che anche per quanto riguarda l’uomo postmoderno la struttura genetica tribale alberga ancora abbondantemente nel suo DNA. Sostenne, ad esempio, che esistono attualmente persone che corrispondono ai guerrieri vigilanti, coloro che intuiscono e avvisano la tribù in caso di pericolo, che sono incapaci di adattarsi alle consuetudini sociali della vita delle metropoli e delle grandi città.

Nell’attuale società liquida che ha rotto il ritmo circadiano sonno/veglia e alterna esasperazione multimediale, traffico intenso a noiosa routine quotidiana, questo neuropsichiatra sostiene di avere in cura farmacologica un buon numero di persone a tipologia guerriera vigilante. Egli afferma che la loro vigilanza, a causa di eventi stressori legati al binomio squilibrante ipermotricità/noia, raggiunge prima picchi di elevata intensità per poi spegnersi, tali da inibire così la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore legato alla serenità. Si viene a creare così, a suo parere, un profondo e articolato senso di depressione sociale, in cui la nausea esistenziale e la fuga dalle proprie responsabilità rappresentano un corpus di disagio civile in cui la categoria genetica dei guerrieri vigilanti è sicuramente la più colpita.

Molte, a volte, incomprensibili esplosioni di violenza giovanile sono legate a questa carenza di serotonina, come pure l’uso di stupefacenti, il turismo frenetico, lo shopping compulsivo, l’uso ipnotico dello smartphone o la ricerca di forme meditative salutistiche private della loro finalità spirituale, che insieme ad altri comportamenti afinalistici rappresentano delle autentiche patologie sociali che caratterizzano l’attuale segmento temporale del XXI secolo.

Consideriamo tali riflessioni neuropsichiatriche come prima evidenza di una base organica al processo di nausea esistenziale, all’agonia di vivere una vita priva di eroismo, da parte di personalità guerriere che difficilmente riescono ad adattarsi al ritmo frenetico e di routine dell’anticiviltà prodotta dal totalitarismo liberale, che sostanzialmente appare come una violazione permanente ai tempi e ai cicli scanditi dalla Natura, in cui l’essere umano dovrebbe essere immerso anche nel caso della crudità della guerra o dell’alta velocità ed imprevedibilità di uno scontro armato, come ci ricorda anche la Sacra Scrittura:

“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace”. (Qoelet 3, 1-10)

Passando dalla psichiatria all’etnosociologia, riusciamo a cogliere una seconda evidenza di ordine antropologico riguardo la nausée per una vita ordinaria priva di eroismo. Nella tripartizione tradizionale socio-tribale indoeuropea proposta da Eliade e Dumézil come un tutto organico, distinto in sacerdoti, guerrieri, artigiani e contadini, sclerotizzatosi poi nell’Ancien Régime come Clero, Nobiltà e Popolo, ecco emergere l’inquietudine della classe guerriera germanica, soprattutto quella dei Franchi, che considerava come autentica sciagura un anno passato senza fare la guerra. Una mentalità barbarica questa, in piena continuità con il motto romano: “Si vis pacem para bellum”, riproposta poi da Léon Degrelle in chiave ideale contemporanea con l’affermazione: “Godetevi la guerra, perché la pace sarà terribile!”, capace di denotare la grande sofferenza psicologica del typos guerriero per una vita borghese esente da eroismo individuale e collettivo.

Ed è in questo eroismo inteso come oblatio munda, ossia offerta della propria vita per la difesa del Popolo –, un eroismo vissuto come continuo superamento dei propri limiti personali, come perfezionamento della propria natura e della propria tecnica guerriera e militare che si inserisce successivamente la realtà vitale della propria elevazione spirituale, attraverso quel genere d’ascesi denominata la Grande guerra santa, che sostanzialmente è la lotta contro il proprio ego per l’autentica nascita del Sé, la battaglia quotidiana contro il proprio egoismo per far emergere l’altruismo del sanctus/santo (etim.: ciò che è separato) inteso come incarnazione di ciò che è sacer/sacro (etim: ciò che salva, ciò che va adorato). Così da un punto di vista etimologico Arya/Signore, Heros-Èros/forte valoroso, Aristos/migliore, trovano nei sostantivi Eroe/Eroismo la specificità della vocazione aristocratica guerriera e in Santo/Sacro lo status di separazione sociale votato alla salvezza della Patria e del Popolo, poiché come ci insegna magistralmente Mircea Eliade: “Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza”.

