Le dinamiche di sistema seguono le proprie regole, non il pensiero di gruppo

05.01.2023
Sebbene l'ascesa culturale ed economica dell'America venga dipinta come una "normalità" da fine della storia, essa rappresenta un'evidente anomalia

Verso la fine del suo The Rise and Fall of the Great Powers (1987), “[lo storico di Yale] Paul Kennedy aveva espresso la convinzione, allora controversa, che le guerre tra le grandi potenze non fossero affatto una reliquia del passato. Uno dei temi principali di Kennedy era il concetto di overstretch [sovraestensione], il fatto che il relativo declino delle grandi potenze spesso derivava da uno squilibrio tra le risorse e gli impegni di una nazione,” scrive il professor Francis Sempa.

Pochi nella classe dirigente occidentale ammettono che l’Occidente ha raggiunto un tale punto di inflessione. Che ci piaccia o no, tuttavia, nuove alleanze tra grandi potenze stanno rapidamente crescendo in tutto il mondo. L’influenza degli Stati Uniti si sta già riducendo al suo nucleo atlantico. Questa contrazione non è semplicemente una questione di risorse rapportate agli impegni; questa è una spiegazione troppo semplicistica.

La metamorfosi si sta verificando sia come risultato dell’esaurimento delle dinamiche politiche e culturali che avevano alimentato l’era precedente, sia come risultato della vitalità di nuove dinamiche. E per “dinamiche” si intende anche l’esaurimento e la prossima scomparsa delle strutture meccaniche finanziarie e culturali sottostanti, scomparsa che, di per sé, sta plasmando la nuova politica e la nuova cultura.

I sistemi seguono le loro regole, anche quelle della meccanica fisica, proprio come quando si aggiunge un ulteriore granello ad un mucchio di sabbia pericolosamente instabile. Quindi, a differenza della politica, né l’opinione umana né i risultati delle elezioni a Washington avranno necessariamente la capacità di plasmare la prossima era, proprio come l’opinione del Congresso, da sola, non può impedire il crollo di un mucchio di sabbia finanziaria – se abbastanza grande – versando altri granelli sulla sua sommità.

Il fatto è che nessun pensiero di gruppo che abbia fatto il suo tempo – oltre un certo punto della curva discendente – è in grado di invertire le dinamiche a lungo termine. Nella fase di transizione da un’era a un’altra, sono gli “eventi” a lanciare i proiettili di artiglieria veramente trasformativi.

In questo contesto, il messaggio del Presidente Xi agli Stati del Golfo e ad altri Paesi produttori di energia è un “evento” di questo tipo, che “capovolge” una vecchia dinamica radicata a favore di una nuova. Soltan Poznar ha messo in evidenza il quadro di riferimento delle proposte fatte da XI agli Stati del Golfo e le relative implicazioni nel suo articolo, Dusk for the Petrodollar (a pagamento):

La vecchia dinamica del petrolio in dollari in cambio di garanzie di sicurezza americane lascia il posto al petrolio in cambio di investimenti cinesi trasformativi, finanziati in yuan. In circa 3-5 anni, il petrodollaro potrebbe scomparire e il paesaggio non dollarizzato finirebbe con l’essere radicalmente rielaborato.

L’Élite dominante (panglossiana), tuttavia, non vede di buon occhio il fatto che il mondo è destinato a cambiare: [secondo loro] il 2023 potrà anche economicamente difficile per gli Stati Uniti, a causa di una lieve recessione, ma non sarà altro che una questione di ordinaria amministrazione e, molto presto, tutto il mondo tornerà alla “normalità” degli Stati Uniti.

Tuttavia, le strutture – siano esse psichiche, economiche o fisiche (cioè quelle legate alle dinamiche energetiche) – sono in radicale transizione. E, di conseguenza, le componenti attualmente definite come “normali,” ossia due decenni di tassi di interesse a zero, inflazione zero e una marea di credito appena “stampato,” si rivelano piuttosto anormali. Perché?

Perché si sono esaurite le due dinamiche strutturali anomale in grado di tenere bassa l’inflazione: i beni di consumo a basso costo provenienti dalla Cina e l’energia russa a basso costo, i veri artefici della produzione occidentale competitiva. Finchè erano durate, l’Occidente aveva vissuto “alla grande” grazie all’espansione guidata dal credito, godendo di un’inflazione prossima allo zero.

