La fine della Pax Americana
Questo libro è significativo non solo per il suo esame dettagliato della globalizzazione, dell'unipolarismo, del multipolarismo e di temi associati come la politica estera, le rivalità delle superpotenze, la geopolitica e diversi rami come il significato di nazionalismo ed etnia, ma perché fornisce anche una panoramica di un'importante scuola di pensiero in Russia e oltre.
Leonid Savin è membro del Comitato scientifico militare del Ministero della difesa russo, ha prestato servizio presso la facoltà di sociologia dell'Università statale di Mosca, è redattore di Geopolitica.ru, redattore del Journal of Eurasian Affairs, direttore della Foundation for Monitoring and Forecasting Development for Cultural-Territorial Spaces e conferenziere all'interno e all'esterno della Russia. È un organizzatore del Movimento Eurasiatico e uno dei principali sostenitori della Quarta Teoria Politica. Di quest'ultima, il teorico principale è il dottor Alexander Dugin, la cui influenza come consigliere e studioso si estende su agenzie militari, accademiche, politiche e governative in Russia, Europa, Asia, America Latina e Medio Oriente.
L'eurasiatismo vede la Russia come fondamentale nella formazione di un nuovo blocco geopolitico e di civiltà, arrestando il processo di globalizzazione guidato da un asse anglo-americano che cerca l'egemonia mondiale. Nel nuovo mondo multipolare previsto dalla Quarta Teoria Politica, i “vettori” sostituiscono bene sia il nazionalismo che il globalismo.
Prospettive tradizionali russe sul positivismo occidentale e sull'universalismo
Dato che c'è molto nella politica estera di Putin che mostra influenze dalla dottrina eurasiatica, Ordo Pluriversalis rivela aspetti del retroterra ideologico che spesso forma gli atteggiamenti ufficiali russi. In effetti, Dugin ha consigliato una serie di personalità, tra cui Putin, il leader del Partito Comunista Gennady Zyuganov e lo sgargiante “ultranazionalista” Zhirinovsky.
Savin dedica il suo libro al centenario della pubblicazione di Europe & Mankind, di Nikolay Trubetzkoy (1890-1938) [2]. Nel 1920 il principe Trubetzkoy identificò il “cosmopolitismo” come una facciata per lo “sciovinismo romano-germanico [occidentale]”. (N. Trubetzkoy, Europe & Mankind, traduzione inglese di Alexandr Trubetzkoy, online: https://sashamaps.net/docs/writings/europe-and-mankind/ ). Ciò che nel 1920 Trubetzkoy vide nel cosmopolitismo come una facciata per il dominio internazionale dell'”Occidente”, è analogo all'epoca attuale dell'Atlantismo, o egemonia mondiale degli Stati Uniti in nome del liberalismo e della globalizzazione. Ciò che afferma Trubetzkoy è molto vicino a ciò che ripetono eurasiatici come Dugin e Savin:
“Quindi la diffusione del cosiddetto cosmopolitismo europeo tra i popoli non romano-germanici è puramente un malinteso. Coloro che hanno ceduto alla propaganda degli sciovinisti romano-germanici sono stati fuorviati dalle parole "razza umana", "umanità", "universale", "civiltà", "progresso mondiale" e così via. Tutte queste parole sono state intese alla lettera, mentre in realtà nascondevano concetti etnografici molto specifici e piuttosto ristretti.” (Trubetzkoy, ibid., capitolo: Il potere ipnotico del cosmopolitismo).
“Razza umana”, “umanità”, “universale”, “civiltà”, “progresso mondiale”: questi sono gli stessi slogan che sentiamo oggi ogni volta che la globalizzazione viene imposta ad uno “Stato canaglia”, che si tratti di invasione militare, crediti finanziari, aiuti, commercio o di “rivoluzione colorata”.
Così vediamo che la prima critica alla globalizzazione era basata sul “cosmopolitismo”, come lo chiamava Trubetzkoy, nella misura in cui la globalizzazione richiede il livellamento di tutte le culture e popoli in nome del centro commerciale mondiale e della fabbrica mondiale. Il “liberalismo” usa ancora gli stessi slogan di “razza umana”, “umanità”, “progresso mondiale”, che forniscono la razionalizzazione morale per bombardare uno Stato alla sottomissione qualora il commercio e il marciume morale non possano penetrare sufficientemente.
