LEV NIKOLAEVIC GUMILËV: L’ETNOGENESI E LA PASSIONARIETÀ NELLA TEORIA DEL COMUNITARISMO EUROPEO
Gumilëv diede un approccio unico ed alternativo allo studio della storia. Attraverso le sue ricerche sulle origini dell’etnia del popolo russo, egli elaborò una teoria olistica della storia associata alle scienze naturali che potesse essere applicata per tutte le etnie. Gumilëv concepì la teoria dell’Etnogenesi, secondo cui tutte le etnie sviluppano un ciclo storico-naturale di fasi di ascesa e declino, attraverso i gradi della Passionarietà, parte integrante della biosfera. Nella fase di disintegrazione dell’attuale civiltà europea e di “letargo invernale” della Passionarietà, si ritiene necessaria una riflessione sui processi disgregativi della società moderna per la costruzione di un nuovo modello di civiltà che possa ripristinare gli originari valori di condivisione reciproca del vivere associato. L’omeostasi della nuova Etnogenesi europea potrebbe svilupparsi nella teoria del Comunitarismo. Esso intende il mutamento delle etnie d’Europa in una nuova forma di ambiente naturale dove i soggetti primari della vita sociale debbano essere le comunità umane fondate sul senso di appartenenza identitaria e sulla partecipazione e sull’impiego di essi nella sfera politica, sociale, ed economica. Quindi, il Comunitarismo, come nuova Etnogenesi europea, si potrebbe considerare come paradigma alternativo al modello socio-economico occidentale.
Introduzione
Il lessico slavo attesta la presenza, fin dai tempi antichi, di una organizzazione territoriale comunitaria fondata sulla collettivizzazione delle terre, detta opole in Polonia, obcina in Boemia, verv’ nella Rus’ di Kiev, mir in Russia, zupa o zadruga nei Balcani. In Russia e in Serbia le comunità tradizionali si sono conservate fino ai tempi moderni, mentre nei paesi slavi a stretto contatto con l’influenza tedesca la proprietà privata si è consolidata progressivamente. Già nell’XI secolo il monaco Helmond, nella sua Cronaca degli Slavi, racconta come i duchi tedeschi che conquistarono le terre dei Polabi (nell’attuale Polonia) li costrinsero a coltivare “ciascuno il proprio campo” (agrum suum), a testimoniare come la proprietà privata sia giunta agli Slavi come prodotto esterno (Pasini, 2001). Era questa infatti la differenza sostanziale tra lo ius slavicum e lo ius teutonicum, il diritto slavo e quello germanico. Le strutture sociali antiche si sono conservate più a lungo laddove il potere politico congiurava al mantenimento della società tradizionale, con i suoi privilegi ed obblighi. La Russia zarista e l’Impero Ottomano sono stati tra i paesi più conservatori in tal senso. Per questo motivo, la Serbia, la Bosnia, e la Russia sono tra le aree in cui, ancora fino all’Ottocento, la pratica comunitaria era diffusa. In Russia il mir era la veste amministrativa della comunità rurale, un’istituzione puramente economica che consentiva, al proprio interno, la presenza della famiglia patriarcale. Il mir nasceva per gestire collettivamente i beni della comunità, che poteva riguardare uno o più villaggi. L’amministrazione zarista incentivò il mir perché le consentiva di collegarsi con i singoli elementi da cui era più semplice esigere le tasse. Questo comportò la perdita dell’autogestione del mir, che però conservava il principio di uguaglianza economica interna. Ogni membro possedeva, in relazione alle necessità ed ai bisogni, le terre e gli armenti. Se, ad esempio, il numero di componenti della famiglia fosse calato, il mir avrebbe ridotto le terre e il bestiame a lei destinati.
L’artel’ era invece l’associazione temporanea di operai o artigiani che alloggiavano insieme per periodi limitati in relazione a un lavoro da svolgere e dividevano fra loro i profitti. Il lavoro era suddiviso durante assemblee giornaliere. Il buon andamento dell’artel’ dipendeva dalla certezza egualitaria che caratterizzava la suddivisione del lavoro e la distribuzione dei proventi (ibidem, 2001). Nonostante il collettivismo sovietico sia stato osteggiato dai contadini, l’istituzione dei kolkhoz nel periodo staliniano andava a ricalcare il modello del mir. A differenza del kolkhoz, dove tutta la produzione era destinata alla ridistribuzione statale, il mir non escludeva l’individualismo, ovvero la gestione collettiva non impediva di beneficiare di quanto prodotto. Nel mir individualismo e comunitarismo potevano convivere.
Tra gli storici che si sono occupati dello studio delle origini comunitarie dell’etnia russa fu Lev Nikolaevic Gumilëv. Lev Gumilëv (1912-1992) fu un antropologo, geografo, e storico russo, probabilmente poco conosciuto in Italia, ma abbastanza discusso dall’antropologia russa.
In Italia, gli unici testi reperibili sulla figura dello storico sono quello di Martino Conserva e Vadim Levant (2005) pubblicato dalle edizioni all’Insegna del Veltro, e quello di Dario Citati (2016), edizioni Mimesis.
