La Merkel: donna senza qualità

15.01.2016

Signor de Benoist, Angela Merkel è stata eletta “Personalità dell’anno” dalla rivista Time. Ma chi è veramente? Incarnazione del capitalismo renano? Dei vecchi demoni pangermanici? O semplicemente una madre sferzante, di eleganza dozzinale?

Angela Merkel è l’immagine della Germania di oggi: eccessivamente morale, paffuta e senza figli. Eletta cancelliera esattamente dieci anni fa, s’è imposta con un basso profilo, trionfando a poco a poco su tutti gli scetticismi, fino a gocare un ruolo di primo piano, come si è visto nel caso ucraino, la crisi greca e, più recentemente, l’apertura delle frontiere ai migranti. Si è imposta in maniera pacifica, figura esemplare di Muttistaat, “Stato materno” che rassicura i Tedeschi (“Keine Experimentel” è stato già detto al di là del Reno negli anni Sessanta). La mano untuosa, le labbra serrate, la palpebra pesante, incarna alla perfezione quelle donne senza qualità, nel senso che Robert Musil ha dato a questa espressione, che si pone a volte come custode dell’ortodossia monetaria e dell’austerità di bilancio, a volte come vestale dell’accoglienza umanitaria.

Liscia, opaca, senza affetti, questa figlia di pastore ha fatto precipitare ancora un po’ di più il suo Paese verso i valori del protestantesimo. La Germania, dalla riunificazione, ha un peso crescente superiore a una reale volontà. Lei assume una leadership che non vuole veramente – ciò che il britannico William Paterson ha chiamato l’”egemone riluttante”, l’egemonia a malincuore.

Con la vicenda dei migranti, la sua popolarità è crollata?

E’ stata intaccata, dopo una fase di euforia orchestrata, una parte del suo elettorato comincia a spaventarsi seriamente per l’afflusso dei “rifugiati”: solo il 16 per cento dei tedeschi considera i migranti oggi come “opportunità” per il proprio Paese. E’ soprattutto vero nella ex RDT, meno segnata rispetto ai Länder dell’Ovest dall’ideologia liberale e “occidentale”, ma anche nello “Stato libero di Baviera”, oggi in prima linea di fronte ai flussi migratori e di cui il ministro degli Interni, Joachim Hoffmann, ha annunciato (in un’intervista al Welt am Sonntag passata del tutto inosservata dalla stampa francese) che ormai assicurerà lui stesso il controllo delle frontiere, cambiando e rimettendo in causa un aspetto essenziale del principio federale.

Angela Merkel rimane a un livello di popolarità che invidierebbero molti altri capi di Stato o di governo, a cominciare dal nostro (Hollande, ndt), dal momento che il 60 per cento dei tedeschi ritiene che nessun altro leader politico gestirebbe la situazione meglio di lei. D’altronde, nessuno vede chi la possa sostituire, a partire da coloro che si prnesentano come i suoi concorrenti, che si tratti del socialdemocratico Sigmar Gabriel, del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble o del presidente dei Cristiano-democratici di Baviera, Horst Seehofer.

E la famosa “coppia franco-tedesca”, sempre descritta come il motore dell’Europa, dov’è?

Frutto di un matrimonio ragionato, la coppia franco-tedesca si basa su una serie di malintesi che niente ha mai potuto dissipare, tanto la storia e la cultura politica dei due Paesi sono differenti da che il Trattato di Verdun (843) divise in due l’antica Francia in una parte romana e una parte teutonica. Da un lato, uno Stato-nazione, dove la politica si organizza sempre su iniziative spettacolari presa da grandi attori, dall’altro un Paese di tradizione imperiale-federale, dove non si è mai capito molto bene qual è l’essenza del politico (si auspica la spoliticizzazione per mezzo del diritto) e dove si considera che dopo la parentesi giacobina del Terzo Reich, è importante prima di tutto garantire il rispetto delle norme per premunirsi contro qualsiasi evento drammatico. Da un lato, dei funzionari e dei laureati all’ENA (Ecole national d’administration, Scuola di alta formazione dei quadri della burocrazia, ndt), dall’altra, parlamentari e giuristi. Non ci meravigliamo che la mentalità tedesca rimanga così incomprensibile per i Francesi quanto le istituzioni politiche francesi per i Tedeschi!

Sebbene vicini, Francesi e Tedeschi si conoscono poco e si capiscono male. Quanto al Trattato di amicizia franco-tedesco di cui il generale de Gaulle aveva assunto l’iniziativa nel 1963, le sue disposizioni per una migliore comprensione tra i due popoli sono rimaste lettera morta. La regola, vista in Francia come un limite e un vincolo, è percepita in Germania come un fattore di ordine e di libertà. Un Francese è francese grazie allo Stato, un Tedesco è tedesco grazie alla sua cultura.

La Francia favorisce il suo mercato interno e il suo potere d’acquisto, la Germania la sua competitività e le sue esportazioni. La prima ha innanzitutto un Presidente, la seconda un Parlamento. Dell’Europa, l’una e l’altra si fanno idee opposte – l’una l’utilizza come leva per nascondere la sua debolezza, l’altra come copertura per nascondere la sua forza -, ciò che spiega perché il sovranismo e il populismo non hanno, in Germania, il successo che hanno in Francia.

In breve, il divorzio non è in vista, ma la coppia è in difficoltà: nel treno europeo, la locomotiva è in panne. Il punto importante è che lo squilibrio franco-tedesco non deriva da una Germania troppo forte, ma da una Francia troppo debole. La nuova germanofobia alla maniera di Mélenchon, che intende vedere in Merkel la reincarnazione di Bismarck, dimostra quanto detto.