La Tradizione vive oltre ogni distruzione

17.11.2016

Tradizione è il passaggio da uomo ad uomo di luce spirituale. Tradizionalismo è il ricordo di qualcosa che è stato, che è finito e che non tornerà mai più, oppure nei casi peggiori, ma ormai comuni e generalizzati, un'invenzione, una menzogna, una trappola. Qualcosa che deve colpire l'immaginario collettivo, per fini squallidi, intessuti di avidità di fama, soldi e potere. Tradizione e tradizionalismo sono quindi lemmi inconciliabili e opposti; questa opposizione assoluta è il limite invalicabile tra noi e qualunque ideologia o pseudo tale, passata, presente o futura.

La Tradizione è perenne, vivente. La Tradizione si manifesta nelle forme più varie in Uomini nei quali la coscienza della loro origine stellare e divina è presente; si trasmette ad altri Uomini semplicemente per osmosi, empatia, sguardo, gesto: niente di più. Quando più Uomini si uniscono per un fine, ed il fine per esseri simili è sempre intessuto di armonia, luce, grandezza e gioia, nasce una nuova civiltà: il mondo muta il suo aspetto.

Ma parole quali Sacro - Profano - Tradizione - Decadenza ed altre che vengono tuttora usate, hanno ancora un senso e un qualunque significato oggi? O meglio, qualunque parola o frase che venga usata, può ancora valere come mezzo di comunicazione tra uomini? Il marasma è mondiale, la disgregazione senza limiti, la banalizzazione assoluta; tutto viene svilito, parodiato, deturpato con un martellamento costante, senza pause o momenti di respiro; e la parola, svuotata, ridotta ad astrazione, sconnessa dal contenuto di cui è espressione, è diventata lo strumento principale per il caos. Voluto o spontaneo che sia, il processo di dissoluzione è reale, visibile, inconfutabile. Non solo, ma si mettono in atto persino procedimenti accurati per dimostrare in continuazione che la decadenza di cui noi parliamo, anzi di cui solo noi abbiamo diritto di parlare, ha raggiunto il confine del non ritorno, ed è reale, visibile, inconfutabile.

E dimostrando tutto questo si fanno cessare, per sfinimento, le ultime difese; si blocca sul nascere qualunque tipo di reazione, affinché il processo non si arresti, ma continui incessante fino al suo esito finale. Quale? L'Uomo deve scomparire, la Terra diventare una sfera deserta e priva di vita e al suo posto, trionfante e regnante, il Sostituto: una mostruosità unica che si pretende immortale e che tenta di imitare la vita e l'uomo, ma non può, né potrebbe imitare e neanche accostarsi, con una qualunque parodia, all'una e all'altro. Come un tumore, che con i suoi goffi tentativi per imitare un organo, produce solo morte, la sua, e con la sua, quella dell'individuo di cui è divenuto parassita. Quadro apocalittico? Questo è quanto viene martellato giorno dopo giorno con tutti i mezzi di informazione e a tutti i livelli, con un miscuglio di frivolezza e drammaticità.

Il Tradizionalismo si colloca in questo quadro andando ad occupare il settore dei nostalgici e dei sognatori. Qualunque saggio più o meno recente tratta, semplificando, del "bel tempo che fu", di altre epoche, comunque storiche, con personaggi e popoli che vivevano "la Tradizione" in ambienti non contaminati, ma che poi, raggiunti dalla decadenza, cessano di esistere, con finali più o meno drammatici. In maniera più incisiva viene trattata la mitologia, prendiamo ad esempio quella greca.

E' la liturgia di un suicidio collettivo, è la disperazione per aver perduto l'integrità e la completezza, mentre, come un verme solitario che si allunga e si ramifica, una coscienza intesa in senso moderno, si fa largo in una giungla popolata ormai solo di mostri, o comunque di esseri visti come tali. E' una coscienza di nuovo tipo che all'inizio, incerta, muove i primi passi, poi sempre più sicura, si afferma prepotentemente. Con il mito di Odisseo avviene il passaggio definitivo: Pan muore e un uomo disanimato e meccanico comincia la conquista di un mondo che, per sua mano, si spenge lentamente. Le critiche che si possono fare agli svariati saggi che trattano questi temi sono limitate; di solito il contenuto è eccellente, fatta eccezione per deformazioni o storture in autori preda del solito raptus dissolutivo. Ma il vero esito di distruzione è nella nota dominante, potremmo dire nella musicalità di sottofondo: qualunque sia l'argomento, qualcosa di bello che è stato non tornerà più, finito per sempre; ai posteri resteranno solo il sogno, la nostalgia, la rassegnazione.