Tuttavia, le due evidenze su esposte ossia la base organica e quella esistenziale della nausea nei confronti di una vita senza eroismo, si rivelano insufficienti a produrre il concepimento e la nascita del Soggetto Radicale, mancando infatti esse di un innesco positivo e portando tendenzialmente al risultato di un delusorio solipsismo esistenziale, improduttivo, paralizzante e spesso mascherato da atteggiamenti pseudo nietzschiani. Il concepimento del Soggetto radicale e la sua nascita potranno invece avvenire solo se s’imporrà una terza evidenza, quella dell’intransigenza di taglio militante per un nuovo ritorno alla Tradizione. Una decisiva evidenza formata da tappe successive ossia il passaggio dal solipsismo esistenziale alla ribellione interiore, seguita dal passaggio dalla ribellione interiore all’ascolto della chiamata del divino e alla sua sequela nella lotta per la Tradizione, per continuare con la discesa agli inferi della purificazione interiore e l’adesione in corso d’opera a una Comunità organica di destino.

Reazione alla società liquida e intransigenza del Ribelle/Soggetto radicale

A un passo dal suicidio collettivo finale, la società liquida descritta da Baumann e istituzionalizzata dai signori dell’oro e del male di Davos – costituita esclusivamente da individui consumatori manipolabili dal gender, dal Big reset, dalle Big pharma e Big tech, dal finis Storiae, dal transumanesimo e dallo sdoganamento limite della pedofilia da perversione a tendenza sessuale –, è un terreno fecondo per il concepimento del Soggetto radicale come forma del Ribelle postmoderno.

La principale caratteristica del Soggetto radicale è l’uso della violenza. Violenza inizialmente subita dal suicidio e dalla morte del corpo sociale coi suoi risvolti spirituali, mentali, economici, lavorativi, finanziari, familiari. Una violenza e una morte vissute singolarmente in modo differente attraverso una vorticosa caduta esistenziale fino al punto zero, per mancata uniformità e rifiuto del Ribelle al cliché e al ruolo di individuo consumatore manipolabile.

Il passaggio dal Ribelle al Soggetto radicale e al suo concepimento, avviene quando dal punto zero della violenza sociale subita, dal fondo di una esistenza profondamente umiliata si innesca la violenza dell’intransigenza. Da questa prima caduta verticale ne segue un’esplosione contro l’ingiustizia sociale che prende forma in pensieri, atteggiamenti, decisioni, fatti, comportamenti, quindi un’esplosione di risalita e in linea trasversale che va a penetrare la massa liquida degli individui consumatori marcando differenza, testimonianza, azione a favore della violenta intransigenza della Tradizione. In questa fase, il Soggetto radicale non ha ancora coscienza di sé ed è come un embrione che nuota nel liquido amniotico della Tradizione senza ancora averne coscienza ontologica, ma solo una coscienza emotiva e razionale data da ragioni di ordine intellettuale. Vivendo in un mondo senza Tradizione, l’embrione si erge quindi evolianamente con violenza come Uomo in piedi in mezzo a un mondo di rovine.

Il Divino chiama: la voce del cuore e la scelta di lotta per la Tradizione

Sviluppando i concetti di Tommaso d’Aquino, secondo cui tutto è buono ciò che Dio ha creato e il quale afferma che anche la materia ha origine in Dio, possiamo delineare il passaggio del Soggetto radicale da una coscienza intellettuale a una coscienza ontologica riguardo la Tradizione, ossia dal suo concepimento in sinu Traditionis alla sua nascita come veicolo della Tradizione nella Storia. La Tradizione, infatti, se come realizzazione politico-sociale pluriversa è storicamente morta nelle società e negli stati d’Occidente, peraltro continua a vivere ancora nell’interiorità umana occidentale perché oltre ad essere una struttura dell’anima/coscienza è sostanza dell’anima/coscienza stessa profondamente radicata nel DNA umano.

Per questi motivi, la Tradizione non è solo Idea, ma Idea incarnata nella bontà della materia e della natura umana ed è per questa sua organicità, per questa sua basicità genetica che può far nascere il Soggetto radicale come veicolo e come arciere del fuoco vivente della Tradizione nella Storia. La Tradizione come dottrina della corporeità in cui vive tutto l’essere umano e che per questo motivo provoca il risveglio cruento alla Vita del Soggetto radicale, la sua nascita dopo la discesa dolorosa al punto zero e dopo il suo concepimento, è quindi anche reale presenza naturale del Divino in noi che si svela alla coscienza. È il risveglio dell’Atman da parte del Brahman, è la rivelazione della presenza di sussistenza del Dio vivente che dona Vita all’essere umano come vita individuale e lo risveglia, si dona come Spirito Santo e parla alla coscienza del Soggetto radicale indicandogli il cammino della Tradizione per realizzare l’impresa.