In parole povere, il “denaro” gratis a volontà è una condizione aberrante a breve termine, che dà una parvenza di prosperità, nascondendo le sue patologie distorsive.

Paradossalmente, però, è stato proprio l’Occidente ad uccidere la propria “normalità.”

Gli strateghi dell’amministrazione Trump avevano riscoperto la nozione di “competizione tra le grandi potenze” per contenere e ridurre l’influenza della Cina, mentre l’amministrazione Biden aveva puntato tutto sul cambio di regime in Russia. Il risultato: in assenza delle precedenti dinamiche  “ammazza-inflazione” i tassi di interesse sono in aumento e anche l’inflazione sale.

Il vero punto di svolta è l’aumento dei tassi di interesse, che minaccia in maniera esistenziale i “decenni d’oro del denaro facile e gratuito.”

Il fatto è che queste vecchie dinamiche non stanno per invertire la rotta. Sono definitivamente uscite di scena. Gli economisti classici occidentali prevedono o l’inflazione o la recessione, ma non entrambe. Quando sono presenti sia l’inflazione che la recessione, gli economisti non sono in grado di spiegarlo, nemmeno con i loro modelli computerizzati.

Ciononostante, il fenomeno esiste. È noto come inflazione da spinta dei costi (innescata non da un eccesso di domanda, ma dalle dinamiche delle linee di approvvigionamento in un’economia globale scismatica).

Anche in questo caso, le dinamiche strutturali associate alla decisione dell’America di tentare di prolungare la propria egemonia, potrebbero temporaneamente andare in pausa, ma non scomparire: gli aumenti dei prezzi dell’energia che generano inflazione (derivanti dalla “guerra” ai combustibili fossili e dal tentativo di ‘arrangiarsi’ con fonti energetiche meno produttive) continueranno.

Più pertinente è la dinamica strutturale della separazione del mondo in due blocchi commerciali, che è ritenuta (da Washington) la chiave per indebolire i rivali, mentre sta indebolendo l’Occidente (come appare evidente a tutti gli altri). Un blocco (l’Eurasia) sta già facendo passi da gigante nel dominio dell’energia fossile con contratti a lungo termine con i produttori: ha anche materie prime in abbondanza, una popolazione enorme e l’accesso al colosso industriale cinese. Sarà un’economia competitiva e a basso costo.

L’altro blocco sarà… cosa? Ha il dollaro (ma non per sempre), ma quale sarà il suo modello di business? La perdita di competitività (povertà energetica dell’Europa), unita alla politica di “friend-shoring” [la rilocalizzazione di alcune fasi della produzione in Paesi amici, NDT] delle linee di approvvigionamento, significa una sola certezza: costi elevati (e ulteriore inflazione).

Quali sono le scelte che dovrà affrontare, ad esempio, un’Europa “a rischio di competitività”? Beh, potrà proteggere le sue industrie, ormai non più competitive, attraverso dazi doganali, o potrà sovvenzionarle tramite la creazione di moneta, generando inflazione. Molto probabilmente l’UE farà entrambe le cose. I sussidi inevitabilmente aumenteranno la disfunzionalità delle economie occidentali, sia che vengano elargiti intenzionalmente, per perseguire obiettivi di controllo della società, sia che siano il risultato dello sfacelo del sistema. Entrambe le soluzioni sono essenzialmente generatrici di inflazione.

L’attuale mentalità di gruppo occidentale, tuttavia, insiste sull’imminente ritorno ad un’inflazione “normale” del 2% – “Ci vorrà solo un po’ più di tempo di quanto si pensasse inizialmente.” Ma, per il momento, sempre secondo questa mentalità di gruppo, i palliativi per contenere le aspettative di inflazione, come i prelievi dalla riserva strategica di petrolio degli Stati Uniti e la narrativa che la Russia sarebbe sull’orlo del fallimento, sarebbero il segnale che la normalità dei prezzi tornerà presto.

I pilastri di questa analisi poggiano sulla sabbia: quando, quest’estate, Pozsar aveva chiesto ad un piccolo gruppo di esperti di inflazione londinesi quali fossero i metodi con cui il mercato formulava le sue previsioni di inflazione a cinque anni, gli era stato risposto che ” per arrivare alle nostre stime non c’è nessuna analisi verticistica, in senso o nell’altro; prendiamo come dato di fatto gli obiettivi di inflazione delle banche centrali e tutto il resto è liquidità.” In altre parole, i calcoli sull’inflazione si basano su modelli difettosi, che non “prezzano” alcun cambiamento nelle dinamiche geopolitiche.