Gumilëv dedicò tutta la sua vita allo studio delle origini dell’etnia del popolo russo, con lo scopo di realizzare una teoria della storia che potesse essere applicata alla genesi di tutti i popoli. Gumilëv formulò la teoria dell’Etnogenesi, per cui tutte le etnie sviluppano un percorso di ascesa e declino attraverso i gradi della Passionarietà (Titov, 2005). Con la teoria dell’Etnogenesi, lo storico espose una sua visione dell’Eurasia e dell’Eurasiatismo che produsse diverse riflessioni sulla sua attendibilità. Aleksandr Dugin considera il pensiero di Gumilëv in una linea di continuità e congiunzione tra l’Eurasiatismo classico degli anni’20 del XX secolo e il neo-Eurasiatismo, da lui stesso fondato nei primi anni del Duemila (Citati, 2012). Altri studiosi si oppongono all’idea di una continuità tra le due prospettive teoriche. Titov (2005) presentò la teoria dell’Etnogenesi e dell’Eurasiatismo come due aree distinte del pensiero di Gumilëv: l’Etnogenesi come approccio alla comprensione storica dell’identità russa, e l’Eurasiatismo come variazione di un particolare punto di vista della storia russa.
L’obiettivo di questo testo è di condurre una riflessione e un’analisi sulla teoria dell’Etnogenesi come processo essenziale del pensiero del Comunitarismo Europeo e dello sviluppo dell’Eurasiatismo. Le principali domande di ricerca di cui il testo si propone di discutere sono le seguenti:
Il Comunitarismo inteso come fondazione delle comunità umane fondate sull’equità, sull’associazionismo, e la cooperazione solidale, può essere sviluppato nel ciclo dell’Etnogenesi e della Passionarietà?
Ed ancora, l’Eurasiatismo e il Comunitarismo Europeo possono essere considerati entrambi come fattori interni al nucleo della Passionarietà?
Il testo presenterà all’inizio una breve sintesi sulla biografia di Gumilëv, necessaria per la comprensione del clima personale e storico in cui la teoria dell’Etnogenesi fu concepita. Successivamente, si fornirà una spiegazione e una concettualizzazione dell’Etnogenesi e della Passionarietà come termine chiave di questo paradigma, per poi affrontare la discussione riguardante le domande di ricerca proposte. Inoltre si discuterà sull’Eurasiatismo, sul pensiero di Gumilëv sull’Eurasia in relazione alla Passionarietà, e sulle varie prospettive di pensiero comparative e divergenti di altri autori sui temi dell’Eurasiatismo, del Comunitarismo Europeo, e dell’Occidentalismo.
Sintesi sulla Biografia di Lev Gumilëv
Lev Nicholaevic Gumilëv nacque a San Pietroburgo nel primo giorno di Ottobre del 1912. I suoi genitori erano la poetessa Anna Andreevna Gorenko, conosciuta come Anna Akhmatova, e il poeta Nikolai Stepanovich Gumilëv. Entrambi fondarono nel 1910 il movimento letterario chiamato “acmeismo”. Gumilëv crebbe in una famiglia di estrazione sociale aristocratica e filo-zarista. L’opposizione al bolscevismo dei genitori fu un marchio indelebile che lo accompagnò per tutto il resto della sua vita. Il cognome Gumilëv, fu un cognome scomodo ed etichettato come contro- rivoluzionario, da quando il padre, Nikolai Gumilëv, fu arrestato nel 1921 dalla polizia politica sovietica e fucilato per attività cospirativa contro il bolscevismo. Le sue poesie furono censurate durante il regime sovietico. La madre si risposò, e il figlio Lev trascorse la sua adolescenza con i nonni paterni, fino al 1929, quando si trasferì a Leningrado (Pankeev, 1995). Per acquisire esperienze lavorative, egli fu volontario in diverse spedizioni archeologiche e geologiche in varie regioni dell’Eurasia. Nel 1933 intraprese gli studi universitari di Storia all’Università di Leningrado. Nel 1938, egli fu vittima delle “purghe” staliniane. Gumilëv fu condannato ad 8 anni di lavori forzati in
Siberia con l’accusa di aver costituito un gruppo eversivo anti-sovietico. Fu deportato a Norislk, nel nord della Siberia, e fu rilasciato nel 1946. Le dure condizioni di vita nel gulag in Siberia, furono per Gumilëv determinanti per lo sviluppo embrionale della teoria dell’Etnogenesi. Nello stesso anno conseguì la laurea in Storia all’Università di Leningrado, e si iscrisse all’Istituto degli Studi Orientali per ottenere il Dottorato di Ricerca con la tesi sulla storia politica della tribù turcofona dei Khanati (Titov, 2005). Nel 1949 Gumilëv fu vittima di una nuova “purga” da parte del regime sovietico, e fu rilasciato nel 1956 dopo la rivelazione del Presidente dell’Urss, Nikita Chruščёv (1894-1971), dei crimini di Stalin al XX Congresso del PCUS. Durante quegli anni in carcere, Gumilëv scrisse il suo primo libro riguardante la storia dei nomadi dell’Eurasia: Khunnu, l’Asia Centrale nell’era antica (Gumilëv, 1960), che fu pubblicato nel 1960 all’età di 48 anni. Dopo la sua uscita dal carcere, Gumilëv instaurò un rapporto di grande amicizia con Petr Nikolaevich Savitskii (1895-1968), il fondatore del movimento Eurasiatico degli anni’20, per il loro reciproco interesse nel campo di ricerca sulle popolazioni nomade dell’Asia Centrale e sulla storia della Russia medievale. Nel 1961 Gumilëv partecipò all’ultima spedizione archeologica della sua carriera. Egli prese parte alla spedizione nel Volga Delta alla ricerca dei resti del Regno dei Kazari che prosperò tra il V-VIII secolo d.c, e che si estendeva dal fiume Dnepr fino al Caucaso (Prokhorov, 1994). Nello stesso anno Gumilëv ottenne l’incarico di ricercatore permanente all’Istituto di Ricerca di Economia e Geografia dell’Università di Leningrado, ma non ebbe mai l’opportunità di realizzare una carriera accademica come docente. Nel 1965 egli pubblicò il suo primo articolo sulla teoria dell’Etnogenesi, al quale seguirono altri venti articoli nel decennio successivo, che culminarono con la sua più grande opera, Etnogenesi e la Biosfera. Gumilëv presentò la sua teoria come tesi del suo post-dottorato