A questo punto sembra che non resti altro che accettare il progresso dogmaticamente assoluto, e quanto altro di ebetizzante viene propinato dalle centrali consumistiche. Se poi rimangono residui di nostalgie, pruriti di misticismo, paure per il "dopo", slanci "toccanti", ecco i supermercati delle religioni dominanti: macchine immense, svuotate di un qualunque contenuto metafisico e spirituale, parodie decadute di passate conoscenze, che sopravvivono solo perché non più sostituibili o rigenerabili, per di più erose e minacciate da sette di ogni genere.

Ma la discesa è dal Divino, la risalita è verso il Divino. La Luce Spirituale è perennemente presente non in un fantomatico al di là, ma nelle forme, nel mondo, sulla Terra, nei viventi, nell'uomo. L'uomo se perde questa Luce precipita, se la ritrova risale. Riscoprirla in sé è il nostro primo compito; il nostro potere di scelta ci impone di andare al di là di ogni distruzione, di ristabilire l'unione con il Sacro e, con l'armonia e l'equilibrio che da questa unione derivano, far cessare malattie e disordine.

Tutto questo è la premessa, l'inizio di un processo abbastanza lungo che comincia giustamente con entusiasmi e fantasie, ma che deve poi svilupparsi in un percorso interno-esterno che porterà la propria coscienza a trasferirsi da un Io, agglomerato di scorie, inganni, deviazioni, sottomissioni e inerzie, ad un Sé, ad un'anima antica, ad uno spirito arcaico e fuori del tempo, al Signore che vive nel proprio cuore e nel proprio sangue. Niente sofferenze, patimenti, paure, colpe, doveri, conformismi e quanto altro forma la nebbia densa di Mordor. Non è un borghese, anzi un piccolo borghese che deve essere fabbricato, ma un Aristocrate che deve sorgere, ergersi sopra la fanghiglia del moderno e prosciugarla.

Non esiste una sola realtà e la nostra, viva, ricca, animata e gioiosa può tornare. Ai limiti dell'orizzonte v’è l'età dell'oro, l'età della normalità, l'età della reintegrazione nel Sacro, attende di essere fatta ridiscendere sulla terra; attende gli eroi, i risvegliati, i liberati, gli Uomini. Ed attendono la Signora del lago, ed il Mago Merlino e l'Imperatore Federico ed altri ancora in tutto il mondo. Tutti quegli esseri di un mondo incantato che dormono nelle acque e nei ghiacci, nelle montagne e nelle grotte e che non possono manifestarsi finché c'è ossessione, tormento e malattia, finché l'Uomo non li risveglia dal loro lungo sonno.

Abbiamo parlato di come scuotersi per il risveglio, di come sia necessario eliminare condizionamenti di ogni tipo da cui siamo appesantiti e vincolati, di come gli stessi condizionamenti astratti di una sconfitta perenne che non c'è mai stata, di una insicurezza cronica che non ha motivo di esistere, di un fatalismo nei confronti di un futuro che non è inesorabile ma assolutamente plasmabile, vadano rimossi, vadano sostituiti con le certezze della Vittoria, della sicurezza gioiosa, della volontà creatrice, dell’azione rituale.

La parola Rito deriva da Rtà, ed è unione e separazione; unione con il Sacro e l'Animato, separazione dall'oscurità e dalla fossilizzazione; unione con la Vita perenne, separazione da ciò che è mortifero; unione con il Signore e Dominatore, separazione dal servo e dal rassegnato. Nel rito per un attimo, un lunghissimo attimo, il tempo si ferma, tutto tace, la natura e le forme attendono, attendono un suono, una parola, un ordine. Pronte ad obbedire, protese a plasmarsi secondo la volontà del Demiurgo, dell'Uomo tornato Astro Splendente, natura e forme attendono per il cambiamento subitaneo.