L'ascesa del multipolarismo post-guerra fredda
Savin esamina una varietà di sostenitori dell'unipolarità e del mondo unipolare che è apparso dopo l'implosione del blocco sovietico. La fine dell'era della Guerra Fredda avrebbe dovuto inaugurare il “nuovo secolo americano”, come veniva chiamato un influente think tank neocon. Vari gruppi di esperti hanno iniziato ad esaminare una serie di scenari, dopo che è diventato evidente che l'egemonia globale degli Stati Uniti non sarebbe rimasta incontrastata anche con la scomparsa dell'URSS. Nel 2012 il National Intelligence Council degli Stati Uniti ha pubblicato Global Trends 2030 [3] che considerava dei conflitti emergenti in Asia, causanti sconvolgimenti economici mondiali, la possibilità di una convergenza della Cina con gli Stati Uniti e l'Europa; un mondo fratturato in cui gli Stati-nazione sono stati soppiantati dalle ONG e dalle città-mondo come centri di potere.
Gli scenari non sono nuovi. Durante gli anni di Nixon vi fu un accordo di fatto tra Stati Uniti e Cina nei confronti del loro comune nemico, l'URSS, e un patto sino-statunitense era stato assiduamente promosso per decenni da Rockefeller e altri plutocrati, in aggiunta alla Dottrina trilateralista (USA-Europa-Giappone).
Il problema del populismo per gli unilateralisti
Tuttavia, mentre l'ascesa della Cina, la resistenza dell'Islam e i vari “Stati canaglia” hanno affrontato l'unipolarismo dopo il crollo sovietico, con la Russia che ha prontamente superato l'aberrazione di Eltsin, in alcuni ambienti globalisti la principale sfida all'unipolarismo viene dagli Stati Uniti. Il pericolo di una frattura tra la politica estera delle classi dirigenti e la massa pubblica – il pericolo del “populismo” – perseguita l'oligarchia.
Robert Kagan [4], eminente tra i neocon, nel suo The Jungle Grows Back (2018) [5] accoglie con favore il timore che la Cina fornisca il necessario focus unificante che era mancato dalla fine della Guerra Fredda, ma teme che i popoli (al plurale) stiano tornando alle [proprie] tradizioni, un processo di cui incolpa Trump. Un altro veterano neocon, Charles Krauthammer, nel 1990 scrisse in The Unipolar Moment [6] che l'egemonia degli Stati Uniti sarebbe stata raggiunta, ma predisse anche che sarebbe durata una sola generazione. Ha affermato francamente che le azioni degli Stati Uniti nel Golfo Persico e altrove, sono state intraprese dietro la facciata di un “abbigliamento multilaterale”, dando l'apparenza di legittimità internazionale, ma che l'ordine mondiale sarebbe crollato. Mentre Krauthammer si riferisce agli Stati Uniti che creano “stabilità mondiale” e “rifacimento del sistema internazionale” basato sulla “società civile domestica”, Savin mette in discussione questo [approccio] con la lunga storia dell’avventurismo globale americano. Krauthammer chiama il suo “nuovo unilateralismo” realismo, ma vede anche il pericolo principale nel ritorno degli Stati Uniti alla “Fortezza America” o alle “istituzioni multilaterali”.
È il non-interventismo de “America first” [lo slogan di Trump] che è tornato in auge, in una certa misura, con l'interregno di Trump. Ciò che è stato così orrendo nella politica estera di Trump, che ha allineato i neocon con la Sinistra in rivolta sulle strade, è che è tornata alla dottrina sollecitata da George Washington nel suo “Discorso d'addio” (1796): che gli Stati Uniti non coltivino né amici né nemici all'estero [7]. Uno degli ultimi discorsi di Trump è stato ai cadetti di West Point, dove ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero astenersi dal cercare di controllare il mondo. “Il compito del soldato americano non è ricostruire nazioni straniere, ma difendere, e difendere con forza, la nostra nazione dai nemici stranieri. L'era delle guerre infinite sta volgendo al termine”. (Donald Trump dice ai cadetti di West Point, Non siamo il poliziotto del mondo, Telegraph, 13 giugno 2020 [8])
Quindi, nel caos di quello che alcuni commentatori hanno a lungo chiamato il “nuovo disordine mondiale”, Savin afferma che il compito di coloro che rifiutano la globalizzazione è quello di garantire una “multipolarità stabile” (pag. 44).
L'implosione del Patto di Varsavia causò una crisi nelle relazioni internazionali. La Guerra Fredda tra due grandi potenze ha assicurato che gli Stati Uniti sarebbero stati trattenuti. All'indomani del crollo sovietico tale moderazione era scomparsa. Gli USA potevano agire unilateralmente. Gli Stati Uniti hanno ampliato la loro influenza negli Stati dell'ex Patto di Varsavia e nel territorio russo con l'uso di “rivoluzioni colorate”, la cui presunta “spontaneità” è stata ben pianificata e generosamente finanziata dalla Open Society, dal National Endowment for Democracy (NED) e molti altri settori della cosiddetta “società civile” globale, che la Russia ha dovuto inserire in una lista nera ed espellere.