in Geografia nel 1975, che fu rifiutato dalla commissione, e gli fu vietato di pubblicare il suo lavoro. Nel 1979 depositò la sua tesi al VINITI, il Sindacato dell’Informazione Tecnica e Scientifica che custodiva i lavori scientifici non pubblicati. Il suo lavoro fu pubblicato nel 1989, e solo negli ultimi anni della sua esistenza, Gumilëv ebbe quei riconoscimenti intellettuali che gli furono impediti nel corso della sua vita. Egli era il figlio di due grandi poeti della letteratura russa contemporanea perseguitati dal regime sovietico, ed egli stesso fu vittima della repressione staliniana. Queste combinazioni di fattori, lo consacrarono come maggiore figura intellettuale negli anni della perestroika. Nel 1989 la sua teoria dell’Etnogenesi venne presentata da un emittente televisiva di Leningrado. La fama di Gumilëv nel panorama culturale fu per lo straordinario contributo che diede allo studio della natura umana attraverso la storia, l’etnologia, e la geografia, le ricerche sulle popolazioni nomadi dell’Eurasia nell’era antica, e lo sviluppo dell’etnia russa, da cui poi emerse la teoria dell’Etnogenesi. Inoltre, egli fu l’unico intellettuale in Russia che iniziò il dibattito politico sull’Eurasiatismo dopo il crollo dell’Urss. L’Università di Astana, capitale del Kazakistan, fondò l’istituto a suo nome; Università Nazionale
Eurasiatica “L.N.Gumilëv”. Nonostante le repressioni subite dal regime sovietico, Gumilëv, in un’intervista al quotidiano di Leningrado, Chas Pik, nel 1991, rivelò la sua opposizione alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Prevalse in lui la visione eurasiatica ed anche patriottica degli eventi che stavano accadendo. Avendo dedicato una vita intera sullo studio delle tribù nomadi delle steppe, Gumilëv evidenziava il notevole contributo che questi popoli hanno fornito allo sviluppo dell’etnia russa. Nell’intervista lo storico mostrava tutta la sua incertezza ed amarezza per il futuro della Russia: «Intere generazioni hanno dato il loro sangue per tenere uniti i russi con gli uzbeki, i kazaki, i kirghizi……ed ora quale sarà il futuro della Russia?» (1)(Gumilëv, 1991). Queste sono le ultime parole di un uomo e di uno studioso per il quale la Passionarietà più che come filosofia della storia e concetto chiave dell’Etnogenesi, è stata proprio la filosofia della sua travagliata vita. Lev Nikolaevic Gumilëv morì il 15 Giugno del 1992.
L’Etnogenesi e la Passionarietà
La teoria dell’Etnogenesi spiega l’evoluzione storica delle etnie come fenomeni naturali. Le etnie, come oggetti d’indagine, sono studiati con il metodo delle scienze naturali.
Nel pensiero marxista, l’evoluzione materialistica della storia è focalizzata unicamente sul legame tra i rapporti di produzione di classe e le forze produttive, creando un vuoto teorico sulla natura dello sviluppo delle etnie. Gumilëv prende come riferimento il concetto di Biosfera dello scienziato russo Vladimir Ivanovich Vernadskij (1863-1945). La Biosfera è parte fondamentale della struttura naturale della Terra che permette all’uomo e a tutti gli esseri viventi di poter vivere. La Biosfera è una materia vivente flessibile che muta con i cambiamenti dell’ambiente e i tempi geologici (Samson e Pitt, 1999). La materia vivente della Biosfera genera l’energia del pianeta e di tutti gli esseri viventi; un’energia bio-chimica in movimento che Vernadskij diede il nome di Noofera, e che si evolve in milioni di anni manifestandosi con il progresso dell’intelligenza umana (Titov, 2005). Gumilëv prese dalla teoria della Biosfera tre concetti fondamentali: il legame tra uomo e natura, l’energia biochimica, e la capacità di adattamento dell’uomo nella biosfera. Per lo storico russo, l’etnia è una forma collettiva umana di esistenza ed adattamento alla natura. Le differenze etniche si formano come esigenza di adattamento ai diversi ambienti naturali per cui le forme di adattamento sono manifestate nei diversi modelli di comportamento e di stili di vita in base alle necessità dell’uomo. Mentre Vernadskij considera l’umanità come unico centro, Gumilëv, al contrario, sostiene che l’umanità è suddivisa in etnie. Le etnie sono statiche e dinamiche. Le etnie statiche sono quelle che si sono adattate al loro ambiente naturale e riproducono nel tempo il comportamento delle generazioni precedenti. Le etnie dinamiche sono quelle favorevoli ai mutamenti storici e sociali, come l’esempio dei gruppi etnici che realizzarono i grandi imperi (Gumilëv, 1993). La questione fondamentale riguarda la comprensione del fattore determinante che smuove la propensione e l’attitudine di certi gruppi etnici ai mutamenti storico-sociali. Gumilëv trovò la risposta nel concetto di Passionarietà, che è il concetto centrale della teoria dell’Etnogenesi. La Passionarietà è l’attitudine comportamentale di un gruppo etnico a realizzare mutamenti storici e sociali attraverso l’abnegazione, il sacrificio, e la piena volontà nel raggiungimento dell’obiettivo da parte dei membri del gruppo (Titov, 2005). La Passionarietà è un’energia bio-chimica che proviene dalla biosfera che influisce nel sistema nervoso e determina il comportamento orientato all’azione collettiva. Non sono i valori culturali a mantenere unito il gruppo etnico, ma la Passionarietà manifestata nel sacrificio e nella determinazione nel raggiungere gli obiettivi del gruppo per la sopravvivenza. Mentre per le scienze sociali, l’etnia è una categoria sociale di valori culturali e linguistici condivisi, per Gumilëv l’etnia è un fenomeno bio-chimico. Lo storico distingueva il concetto di etnia dall’identità etnica. L’identità etnica non è caratterizzata dalla condivisione comune dei valori culturali e linguistici, ma dalle relazioni sociali tra i membri del gruppo e dal comportamento degli stessi (Gumilëv, 1993, Baert, 1969).