Da un punto di vista della religiosità naturale, a monte e a base di ogni confessione religiosa che poi non è mai sovrastruttura hegeliana o manifestazione di avatar ma incontro vitale col Divino che prende forma esplicita di Verità ultima, il Divino stesso si rivela corporalmente e manifesta la sua volontà di ordine del mondo come Tradizione, quale forma di realizzazione del Kosmos a partire dal Chàos e che lotta contro l’anti-ordine satanico privo di realtà ontologica. La nascita del Soggetto Radicale, avviene quindi quando l’orecchio del suo cuore riesce a percepire la presenza del Divino in lui, ascoltandone la voce e scegliendo di vivere, lottare e morire per il ritorno della Tradizione, ossia per l’instaurazione dell’Ordine Divino nel mondo. Ecco cosa vuol dire comprensione ontologica della Tradizione, il cui significato ultimo è vivere alla presenza del Divino ascoltandolo e operando per Lui. In questo, Corneliu Zelea Codreanu, icona vivente della Tradizione, resta per il Soggetto radicale un esempio trasformante da imitare e da seguire, ieri come oggi, per il ritorno dell’Ordine Divino nel mondo:

“Il carattere specifico del nostro movimento ci viene da una remota eredità. Già Erodoto chiamava i nostri progenitori: “I Daci immortali”. I nostri antenati getotraci avevano per fede, già prima del cristianesimo, l’immortalità e l’indistruttibilità dell’anima, ciò che prova il loro orientamento verso la spiritualità. La colonizzazione romana ha aggiunto a questo elemento lo spirito romano di organizzazione e di forma. Tutti i secoli successivi hanno fatto miserabile e disgregato il nostro popolo: ma come anche in un cavallo malato e frustro si può riconoscere la nobiltà della sua razza, così anche in ciò che ieri e oggi è il popolo romeno si possono riconoscere gli elementi latenti di questa doppia eredità. […] Lo spirito e la religione sono per noi il punto di partenza, il “nazionalismo costruttivo” è il punto di arrivo e quasi una conseguenza. A congiungere l’un punto con l’altro sta l’etica ascetica e simultaneamente eroica della Guardia di Ferro”. (Da Legionarismo ascetico. Colloquio col capo delle “Guardie di Ferro”, intervista di Julius Evola, Il Regime Fascista, 22 marzo 1938).

La Purificazione: dalla morte dell’ego alla vita del Sé

La scelta di lottare, vivere e morire per la Tradizione, per l’instaurazione dell’Ordine Divino nel mondo, porta il Soggetto radicale ad assumere in sé la realtà della Grande guerra santa, ossia primariamente l’edificazione dell’Ordine divino in sé. Una edificazione che avviene in concomitanza con la lotta contro l’ego, la sua purificazione e il suo annichilimento per far trionfare il Sé, la sua vera natura, la sua personalità spirituale e divina. La lotta contro sé stessi è sostanzialmente una lotta contro i vizi capitali e la pratica delle virtù contrarie assistiti dal Divino. In questo, a seconda dell’appartenenza spirituale, confessionale o filosofica del Soggetto radicale, la preghiera profonda e la meditazione di silenzio giocano un ruolo fondamentale come acquisizione di forza e, contemporaneamente, immersione nell’accecante e quindi oscura luce del Divino. Una luce che favorisce la conoscenza del nostro lato oscuro, dei nostri peccati, delle nostre negatività, favorendo l’annichilimento personale, la discesa negli inferi, il dolore apparentemente senza fine dell’anima straziata.

Questa morte interiore dell’uomo vecchio concentrato sull’ego, avviene in quanto con le pratiche spirituali che ci svelano il nostro nulla e con la lotta sincera contro i vizi capitali che radicano in profondità il nostro essere, viene progressivamente a cadere quella maschera illusoria su cui il nostro ego pieno di sé aveva costruito un’immagine di sé orgogliosamente falsa, basata sul compiacimento libidinoso dell’adorazione di sé stessi e del desiderio di essere adorati dagli altri come centro cosmico di attenzione. Invece, la Grande guerra santa, la sincera ascesi personale vissuta con milizia guerriera dal Soggetto radicale, assume l’efficacia di una deflagrazione nucleare, provocando un rivolgimento cosmico interiore tale da proiettarlo nella dimenticanza di sé e nell’altruismo più totalizzanti necessari a fare di lui un guerriero igneo, custode del fuoco della Tradizione.

La chiamata del Divino provoca quindi il concepimento, la nascita, lo sviluppo e il lancio nei meandri della Storia del Soggetto radicale. Per questi motivi, visto la drammaticità del suo esser-ci nel mondo, vista la difficolta di compiere l’impresa, il Soggetto radicale deve cercare di condividere i suoi sforzi con i presidii di consimili, le Comunità Organiche di Destino, perché al dire del grande poeta John Donne, No man is an island:

“Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”.

Per concludere, evidenziamo che nel suo concepimento, il Soggetto radicale attingeva la sua forza da una confusa conoscenza pre-razionale propria del Chàos su base genetica, quindi insita naturalmente in sé stesso e risvegliata nel suo precipitare al punto zero. Nella sua nascita invece il Soggetto radicale attinge forza e conoscenza del Divino dall’intuizione sopra-razionale che, al dire di Aristotele, rappresenta la forma più alta di conoscenza e gli permette intuitivamente di vedere la verità, il sommo amore, la luce e la bellezza dell’Ordine Divino nel mondo, la realtà appunto della Tradizione e de “L’amor che move il sole e l’altre stelle” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, v. 145).

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