Il contributo della Cina alla pluralità
Dell'epoca successiva alla Guerra Fredda, Savin vede diverse risposte significative a favore della pluralità.
E vede [anche] dei precedenti nella politica estera cinese, compreso il trattato del 1954 con l'India, in cui erano prescritti integrità territoriale, non interferenza e coesistenza. Gli studiosi cinesi hanno ritenuto che il mondo avrebbe visto una superpotenza e molte forti potenze. La Cina ha indicato che avrebbe aiutato l'Europa a diventare un “polo”. La Cina ritiene di svolgere un ruolo nell'economia e nella sicurezza dell'Europa.
Ci si potrebbe chiedere, al contrario: fino a che punto si può dire che l'economia cinese sia complementare a quella europea e che l'Unione Europea dipende dalla Cina come “polo”? La Cina vede il multipolarismo come una fase della globalizzazione, con sé stessa come leader piuttosto che come un baluardo contro la globalizzazione?
La dichiarazione congiunta con la Russia del 1997 su “Un mondo multipolare e l'istituzione di un nuovo ordine internazionale” pone la Cina in prima linea nel progetto multipolare, insieme alla Russia. Questo cerca un sistema mondiale basato sul riconoscimento di diversi percorsi di sviluppo, in contrasto con la dottrina egemonica e unilaterale del neoliberismo. Era una risposta all'invasione dell'Iraq.
Politica russa
Nel 2000 i documenti di politica estera russi facevano riferimento ad un “sistema multipolare”. Nel 2013 si faceva riferimento ad un “sistema policentrico” e a relazioni internazionali basate su un regionalismo di interessi diversi, con valute regionali e patti commerciali. Quell'anno, un decreto presidenziale indicava la Russia come “uno dei centri influenti di un mondo multipolare”.
Nonostante i frequenti riferimenti, in Russia, alle dichiarazioni e agli studi sul previsto “nuovo ordine internazionale” che continuava a funzionare all'interno del sistema delle Nazioni Unite, la Russia non aveva [alcuna] intenzione di sottomettersi a tale impresa globalista. Piuttosto, la Russia insiste sui suoi interessi in Europa, Medio Oriente, Transcausia, Asia centrale e regione dell’Asia-Pacifico. Ci si potrebbe chiedere: Cina e Russia entreranno in conflitto in tali regioni?
Significato dell'India
L'India gioca giustamente un ruolo fondamentale in una tale nuova dispensazione. È vista e vede sé stessa nel ruolo di potenza nell'Oceano Indiano, che potrebbe entrare in conflitto o coesistere con Cina e Stati Uniti. Savin fa riferimento alle controversie territoriali e di civiltà tra Cina e India, ma considera anche che il multipolarismo potrebbe fornire un nuovo contesto per la cooperazione, soprattutto se ci sono interessi comuni nel limitare la presenza degli Stati Uniti. Ci si potrebbe aspettare che gli Stati Uniti cerchino di confondere qualsiasi relazione sino-indiana del genere, come hanno fatto senza successo riguardo all'amicizia russo-indiana.
L'Iran come polo geopolitico
L'Iran emerge come polo geopolitico data la sua posizione tra l'Asia centrale e il Medio Oriente e il suo essere il centro dell'Islam sciita. La posizione di leadership dell'Iran è stata spinta dal suo conflitto con gli interessi degli Stati Uniti che cercano di espandersi nella regione. La consapevolezza da parte dell'Iran della propria posizione è stata indicata dal presidente Khatami nel 1999 dichiarando il 2001 “Anno del dialogo tra le civiltà” come l'opposto della dottrina unipolare dello “scontro di civiltà”. Sotto la successiva presidenza di Ahmadinejad, l'Iran ha perseguito l'amicizia con l'America Latina, la Russia, l'Africa e la Cina; quest'ultima sponsorizza gli sforzi dell'Iran per aderire all'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. (Savin, p. 112).