Quindi, se per Gumilëv, l’etnia è un fenomeno naturale di adattamento agli ambienti, l’identità etnica invece è un comportamento acquisito con la socializzazione primaria e secondaria la quale produce gli schemi percettivi, di pensiero, di azione, e relazione, e che condizionano la vita sociale.
Günther Anders (1956) si contrappone al binomio gumilëviano di uomo-ambiente. Per il filosofo e antropologo tedesco, l’animale umano non si identifica con l’ambiente, e nella non-identificazione esso scopre la libertà. L’uomo è disarmonico con la natura perché a differenza dell’animale che conosce fin dalla nascita il suo ruolo nella biosfera, l’animale umano non possiede questa conoscenza che dovrà apprendere nel corso del tempo attraverso la socializzazione primaria e secondaria. Quindi l’uomo è senza mondo che però cerca di appartenere al mondo.
D’altro canto, a rafforzare il concetto di Gumilëv sull’identità etnica interviene lo studio sociologico di Nielsen (1985) il quale dimostra che la solidarietà etnica (e sociale) è una forma di azione collettiva che comporta lo sviluppo del riconoscimento sociale e identitario tra i membri attraverso la partecipazione all’interno del gruppo etnico.
Come sostiene Crow: «social solidarity is enhanced in a system in which individuals are dependent upon others» (2) (Crow, 2002, p.15).
Successivamente, anche Hardin (1995) afferma che l’identità etnica incoraggia l’azione collettiva tra i membri del gruppo etnico.
La nozione di identità etnica di Gumilëv ha delle analogie con il concetto di habitus del sociologo Pierre Bourdieu (1979) inteso come incorporazione strutturante dei modelli di comportamento inclusa nelle dinamiche della costruzione del sé (Mead, 1934).
La trattazione sulla Passionarietà, la biosfera, l’etnia, e l’identità etnica, sono importanti per fornire maggiore chiarezza sulla teoria dell’Etnogenesi.
L’Etnogenesi è il ciclo storico-naturale per cui si sviluppano le etnie e la storia dei popoli attraverso i gradi della Passionarietà (Gumilëv, 1993). Le fasi di ascesa e declino dell’Etnogenesi corrispondono ai mutamenti storici delle etnie e ai gradi della Passionarietà. Le fasi sono le seguenti:
- Combinazione iniziale tra etnia ed ambiente naturale.
- Crescita Passionaria: periodo di incubazione. In questo periodo si forma il gruppo etnico.
- Crescita Passionaria: fase di apertura e di sviluppo.
- Fase Culminante: la Passionarietà è al massimo grado. In questa fase il gruppo etnico è al
- massimo splendore della sua storia.
- Fase di Crisi
- Fase di Inerzia
- Fase di Disintegrazione: La Passionarietà è al grado più basso.
- Fase di Memoria e Riflessione
- Omeostasi: possibile combinazione tra etnia ed ambiente naturale per una nuova Etnogenesi.
- L’Etnogenesi può fornire una spiegazione sui fattori che hanno originato l’ascesa e il crollo delle grandi civiltà come l’antica Grecia, l’Impero Romano, la Rus’ di Kiev, la Cina Imperiale. L’Etnogenesi rivela la storia come fenomeno ciclico (Eliade, 1966, Levì Strauss, 1983) e il principale elemento della storia è la Passionarietà. Gli aspetti politici, economici, e sociali non appartengono alla storia delle etnie (Gumilëv, 1993). Il basso livello di Passionerietà è la conseguenza del declino e della fine delle civiltà. Gumilëv prese come esempio la fine della Rus’ di Kiev nel XIII sec. nella Fase di Disintegrazione dell’Etnogenesi. La distruzione di Kiev da parte dei Tataro-Mongoli avvenne per il basso livello di Passionarietà causato dalle rivalità e dalle divisioni dei Principi del regno.
- Nel prossimo paragrafo si discuterà del legame che l’Etnogenesi stabilisce con il Comunitarismo e si argomenterà sull’ipotesi che il Comunitarismo Europeo possa essere sviluppato nel ciclo dell’Etnogenesi e della Passionarietà.