Un gruppo di Uomini si riunisce e celebra un Rito: un circolo di Dei, fra grandi risate, si risveglia e dissolve una fantasia noiosa: un girotondo di fanciulli luminosi canta, canta e le forme mutano, e la natura si trasfigura mentre canta con loro. Questo è Rito, solo questo. L'altro, quello conosciuto, è parodia e tristezza, è il ricordo di qualcosa, qualcosa di indefinito, che si dissolve, lentamente, molto lentamente, come un miraggio. Il mondo è pieno di Riti. Riti, rituali, cerimonie sono tra le attività primarie dell'umanità, come il mangiare e il bere. Nessuno ci fa caso, ma dall'alba al tramonto, di giorno come di notte, per ogni minuzia si celebra un rituale, banale per il sedersi a tavola, solenne per la bandiera. La ritualizzazione della vita non può essere distrutta, almeno fino al giorno del Nulla, e la stessa distruzione, per poter agire, usa suoi precisi rituali. Poi ci sono i riti strutturati seguendo canoni classici.

Quelli delle religioni rivelate per esempio: vaghi ricordi, parodie, miscugli; cose unite insieme a casaccio, alla rinfusa. L'importante è catturare un po' d'attenzione, colpire l'immaginario collettivo, monopolizzare la fantasia, tutto fatto con lo scopo primario di distrarre, affinché a nessuno venga in mente di fare il Rito, di poter fare un Rito. Di agire e plasmare la realtà attraverso un Rito. Sono altri i veri Riti, quelli proibiti in tutto il pianeta e con tutti i mezzi, anche i più subdoli: la danza del sole delle Nazioni Indiane, vietata dal Governo degli Stati Uniti; il culto del fuoco dei parsi, menomato e svuotato; il riconoscimento solenne della natura divina dell'Imperatore del Giappone, rimosso grazie allo sterminio atomico di 500.000 persone e proibito con un diktat militare; perseguitate persino larvali cerimonie solstiziali a Stonehenge in Inghilterra. Altrove agiscono missionari cristiani e musulmani, alcool, malattie, saccheggio, inquinamento del territorio; una distruzione metodica dettata dalla paura. Paura del Rito, paura della guarigione, paura uguale a quella del cane ferito che morde chi lo cura, paura dell'appestato che infetta gli altri perché tutti siano sofferenti e l'idea stessa della salute scompaia nell'inimmaginabile.

Ma il Rito esiste, nuovamente presente ed operante, e l'oscurità non è più totale. Una luce, una fiamma inestinguibile, la Vita contro la morte, la Vittoria che scende e sigilla il chiudersi di un cerchio. L'epoca oscura comincia a retrocedere. Ora Uomini e Donne, dopo aver sciolto il maggior numero possibile dei mille vincoli invisibili che li avevano trasformati in servi e burattini più o meno consapevoli, ora, svegli e liberi, possono riunirsi o comunque stabilire una sintonia tra loro per preparare il ritorno della loro realtà, della Realtà. Nella fase di transizione dovranno ritrovare, per viverle, le tradizioni più antiche, quelle che seguivano i loro Avi: allora, ai confini tra storia e preistoria, ai tempi del Mito, in quella prima fase di decadenza in cui molto era intatto e ancora limitata la contaminazione.

E' questa una fase di transizione necessaria, un cambiamento troppo improvviso, pochissimi lo possono affrontare senza conseguenze devastanti; una transizione che corrisponde alla convalescenza per il paziente, un momento delicato, un passaggio fragile dalla malattia alla guarigione. All'interno, per i singoli, le famiglie, le tribù e le genti, usi, costumi, leggi, rapporti spontanei, istintivi, normali. Fuori, all'esterno, una vita tranquilla, indifferente a ciò che accade o che viene fatto finta che accada, senza essere toccati da niente e da nessuno, senza contrasti, sempre attenti a non reagire mai alle provocazioni, a quelle spontanee come a quelle pilotate, tutte miranti a coinvolgere, per rubare entusiasmi, energie emotive, per ribadire catene e vincoli. Una volta ritrovati i parametri della normalità, una volta che questi verranno interiorizzati, attuare un programma di questo tipo non sarà difficile. Se i popoli delle Nazioni Indiane negli odierni Stati Uniti si fossero scossi da un'ingenuità che rasentava la dabbenaggine, avrebbero visto chi avevano di fronte, non avrebbero scambiato dei malati, tutti potenziali soggetti di studio per la psichiatria, per dei pari; avrebbero evitato il genocidio e conservato gran parte, se non tutto, delle loro terre ed oggi sarebbero con noi, fianco a fianco, a lottare per la liberazione. Non c'è altro che possa essere aggiunto in questa sede. La mente umana così come è conformata e orientata in questi tempi, non è in grado di comprendere il Dopo. Il Dopo si può intuire, si può accettare o rifiutare, ma non si può ridurre a schemi astratti e razionali. A coloro che possono, qui e ora, è indicata la strada per il Risveglio.