Il pivot latinoamericano
Dato che fin dalla dottrina Monroe gli Stati Uniti hanno considerato l'America Latina il proprio “cortile di casa”, la resistenza all'”imperialismo americano” ha un lungo pedigree. Esso ha preso la forma sia dei movimenti di guerriglia di estrema sinistra che dell'ascesa dei populisti. Chavez è stato particolarmente importante nell'assumere la leadership di questa tendenza, che poggia ideologicamente su un “nuovo socialismo” che incorpora identità culturali indigene intrinsecamente opposte ai processi di globalizzazione. Un sostenitore del “bolivarianesimo”, la dottrina di un blocco sudamericano, questo si è manifestato in istituzioni come l'Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), la Comunità degli Stati dell'America latina e dei Caraibi e l'iniziativa di Chavez e Castro nel 2004: l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA).
Di particolare importanza è che nel 2011 il presidente uruguaiano Pepe Mujica ha ribadito la necessità di evitare il dogma ideologico e trascendere sinistra, destra e centro. Cos'era Péron, ad esempio, che rimane un'influenza così pervasiva, poiché Chavez si è definito un Péroninsta? Che dire di Vargas in Brasile, la cui presunta “dittatura di destra” è ancora ricordata per le sue riforme tra i lavoratori dell'industria e i contadini? Entrambi erano sostenitori di un blocco geopolitico, così come Ibanez in Cile, sebbene Vargas fosse soffocato dall'opposizione interna nel perseguire questo obiettivo. Altri patti furono firmati da Péron con Ecuador e Nicaragua, ma anche ostacolati dall'opposizione interna. Péron ha deviato l'opposizione dall'interno, avviando un sindacato panamericano giustizialista, l’ATLAS, bandito nel 1955, dopo la sua cacciata. (Bolton, Péron & Péronism, Londra, 2014, pp. 182-188).
Policentricità e pluralità
La multipolarità è sinonimo di policentrismo, o di molti centri di governo, che comprenderanno un multiverso di “interessi, prospettive, valori”, in cui ci saranno almeno diversi gruppi etnici o religiosi all'interno dello stesso spazio.
Mentre Savin fa risalire il concetto soprattutto ad americani come William James, è ai pensatori sudamericani che torniamo. È qui che l'universalismo occidentale ha tentato di imporsi ai diversi indigeni, prima come imperialismo, poi come globalizzazione. Qui si discute molto nel mondo accademico sui “molti mondi”, sui modi di essere e sulla “realtà”. Qui la spiritualità resta un mezzo legittimo di critica, al di là del positivismo occidentale. Savin cita gli accademici che si riferiscono alla continua connessione con il mondo degli spiriti, dove "il naturale, il religioso, lo spirituale, il politico e il sociale non sono separati". (Savin, p. 138).
Savin mostra, con l'esempio di Carl Schmitt, il filosofo tedesco del diritto, che gli elementi dell'Occidente sono importanti per l'inaugurazione di una nuova deroga quanto qualsiasi altro residuo della tradizione. Schmitt è citato da un'opera del 1927: “c'è sempre un Pluriverso di popoli e Stati diversi”. Il mondo è un “pluriverso, non un universo”. Rifiutando la possibilità di uno Stato mondiale e di “una umanità”, vedeva questi concetti come facciate per imporre “l'imperialismo economico”.
Una questione di tempo
Inerente alla visione globalista è la percezione tardo occidentale del tempo lineare, con un focus sul presente. L'ossessione per il “progresso”, pur pensando solo al momento, ha grandi ripercussioni sull'ecologia, sull'economia e sulla società. Qui vediamo una gamma di idee ereditate dall'Illuminismo: positivismo, darwinismo, utilitarismo.
L'élite manageriale globale ha adottato percezioni temporali e spaziali tardo occidentali, dove regge il cliché che il tempo è uguale al denaro, mentre per i russi il tempo è eternità, mentre l'India ha un senso di atemporalità, riflesso nella vastità degli yuga della letteratura vedica e la Cina pensa a lungo termine.
Savin sottolinea la comunanza del marxismo e del capitalismo: l'ascesa lineare dal “primitivo al moderno”, con un focus sul presente e il distacco dal passato.
Citando il rivoluzionario-conservatore dell'era di Weimar, Arthur Moeller van der Bruck [9], le epoche si svolgono come parte di una catena di passato, presente e futuro che, a differenza del tardo Occidente, esprime una catena di continuità e “olismo sociale”. Ecco perché il conservatorismo “crea valore”, mentre la fissazione tardo occidentale con il presente crea sfruttamento (Savin, p. 177); perché la devastazione ecologica alla ricerca di un profitto immediato è normale e necessaria.
Savin si interroga sulla posizione dell'Occidente in un futuro pluriverso. Può l'Occidente essere salvato, “ripristinato”? Le alternative che elenca sono: (1) Non-Ovest, (2) Anti-Ovest, (3) Nuovo Ovest e (4) Est (e Nord e Sud), come “concetto spaziale e ideologico”.