Etnogenesi e Comunitarismo
Gumilëv elaborò l’Etnogenesi nell’analisi della storia russa, dalla Rus’ di Kiev fino alla Russia socialista. Egli non considerò l’applicazione della teoria alla storia delle altre civiltà, ma fornì degli indizi per ulteriori ricerche sull’argomento. La teoria dell’Etnogenesi possiede le condizioni per applicarla alla storia dell’Europa, in particolare, l’area romano-germanica. Dopo il ciclo storico dell’Impero Romano e la sua disintegrazione causata dal basso grado di Passionarietà che causò le invasioni barbariche, avvenne una fase di memoria e riflessione che si evolse in una nuova combinazione tra le etnie ed l’ambiente naturale. Esso portò alla nascita e allo sviluppo del Sacro Romano Impero con l’incoronazione di Carlo Magno nell’800 d.C. che sancì il periodo storico del medioevo feudale e di un’era di grande ascesa spirituale, culturale e religiosa caratterizzata dal feudo e dalla terra come centro della vita sociale ed umana. Il Sacro Romano Impero comprendeva la Germania, la Francia, l’Italia, la Catalogna, la Boemia. La nascita del Sacro Romano Impero rappresentò la fase di Crescita Passionaria dell’Etnogenesi europea, la stagione primaverile della civiltà europea come la definisce Oswald Spengler (2002). Anche Spengler sostiene che tutte le civiltà attraversano dei cicli naturali che il filosofo metaforizzava con i cicli delle stagioni. La stagione primaverile della civiltà europea avvenne nell’alto e basso medioevo (V sec. d.C. – XV sec. d.C.), con il Sacro Romano Impero, la nascita delle Comuni, le Repubbliche Marinare, l’Impero Bizantino, dove prevaleva il sistema economico della redistribuzione delle risorse tra il signore feudatario e i sudditi (Polanyi, 1944). L’economia medievale era fondata sulla comunità, tra ordini cavallereschi, corporazioni di arti e mestieri, e agricoltura comunitaria (Nisbet, 1957).
La fase culminante passionaria dell’Europa che corrisponde con la stagione estiva spengleriana fu il periodo del Rinascimento (XVI sec. – XVIII sec.), con la Riforma Protestante, con le monarchie nazionali che attribuivano l’importanza primaria della terra come risorsa economica, la scoperta geografica di nuovi territori oltreoceano, la fioritura dell’arte barocca, della letteratura, della musica, dello sviluppo del libero pensiero e di una nuova consapevolezza dell’uomo e delle sue potenzialità. La Fase di Crisi e di Inerzia dell’Etnogenesi europea riguardano le fasi iniziali della decadenza culturale, e corrispondono all’era moderna. La storia d’Europa degli ultimi duecento anni è attraversata da queste due fasi come transizione alla Fase di Disintegrazione. Si può riassumere la Fase di Crisi e la Fase di Inerzia come due fasi distinte. La Fase di Crisi avviene con la Rivoluzione Industriale nel XVIII-XIX sec., l’urbanizzazione industriale delle grandi città, il sistema economico di mercato in cui il lavoro, i lavoratori, la terra, e la casa, non sono più diritti naturali dell’uomo ma diventano forme di merce e di compravendita (Polanyi, 1944), il primato della scienza e della tecnica che si contrappone alla dimensione spirituale dell’uomo, la crisi dei sistemi monarchici e del sistema nobiliare di classe, l’evoluzione dei sistemi repubblicani, e la nascita della borghesia industriale come classe sociale dominante. Invece, la Fase di Inerzia, riguarda il XX sec. fino ai giorni attuali, ed è caratterizzata dall’oscurantismo generale dell’arte e della cultura, dal nichilismo dei valori umani, dalla mercificazione della vita e della dignità umana, dalla mutazione antropologica dell’uomo come consumatore passivo ed inerte, dall’universalismo liberale che ha comportato la fine delle identità culturali e delle sovranità nazionali del continente, dall’Europa manovrata dai giochi dei tecnocrati del mercato finanziario e dalle dinamiche usuraie del debito pubblico, dall’Europa devastata da due guerre mondiali e dal bipolarismo ideologico nel secolo precedente.
Con la fase di Disintegrazione attuale della civiltà europea e di “letargo invernale” della Passionarietà, si ritiene necessaria una riflessione sui processi disgregativi della società moderna per la costruzione in un nuovo modello di civiltà che ripristini gli originari valori di condivisione reciproca del vivere associato. L’Omeostasi della nuova Etnogenesi europea è l’ipotesi teorica del Comunitarismo. Nonostante la complessità di arrivare ad una definizione univoca di Comunitarismo (Preve, 2011), tenteremo di realizzarlo in questa sede.
Il Comunitarismo si dispone come paradigma sociologico relazionale per la trasformazione delle etnie europee all’interno di una nuova forma di ambiente naturale dove i soggetti primari della vita sociale debbano essere le comunità umane fondate sul senso di appartenenza identitaria e sulla partecipazione e sull’impiego di essi nella sfera politica, sociale, ed economica.
Il Comunitarismo è quel modello ontologico di ripristino della Passionarietà europea oscurata dal nichilismo della modernizzazione nella fase della disintegrazione.