D’altra parte, se la messaggistica si basa sulla narrativa di un imminente collasso della Russia e sulla negazione delle implicazioni derivanti dal “paradigma di cooperazione energetica a tutte le dimensioni” dei BRICS+, in Occidente le aspettative di mercato potrebbero presto subire un vero e proprio “attacco di cuore.”

Naturalmente, ad un certo punto della crisi la Fed probabilmente “cambierà rotta” – di fronte ad un'”emergenza sanitaria” del mercato – e tornerà alle macchine da stampa. “La scomoda verità, tuttavia, è che le politiche di stimolo monetario finiscono invariabilmente con l’impoverire tutti.”

I sistemi dinamici complessi, tuttavia, seguono le proprie regole e un effetto “battito d’ali di farfalla” può improvvisamente rovesciare le aspettative consolidate: Alasdair Macleod, membro del London Stock Exchange scrive:

“Ciò che sta realmente accadendo è che il credito bancario sta iniziando a contrarsi. Il credito bancario rappresenta oltre il 90% della moneta e del credito in circolazione – e la sua contrazione è una questione seria. Si tratta di un cambiamento nella psicologia di massa dei banchieri, dove l’avidità… è sostituita dalla cautela e dalla paura delle perdite [una dinamica psicologica che può arrivare all’improvviso].” Questo era stato il senso del discorso di Jamie Dimon ad una conferenza bancaria a New York lo scorso giugno, quando aveva modificato la sua descrizione delle prospettive economiche da tempestose a uragano. Il discorso del banchiere commerciale più influente del mondo era stata l’indicazione più chiara che si potesse avere del punto in cui ci troviamo nel ciclo del credito bancario: il mondo è sull’orlo di una grave recessione del credito.

Anche se la loro analisi è errata, i macroeconomisti hanno ragione ad essere molto preoccupati. Più di nove decimi della moneta e dei depositi bancari statunitensi si trovano ora di fronte ad una contrazione significativa… Le banche centrali vedono questa evoluzione come il loro peggiore incubo. Ma poiché questa barattolo è stato preso a calci per troppo tempo, non siamo solo di fronte alla fine di un ciclo decennale di credito bancario, ma, probabilmente, anche ad un evento superciclico pluridecennale, in grado di rivaleggiare con gli anni Trenta. E, date le maggiori forze elementari di oggi, forse anche peggiore di quello…

L’establishment del settore privato sbaglia a pensare che la scelta sia tra inflazione e recessione. Non si tratta più di una scelta, ma di una questione di sopravvivenza sistemica. Quasi certamente si verificherà una contrazione del credito delle banche commerciali e un’espansione del credito della banca centrale.” E questo non farà altro che peggiorare la situazione.

È su questo sfondo di placche tettoniche geopolitiche in continuo movimento che si sta delineando un nuovo panorama geopolitico globale.

Qual è la dinamica operativa in gioco? È che la cultura – i vecchi modi di gestire la vita – nel lungo periodo conta di più delle strutture economiche (ideologiche). I commentatori a volte notano che la Cina odierna di Xi è molto simile alla Cina della dinastia Han. Ma perché dovrebbe essere una sorpresa?

Ci sono poi gli eventi geopolitici – gli eventi psichici – che plasmano la psicologia collettiva del mondo. Il movimento indipendentista dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale ne è un esempio, anche se il movimento dei Non Allineati che ne era scaturito – in ultima analisi – era poi stato “normalizzato” attraverso una nuova forma di colonialismo finanziario occidentale.

L’evento della nostra epoca, tuttavia, è ancora una volta la decisione strategica degli Stati Uniti di affrontare sia la Cina che la Russia nel tentativo di preservare il proprio momento unipolare – rispetto alle altre grandi potenze. Tuttavia, brevi momenti della storia non cancellano le tendenze a lungo termine. E la tendenza a lungo termine è che i rivali emergeranno.

Ancora una volta, a posteriori, l’ascesa culturale ed economica dell’America, pur essendo dipinta come una “normalità” da fine della storia, rappresenta un’evidente anomalia, come appare ovvio a qualsiasi spettatore esterno.