Poiché la Quarta Teoria Politica è un'alternativa conservatrice, ciò che Savin mostra è che la critica di sinistra è imperfetta perché la sinistra stessa deriva dallo stesso spirito del tempo. Oswald Spengler [10] disse qualcosa di simile un secolo fa quando affermò che non c'è movimento cosiddetto “proletario” che non operi nell'interesse del denaro, nel suo saggio/lezione sul “socialismo prussiano” (1919), in Il tramonto dell’Occidente [11], e in Anni della decisione [12].
Lo spettro dell'Illuminismo
Dalla nozione di tempo come lineare e quindi indicativa di “progresso” è emersa l'idea che alcune razze siano “primitive” e altre avanzate. Qui emerse il concetto occidentale di “razza”, sempre dall'Illuminismo. Questa nozione di “progresso” ha annunciato la dottrina della “missione civilizzatrice” dell'Occidente, una nozione che gli Stati Uniti hanno assunto dopo la decadenza imperiale della Gran Bretagna e il colonialismo razionalizzato; il precursore della globalizzazione di oggi. Filosofi illuministi come Adam Smith e Kant avevano scritto delle gerarchie razziali e della “necessità dello sviluppo”.
Potremmo ricordare che Rousseau aveva di tali nozioni, così come la fazione francofila liberal-democratica, filo-giacobina, proprietaria di schiavi dei padri fondatori degli Stati Uniti guidata da Thomas Jefferson. Come fece Karl Marx, il cui materialismo dialettico richiedeva l'imposizione dell'industrializzazione a “primitivi” come gli indiani, scrivendo che “qualunque siano stati i crimini dell'Inghilterra, lei era lo strumento inconscio della storia...” (Marx, Il dominio britannico in India - NY Daily Tribune, 25 giugno 1853). Senza “la posa delle basi materiali della società occidentale in Asia”, non potrebbe esserci alcun processo che porti al socialismo. (Marx, I risultati futuri del dominio britannico in India - NY Daily Tribune, 8 agosto 1853).
Il carattere delle leggi
Il globalismo e l'unipolarismo, o l'egemonia americana, ricevono sanzione legale dalla nozione artificiosa di “diritto internazionale”. Con il capitolo di Savin su “Diritto e giustizia” (p. 187) arriviamo alla metodologia utilitaristica per imporre ed espandere tale egemonia. Il diritto internazionale è espresso attraverso istituzioni come il Tribunale dell'Aia e la Corte di arbitrato di Londra. Francis Fukuyama suggerisce una rete internazionale di istituzioni per far rispettare il diritto internazionale.
Il “diritto internazionale” giustifica l'interferenza globale, inclusa l'invasione militare. Il modo in cui questo serve gli interessi acquisiti potrebbe essere visto da esempi come il sostegno degli Stati Uniti all'indipendenza del Kosovo, respingendo il desiderio della Crimea di tornare in Russia. I criteri per il sostegno o l'opposizione dipendono da ciò che serve all'economia e alla geopolitica globalista. Savin sottolinea il modo in cui gli Stati Uniti comprano voti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU e all'Assemblea Generale con offerte di aiuti e prestiti, compreso il sostegno o meno per i prestiti del Fondo Monetario Internazionale.
Ancora una volta, il “diritto internazionale” deriva dalla dottrina illuminista, inclusa la teoria del contratto sociale di Locke, Rousseau e Kant. Quello che stiamo vedendo è la sostituzione di visioni del mondo organiche, sia riguardo al tempo che alla legge, con altre disorganiche e utilitaristiche. Savin ricorda che il processo stava già emergendo nel XVI secolo, dove l'espansione mercantile era precursore della globalizzazione, alludendo al teologo cattolico Francisco de Vitoria [13] obiettando che non esiste “una giurisdizione civile universale”. Successivi critici conservatori in Occidente come Joseph de Maistre [14] e, più recentemente, Carl Schmitt [15], hanno sollevato all'universalismo delle simili obiezioni, sostenendo che esiste una molteplicità di visioni del mondo localizzate, dalle quali emergono leggi secondo circostanze uniche.
Ciò che è sorto in secoli di espansione mercantile globale, una volta giustificato con la morale religiosa e ora con concetti giuridici internazionali, è diventato un processo di livellamento universale cinicamente in nome dei “diritti umani”.