Come evidenzia Nisbet (1957), le comunità sono delle strutture intermedie che operano tra l’individuo e lo Stato, i quali sono le colonne portanti per il funzionamento del sistema sociale. Citiamo come esempi, la scuola, la famiglia, la chiesa, l’arte, il lavoro. Le caratteristiche fondamentali di una comunità (non etnica, ma autoctona secondo l’autore) sono il dogma, la gerarchia, l’appartenenza identitaria, e la solidarietà sociale.
Ai fini della formazione dell’Etnogenesi del Comunitarismo Europeo, soffermiamoci sulla distinzione tra comunità e società nelle parole del sociologo tedesco Ferdinand Tönnies:
«La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» (Tönnies, 1955, p.45).
La vita comunitaria implica comprensione, consenso, è durevole, intima, confidenziale, esclusiva; mentre la vita societaria è razionale, passeggera, impersonale nelle relazioni sociali (ibidem, 1955). Quindi, la comunità è un’associazione organica, al contrario, la società è un’associazione meccanica e artificiale (ibidem, 1955). L’individuo societario è guidato da quella che Tönnies chiama la “volontà arbitraria”, una volontà dominata interamente dal pensiero dello scopo materiale e volta ad una continua accumulazione individualista per la massima utilità. L’individuo societario è inautentico perché persegue degli obiettivi conformi alla volontà e al giudizio della collettività (Heidegger, 1927), e tramite la volontà arbitraria, i membri della società possono interagire nel sistema dell’interdipendenza tra gli attori sociali. In questo modo, l’individuo societario è libero nell’azione, ma non nella sua volontà, perché tutte le relazioni complessive sono inserite nella struttura strumentale del raggiungimento del massimo beneficio personale. Invece, nel rapporto comunitario, il legame morale, sociale, e normativo che consente la convivenza pacifica tra i membri è il diritto naturale in funzione della sua reciprocità.
Il diritto naturale deve stabilire le regole fondamentali della democrazia sostanziale e dell’economia basata sui principi di equità e di giustizia sociale con l’eliminazione dei processi monotoni che producono le eccedenze materiali tipiche dell’accumulazione capitalista. I processi monotoni sono le idee che producono l’accumulazione materiale, la crescita costante e le eccedenze nella società (Dugin, 2009). Per l’antropologo inglese Gregory Bateson (1984), i processi monotoni non esistono in natura e in biologia e se ci fossero formerebbero delle malformazioni. Questo avviene anche nei processi sociali. Bateson dimostra che le eccedenze producono miseria, diseguaglianze e guerre. Il Comunitarismo Europeo, nella sua ipotesi teorico-politico, dovrebbe svolgere il compito di ridimensionare le eccedenze della società per la costruzione di un sistema economico fondato sulla biosfera, sull’ambiente naturale e territoriale, che possa adempiere alle esigenze primarie dell’uomo nel contesto di pace, di eguaglianza e benessere sociale.
Proprio nella dimensione politica del Comunitarismo si pongono le maggiori critiche.
Alain De Benoist mette in risalto la difficoltà di collocazione politico-economica del Comunitarismo (De Benoist, 2005). Le ipotesi di posizionamento politico possibile si possono ricercare nel socialismo classico, nel modello economico corporativista, o nella socializzazione dell’economia (ibidem, 2005).
Per McIntyre, il dibattito sul Comunitarismo si concentra unicamente nella filosofia per colmare il vuoto lasciato dal pensiero marxista (McIntyre, 1991).
Il Comunitarismo espone diversi limiti e incongruenze pragmatiche, ma questo dovrebbe, al contrario, incentivare ed espandere ulteriormente il campo di studi in ambito politologico ed economico piuttosto che storiografico e filosofico. Una questione da chiarire nelle ricerche future riguarda proprio il suffiso –ismo, ovvero, se il Comunitar-ismo sia un occultamento del Comun-ismo (De Benoist, 2005) secondo la visione della Sinistra, oppure se il Comunitarismo, nell’esperienza occidentale, sia stato un esperimento fallimentare di assimilazionismo etno-culturale o della società multi-etnica, secondo la Destra.
Eurasiatismo e Comunitarismo Europeo
In questo paragrafo si discuterà del pensiero eurasiatico di Lev Gumilëv e del Comunitarismo Europeo in relazione con la Passionarietà, e si analizzeranno i punti essenziali che legano i rispettivi paradigmi teorici. Per i fondatori del movimento eurasiatico classico, Vernadskij e Savitskii (1927), l’Eurasia non è divisa geograficamente tra Europa ed Asia ma la divisione riguarda principalmente le condizioni climatiche che contraddistinguono la foresta, la steppa, e la tundra. Il popolo russo delle steppe ebbe una funzione di mediatore tra la foresta, la steppa, e la tundra, per la posizione centrale e significativa che ha nell’Eurasia. Vernadskij e Savitskii definiscono il concetto di mestorazvitie, termine di complessa traduzione nella lingua italiana. Esso vuol intendere un ambiente geografico che evidenzia il carattere di unicità delle comunità umane e la dimensione spaziale ideale per lo sviluppo sociale (Titov, 2005). L’ambiente geografico per cui l’Eurasia è identificata con mestorazvitie riguarda il territorio della Russia con le sue caratteristiche multinazionali (Savitskii, 1927 Vernadskij, 1991). Il progetto originario dell’Eurasia comprendeva l’eliminazione della distinzione geografica tra l’Europa e la parte asiatica delle Russia. Riasanovsky (1967) sostiene che l’Eurasiatismo fu sviluppato dagli intellettuali russi in esilio dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 e la guerra civile del 1918-1921, i quali svilupparono un’idea di continuità fra le diverse culture europee. Si può considerare plausibile che senza la rivoluzione del 1917 e la successiva guerra civile che comportò una massiccia emigrazione di intellettuali russi e la frammentazione della Russia, l’idea dell’Eurasiatismo probabilmente non avrebbe mai visto la luce.