Persino il principale organo dell’establishment britannico e del Deep State legato all’anglosfera, il Daily Telegraph, di tanto in tanto “lo capisce” (anche se, per il resto del tempo, il giornale continua in una aggressiva negazione):

“Questa è l’estate prima della tempesta. Non fraintendetemi, con i prezzi dell’energia destinati a salire a livelli mai visti prima, ci stiamo avvicinando ad uno dei più grandi terremoti geopolitici degli ultimi decenni. Le convulsioni che ne deriveranno saranno probabilmente di un ordine di grandezza assai maggiore di quelle che avevano seguito il crollo finanziario del 2008, che aveva scatenato le proteste culminate nel Movimento Occupy [Wall Street] e nella Primavera Araba…

“Questa volta le élite non potranno sottrarsi alla responsabilità delle conseguenze dei loro errori fatali… In parole povere, l’imperatore è senza vestiti: l’establishment semplicemente non ha un messaggio per gli elettori in difficoltà. L’unica visione del futuro che riesce ad evocare è quella delle zero emissioni di carbonio- un programma distopico che porta la politica sacrificale dell’austerità e la finanziarizzazione dell’economia mondiale a nuovi livelli. Ma è un programma perfettamente logico per un’élite che si è sganciata dal mondo reale.”

L’ideologia occidentale odierna è stata fondamentalmente creata attraverso il cambiamento radicale del rapporto tra Stato e società tradizionale, promosso per la prima volta durante l’epoca della Rivoluzione Francese. Rousseau è spesso considerato l’icona della “libertà” e dell'”individualismo” e gode ancora di ampia ammirazione. Tuttavia, in lui sperimentiamo già quella “sfumatura” del linguaggio che trasforma la “libertà” nel suo contrario: una connotazione antipolitica e totalitaria.

Rousseau rifiutava esplicitamente la partecipazione umana alla vita comune non politica. Vedeva piuttosto le associazioni umane come gruppi su cui agire, affinchè tutti i pensieri e i comportamenti quotidiani potessero essere uniformati alle necessità di uno Stato unitario.

È questo Stato unitario – lo Stato assoluto – che Rousseau sostiene a spese delle altre forme di tradizione culturale, insieme alle “narrazioni” morali che forniscono un contesto a termini come bene, giustizia e telos.

L’individualismo del pensiero di Rousseau, quindi, non è un’affermazione libertaria di diritti assoluti contrapposti ad uno Stato totalizzante. Rousseau non ha sollevato il “tricolore” contro uno Stato oppressivo.

Tutto il contrario! L’appassionata “difesa dell’individuo” di Rousseau nasce dalla sua opposizione alla “tirannia” delle convenzioni sociali – le forme e gli antichi miti che fanno da collante della società: religione, famiglia, storia e istituzioni sociali. Il suo ideale può essere proclamato come quello della libertà individuale, si tratta però di una “libertà” non nel senso di immunità dal controllo dello Stato, ma che riguarda il nostro ritiro dalle presunte oppressioni e corruzioni della società collettiva.

La relazione familiare viene così sottilmente trasformata in relazione politica; la molecola della famiglia viene spezzata negli atomi dei suoi individui.

Questi atomi, oggi ulteriormente addestrati a liberarsi del loro genere biologico, della loro identità culturale e della loro etnia, vengono nuovamente riuniti nell’unica unità dell’onnipresente Stato.

Questo è l’inganno nascosto nel linguaggio degli ideologi della libertà e dell’individualismo. Esso prefigura piuttosto la politicizzazione di ogni cosa, plasmata da un’unica percezione autoritaria. Il compianto George Steiner aveva detto che i Giacobini “hanno abolito la barriera millenaria tra la vita comune e le enormità del [passato] storico. Oltre la siepe e il cancello anche del più umile giardino, marciano le baionette dell’ideologia politica e del conflitto storico.”

I popoli del resto del mondo “lo capiscono.” Riescono a vedere i “meccanismi psicologici primitivi” che devono essere presenti affinché la “narrazione distribuita” occidentale si evolva in un’insidiosa “formazione di massa” che distrugge l’autocoscienza etica di un individuo, privandolo della capacità di pensare in modo critico – condizionando così una società a sottomettersi all’egemonia “coloniale” straniera.

Poi guardano in alto e osservano gli Stati che difendono la propria cultura e i propri valori (contro ogni imposizione occidentale).

Questo è un fiero simbolismo. Ha una componente estatica. È una dinamica strutturale a lungo termine che solo una grande guerra potrà – o non potrà – far deragliare.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.org

tradotto Markus