Sicurezza e sovranità: definizioni mutevoli
L'intrusione del “diritto internazionale” è al servizio della Pax Americana. Dal “diritto internazionale” si passa alle giustificazioni per embarghi, sanzioni e vere e proprie invasioni militari. I concetti di sicurezza e sovranità non sono più definiti secondo le tradizioni, i costumi e le esperienze ecologiche e storiche locali che vanno a formare tribù, popoli, culture, nazioni e Stati ma sono livellati per servire programmi unilaterali.
Poiché il linguaggio è manipolato, Savin usa spesso l'etimologia per scoprire la radice dei concetti. Quindi, “sicurezza” ha per i greci il significato di “abbattere”, per i romani di “senza preoccupazioni”, per i russi quello di “attenta sorveglianza”, o veglia. Nel lessico dello Stato ora abbiamo “Stati falliti”, “Stati fragili, “Stati fratturati”, “sovranità ristretta”. Per l'epoca moderna “sicurezza collettiva” significa ciò che potrebbe essere consegnato dalle bombe della NATO ad uno “Stato canaglia” o ad uno “Stato fallito”, specialmente se quello Stato include una regione ricca di risorse, come il Kosovo. Il sostegno degli Stati Uniti al golpe del 2014 in Ucraina è considerato una questione di “autodeterminazione”, mentre il sostegno della Russia alla Crimea è chiamato “espansionismo”.
Sono in gioco altri sistemi, come la guerra informatica e l'intrusione di società transnazionali, ONG, fondi di rischio e agenzie di rating; il potere di “Big Pharma” e Monsanto, gli allineamenti regionali, il ruolo del dollaro americano e la concessione o meno di prestiti della Banca Mondiale. Stewart Patrick suggerisce in Sovereign Wars (2017) che l'estensione dei collegamenti globali fornirà nuove opportunità per la globalizzazione. In effetti, è facilmente accertabile come le ONG e la “società civile” abbiano agito in tandem con il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, USAID, NED, i giganti informatici e molti altri per intromettersi nella sovranità [di altre nazioni]. Ciò ha permesso agli Stati Uniti di diventare una “potenza iper-sovrana” che estende il raggio d'azione a livello globale, svincolata dai tradizionali concetti di sicurezza in base alla prossimità. Savin menziona anche Israele come “iper-sovrano” nella sua occupazione dei territori degli Stati vicini e la “pseudo-sovranità” della Palestina. Si potrebbe anche aggiungere l'”iper-sovranità” della rete mondiale di Israele che comprende gli ebrei della diaspora e varie lobby come l'AIPAC.
Russia e Ungheria hanno agito per rimuovere questa “società civile” a causa del suo servizio agli interessi degli Stati Uniti. Mentre intere regioni, Stato dopo Stato, sono state portate nell'orbita della Pax Americana, la burocrazia statunitense sostiene che la Russia interferisce nella politica degli Stati Uniti. Savin afferma che la Russia ha cercato di difendersi da questo assalto istituendo nel 2017 la “Commissione Temporanea per la Protezione della Sovranità statale e la Prevenzione delle Interferenze negli Affari Interni della Federazione Russa”.
Economia e religione
Queste due premesse, sovranità e sicurezza, come ci si potrebbe aspettare, oggi sono studiate come entità separate, laddove c'è stata a lungo nel mondo accademico occidentale ed oltre una mancanza di coerenza negli studi e un'eccessiva specializzazione che non consente un'educazione olistica. Ma la religione riflette il carattere di un popolo-cultura-Stato-nazione e anche l'economia è tanto diversa tra i popoli del mondo quanto la religione.
Anche in questo caso il tema è che non esiste una categorizzazione universale – una “taglia unica” - per il nebuloso costrutto chiamato “umanità”.
Savin ritorna all'etimo nel cercare la natura del soggetto: economia = casa (podere) + regola. (Savin, p. 252). L'economia esprime la località; anche se sotto la globalizzazione, la località diventa universale. Ciò che resta della religione tradizionale è in conflitto con l'economia moderna.
Per l'Occidente, il protestantesimo ebbe un impatto primario sull'economia e il suo predicato fu l'ethos sociale medievale; cioè cattolico. Savin afferma che il cattolicesimo ha introdotto nel pensiero medievale un elemento razionalistico che ha consentito l'ingresso del capitalismo. Tuttavia l'Europa gotica aveva vissuto per secoli secondo un ethos che rifuggiva come peccato non solo l'usura, ma la concorrenza mercantile. L'economia era profondamente non capitalista. Nel 325 d.C. il Concilio di Nicea bandì tra i chierici l'usura, interpretata come qualsiasi profitto da denaro. Sotto Carlo Magno il bando fu esteso ai laici. Nel 1139 il Concilio Lateranense II chiamò l’usura furto. Nel 1311 il Concilio di Vienna dichiarò l'usura eresia. Tuttavia, la Chiesa spesso consentiva agli ebrei di praticare l'usura, così come i musulmani, e i divieti iniziarono a crescere e diminuire (K. R. Bolton, Usurai vil razza dannata, Londra, 2016, pp. 2-3 [16]).