Gumilëv nella teoria dell’Eurasia aggiunge l’impulso passionario ai fattori geografici; l’Eurasiatismo come motore passionario per la stabilità e la salvezza del continente eurasiatico. Gumilëv prende come riferimento passionario dell’Eurasiatismo, il Sacro Romano Impero che riuscì a preservare l’unita dell’Europa per molti secoli. Al contrario, Aleksandr Dugin (2009), elabora l’Eurasiatismo dal punto di vista conflittuale. Egli riprende la teoria del Nomos delle Terra di Carl Schmitt (1991), ovvero l’Eurasia come potenza della terra, della Passionarietà terrena che raccoglie i valori del lavoro, del mondo rurale, delle tradizioni religiose, contro l’Occidente, potenza del mare, portatrice del “mondo liquido” (Bauman, 2015), metafora baumaniana per identificare la disintegrazione dei diritti fondamentali dell’uomo causata dagli effetti della globalizzazione economica e dalla sua omologazione culturale. Gumilëv condivide le idee di Savitskii sull’unità politica delle comunità eurasiatiche. Quindi, l’omologazione culturale della Globalizzazione occidentale è considerato un elemento innaturale per la pluralità di etnie che vivono in diversi ambienti geografici con mutamenti storici diversi.
Il sociologo americano ed ex direttore della Harvard Business Review, Theodor Lewitt, delinea quattro punti chiave della Globalizzazione (1983):
- Il mondo come “villaggio globale” (termine coniato dal sociologo dei media, Marshall McLuhan, 1967)
- La trasformazione dei mercati, da nazionali a internazionali
- Stile di vita consumista ed urbano
- Americanizzazione culturale e Individualismo
- Il pensiero di Lewitt è orientato alla completa omogeneizzazione dei bisogni e dei mercati e alla standardizzazione dei prodotti. La globalizzazione diventa, quindi, un modello di affermazione occidentale su scala planetaria egemonizzato dal sistema culturale americano. Entrando nel campo lessicale, il termine Globalizzazione è sinonimo di Occidentalizzazione (Latouche, 1992). Nell’ambito del sistema culturale americano, il sociologo George Ritzer identifica la globalizzazione come Mcdonaldizzazione (1997). La figura della celebre catena americana di fast-food diventa l’emblema della spersonalizzazione delle culture locali e dell’iper-razionalizzazione impostata sui valori di massima efficienza, produttività, e controllo sociale a discapito dei valori umani. La Mcdonaldizzazione aggiunge anche un ulteriore questione, ovvero, la tecnica che non si pone più dei limiti a prescindere dallo stato di coscienza; diventare come impone la tecnica per far funzionare il sistema.
- L’Eurasiatismo si colloca in ottica di pensiero opposto alla Globalizzazione. Esso, in un sistema confederato di popoli fondato sulla solidarietà comunitaria, la preservazione delle singole identità etno-culturali è il fondamento della sua struttura paradigmatica.
- La dimostrazione è riscontrabile attraverso il giudizio positivo dell’esperienza storica della Russia sottomessa al vassallaggio dell’Impero Tataro-Mongolo nel XIII sec. L’identità religiosa cristiano ortodossa e lo sviluppo economico e commerciale della Repubblica di Novgorad e del Granducato di Mosca furono ampiamente tutelati dall’Impero dell’Orda d’Oro, creando successivamente, dopo la fine dell’era tataro-mongola, i presupposti per la nascita dello Zarato Russo nel 1547.
- L’unità politica dell’Eurasia è giudicata come opportunità di svolta salvifica della Russia e dei popoli slavi per una nuova Etnogenesi, come affermava Gumilëv in alcune interviste (Titov, 2005).
In riferimento al modello eurasiatico, andrebbe sollevata la questione se il Comunitarismo Europeo potrebbe essere la via di fuga dell’Europa dall’Occidentalismo e dalla decadenza culturale neo- liberista.
La Comune d’Europa è anch’essa una potenza della terra, con immense risorse e capacità, detentrice dei valori fondamentali umani da preservare e trasmettere alle future generazioni d’Europa. L’unità politica dell’Europa con la parte asiatica della Russia non può che svilupparsi in un contesto pacifico, di dialogo tra i popoli, nel nuovo ciclo dell’Etnogenesi gumilëviano. La Comune d’Europa che unisce Lisbona con Vladivostok (3) dovrebbe essere un soggetto macro-politico fondato sui principi della vita comunitaria, che tutela l’autodeterminazione delle singole identità culturali dei paesi europei, e che si afferma come alternativa di una nuova geopolitica afro-europea e di riforma sostanziale dei rapporti internazionali tra stati per la transizione verso il mondo multipolare.
L’Eurasiatismo e il Comunitarismo hanno una diversità spaziale ma entrambi sono inclusi nella forza motrice passionaria dell’Etnogenesi, in un nuovo legame tra le etnie d’Europa e l’ambiente naturale che potrebbe manifestarsi nella storia futura del continente.