Il ruolo ebraico è considerato in dettaglio da Savin, attingendo al sociologo Werner Sombart [17] (Gli ebrei e la vita economica, 1911 [18]) e vari storici ebrei. Si potrebbe prestare maggiore attenzione al ruolo decisivo del protestantesimo, benché Savin citi Max Weber [19] (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1905 [20]). Sebbene nel XVI secolo la Chiesa fosse ancora abbastanza resistente da tentare (senza successo) di vietare il libro di Molinaeus [21], Trattato sui contratti e sull'usura, Enrico VIII stabilì un tasso legale di usura e i vecchi divieti gradualmente scomparvero. L'Olanda divenne il centro delle banche moderne, daddove la Banca d'Inghilterra apprese il suo mestiere. I principali filosofi utilitaristi Adam Smith, Jeremy Bentham, David Ricardo e John Stuart Mill [22] hanno difeso l'usura come contratto legittimo. (Bolton, Usurai vil razza dannata, op. cit., p. 4).
Giudaismo, Cattolicesimo, Islam
Savin afferma che l'ebraismo, a differenza del cristianesimo e dell'islam, si basa su contratti legali con Dio. (Savin, p. 256). Il loro continuo nomadismo li ha resi un popolo internazionale che si trovava in una posizione ideale per essere gli intermediari del commercio oltre confine. Questa era la premessa che Menasseh ben Israel, capo della comunità ebraica di Amsterdam, utilizzò nel tentativo di persuadere Oliver Cromwell a consentire la riammissione degli ebrei in Inghilterra. (Da Menasseh ben Israel a Cromwell, 1655, in Paul R. Mendes-Flohr e Jehuda Reinharz, The Jew in the Modern World, Oxford, 1980, pp. 9-12 [23]).
Savin vede il cattolicesimo come carente nella sua risposta all'ascesa del capitalismo internazionale. Tuttavia attribuisce credito alle encicliche dei Papi Leone XIII (Rerum Novarum [24]) e Pio XI (Quadragesimo anno [25]) che offrivano un'alternativa al capitalismo e al socialismo, entrambi visti come atei. Savin accorda ancora meno forza alla posizione dell'Ortodossia russa sul problema, oltre a vaghi principi relativi al commercio.
L'Islam ha avuto una visione robusta nel condannare l'usura (riba) come peccato e nel proclamare la necessità della giustizia sociale nel commercio, ma anche qui ci sono dei difetti. Savin cita Early Islam and the Birth of Capitalism di Benedikt Koehler, (Londra, 2014) [26].
L'economia ha un carattere intrinsecamente globale che Savin vede come evitabile solo da un'economia totalmente chiusa come quella nordcoreana. Egli si oppone anche al problema della produzione eccedentaria che deve ancora essere risolto, problema che Marx ha indicato come un fattore impellente che avrebbe internazionalizzato il commercio oltre i confini degli imperi. Un'alternativa che è stata trovata da Schumacher nella forma di “piccolo è bello” proveniva dall’“economia buddista”, che è anche chiamata “via di mezzo”; un'economia sostenibile, piuttosto che un'economia in crescita.
La questione è quella che sta al nocciolo dell'opposizione alla globalizzazione, ma che sia la destra che la sinistra non riescono ad affrontare: la prerogativa sovrana dello Stato di emettere il proprio credito e la propria moneta, secondo la capacità produttiva e i bisogni della sua gente, senza ricorrere a speculatori finanziari globali. Che questo possa essere fatto senza alcun intervento magico o miracoloso è stato dimostrato negli anni '30 dal Paese di residenza di questo recensore (K. R. Bolton, State Credit and Reconstruction: The First New Zealand Labour Government, International Journal of Social Economics, Vol. 38, n. 1, gennaio 2011, pp. 39-49 [27]). Il fatto che l'attuale governo laburista della Nuova Zelanda non abbia la più pallida idea di come affrontare la crisi abitativa è indicativo della dolorosa mancanza di comprensione economica odierna, che si potrebbe sospettare sia un deliberato offuscamento coltivato da coloro che finanziano istituzioni come la London School of Economics.