Conclusioni
La teoria dell’Etnogenesi si inserisce in ambito ontologico della storia delle etnie e come nuovo metodo di analisi storica. Al contrario, il punto debole della teoria di Gumilëv si riscontra nel tentativo di dare una spiegazione del fenomeno etnico dal punto di vista biochimico e di considerare, anche forzatamente, la Passionarietà come causa di fattori biochimici e cosmici, di cui lo storico russo non era nella posizione intellettuale di condurre questo tipo di ricerche. Egli avrebbe potuto esprimersi con maggiore forza focalizzandosi sull’approccio comportamentista della teoria avvalendosi del metodo d’indagine dello stimolo (ambiente) e risposta (comportamento) adottato in psicologia sociale.
La sua teoria fu criticata nel periodo sovietico per l’estremo nazionalismo russo e per la mancanza di ogni riferimento alla dottrina del pensiero marxista. La teoria dell’Etnogenesi ebbe anche numerose critiche da parte del mondo scientifico. Fu accusato di essere una pseudo-scienza e di essere un modello che esaltava il mito di potenza nazionale piuttosto che interpretare i fatti storici odierni (Citati, 2012).
Tuttavia, Gumilëv sviluppò un approccio unico ed alternativo allo studio della storia che merita di essere approfondito con ulteriori ricerche sull’argomento. Al contrario degli altri filosofi della storia, come Danilevskii (1882-1885), che si occupano principalmente della storia della Russia, Gumilëv contribuisce a realizzare una teoria generale della storia senza allontanarsi molto dal pensiero generale della filosofia europea e ad alcuni filosofi come Hegel, Marx, e Toynbee. Marx elabora la concezione filosofica della storia in chiave materialistica e dialettica; lo storicismo hegeliano è di carattere epistemologico, quantitativo, e teleologico nel percorso verso lo Spirito Assoluto, mentre Toynbee incentra il pensiero storico verso il perfezionamento spirituale. Tutti e tre i filosofi hanno prodotto dei paradigmi evoluzionistici e lineari della storia. Gumilëv, invece, osserva la storia come una fluttuazione della Passionarietà, parte integrante del processo biosferico, e individuando la crucialità delle etnie rispetto ai rapporti di produzione di classe. Il Comunitarismo, anch’esso, proviene dal pensiero filosofico europeo. Esso accoglie il pensiero di Eraclito, Aristotele, Spinoza, di Hobbes, di Hegel, e di Marx (Preve, 2006). In particolare, il filosofo Costanzo Preve individua nel pensiero marxista del Comunismo la dissoluzione nichilista di tutti i valori della comunità (famiglia, nazione, religione) e della dimensione dell’uomo (libertà di espressione e di creazione) (Preve, 1991).
Preve scopre il Comunitarismo attraverso l’individuazione del nichilismo nell’ideologia comunista. Il pensiero marxista era orientato verso la realizzazione di una nuova idea di comunità attraverso il Comunismo: la libera associazione e cooperazione di tutti i lavoratori, dal direttore della fabbrica fino all’ultimo manovale. Invece l’interpretazione novecentesca del marxismo ha prodotto il collettivismo, ovvero una somma di individui cristallizzati nell’economicismo (primato assoluto sui rapporti di produzione di classe e sulla teoria del plusvalore) e nel sociologismo critico (solo la classe operaia). Preve conduce una ricerca filosofica alla scoperta del Comunitarismo, che inizia dalla filosofia greca di Eraclito e Aristotele fino all’ontologia dell’essere sociale di Lukács (1990), i quali riconoscono l’individuo come portatore di valori comunitari che fonda la sua esistenza sul lavoro in comune e in cooperazione con gli altri.
Il Comunitarismo si contrappone all’individualismo e al collettivismo; è la teoria e pratica di un rapporto tra individualità e universalità; è la mediazione tra la singolarità dell’intimo (la morale) e l’universalità comune (l’etica) (Preve, 2006).
In questa sede, la relazione esposta sull’Etnogenesi di Gumilëv, si propone come punto di partenza per ulteriori riflessioni e dibattiti sulle condizioni attuali della società moderna e sull’ipotetica realizzazione di un paradigma sociale, etico, politico, ed economico alternativo all’Occidentalismo che possa evolversi nel pensiero comunitarista nell’ambito di un mutamento storico dell’Etnogenesi Europea e nel rinnovamento della Passionarietà.
Concludiamo con una traduzione di una citazione di Seneca tratta da “Epistulae morales ad Lucilium” (107, 11, 5) e che fu inserita da Spengler come conclusione del primo libro del “Il Tramonto dell’Occidente” (Spengler, 2005:1398):
«Ducunt volentem fata, nolentem trahunt»
Trad. «Il fato conduce colui che vuole lasciarsi guidare, trascina colui che non vuole»
di Dario Zumkeller*
*Dario Zumkeller nasce a Napoli nel 1983. Nel 2007 si laurea in Sociologia presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2013 consegue un Master in Metodologia di Ricerca Sociale presso l’Università di Aberdeen in Scozia con una tesi sulla sociologia delle etnie. Attualmente è dottorante di ricerca in Studi Germanici e Slavi presso l’Università “Sapienza” di Roma.
1 Traduzione mia
2 «La solidarietà sociale si consolida in un’ambiente in cui gli individui dipendono dagli altri». Traduzione mia.
3 Dal pensiero di MOELLER VAN DER BRUCK [1876-1925] e ERNST NIEKISCH [1889-1967], esponenti della rivoluzione conservatrice tedesca
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