Tuttavia, la Chiesa ortodossa russa ha rilasciato recenti dichiarazioni sull'usura. Esiste inoltre una valuta locale chiamata kolion che potrebbe fornire un esempio russo di cosa si può fare su scala nazionale e regionale. (Bolton, Kolionovo vs. Usury: A Lesson for the World, Geopolitica.ru, 19 maggio 2016 [28]).
Potere e Stato
Economia, sovranità e religione sono intrinseche alle nozioni di Stato e potere. Nel definirne le molte forme, Savin si riferisce ai tipi di potere di Platone che riflettono la discesa ciclica di uno Stato dalla salute alla decadenza: dalla monarchia e dall'aristocrazia, alla tirannia degli oligarchi e delle folle. Il latino rex aveva implicazioni legalistiche, il persiano Shahan sha (re dei re) rifletteva il nesso divino tipico delle società tradizionali, mentre alla leadership Rus derivava da chi inizia un inizio (Savin, p. 287).
Max Weber ha descritto tre tipi di potere nell'epoca moderna: razionale/legalistico, tradizionale, carismatico. Per il pensatore francese conservatore Joseph de Maistre, il potere si fonda su qualcosa di trascendente, religioso o giuridico che sia. Heidegger [29], facendo riferimento a Nietzsche [30], vedeva il potere come il dominio su qualcosa, incluso se stessi. L'acclamato studioso persiano sunnita al-Ghazali (1058-1111) [31] ha presentato una visione simile dell'autocontrollo (il jihad interiore della teologia musulmana).
La lezione costante di Savin è che globalizzazione significa cambiare le definizioni e un tentativo di stabilire uno standard universale. Il “cittadino”, soggetto dello Stato e del potere, diventa così il consumatore mobile e cosmopolita, sradicato, come si addice ai concomitanti spostamenti delle nozioni di territorio e località. Savin si riferisce allo “Stato commerciale” (Savin, p. 303).
La passata epoca dell'imperialismo ha visto l'imposizione di confini indipendentemente dall'etnia. Savin fa riferimento alla frattura dei curdi in diversi Stati e alla linea Durand tra Afghanistan e Pakistan. Gli stati mediorientali sono composti da un colossale pasticcio di mappe anglo-francesi che tanto turbò T.E. Lawrence [32]. Il Trattato di Versailles assoggettò i tedeschi dei Sudeti ai cechi e fornì a Hitler la giustificazione per l'espansione verso est. Le richieste di una Grande Albania furono il mezzo con cui Kovoso fu staccato dalla Serbia. Molti altri confini diorganici e astorici forniscono giustificazioni propagandistiche per l'intervento USA/NATO/ONU.
Etnoi, popoli e nazioni
Le nature degli etnoi, dei popoli e delle nazioni vengono ridefinite con l'obiettivo di annientarle in un vortice di monocultura, dove una massa di fuchi è amministrata da una classe dirigente.
I concetti di nazionalità includono il “volk” tedesco e il “Deusches volkthum” di Friedrich Jan (1815) [33] che definiscono gli individui uniti in un'identità. Il giacobinismo e il liberalismo hanno svolto un ruolo importante nel definire il nazionalismo e il “popolo” come mezzi di ribellione contro gli ordini dinastici e imperiali tradizionali, unendo gli individui mediante contratti sociali e costituzioni piuttosto che attraverso il nesso del dominio divino. Per Herder [34], le nazioni nascono dal tempo e dal luogo e ogni nazione ha il suo carattere. Il movimento romantico si riferiva ad uno spirito comune di “passato, presente e futuro”.
Max Weber ha visto la nazione come “un sentimento specifico di solidarietà di fronte ad altri gruppi” e ha scritto dei “valori” di un popolo. (Weber Economia e società, Vol. 2, p. 922 [35]). C'erano e rimangono teorie che affermano e rifiutano la necessità di collegare la nazione allo Stato. Per Margaret Canovan la nazionalità riflette “solidarietà” e “sentimento” (Nationhood and Political Theory, 1996, p. 69 [36]).
Savin fa risalire la scuola etnologica russa a Sergey Shiro Kogorov, che definì un ethnos come “un gruppo di persone che parlano la stessa lingua, riconoscono la loro origine comune e hanno un insieme di costumi e stili di vita che sono preservati e santificati da tradizioni diverse dalle usanze di altri gruppi”. (Savin, p. 323). Durante l'era sovietica ethnos è stato definito da Yulian Bromley come “un gruppo stabile in un territorio definito, con particolarità comuni e stabili di lingua, cultura e psiche”, consapevoli della loro unità e differenza dagli altri e affermando che la lingua e la religione non erano criteri definitivi per un ethnos.
Savin allude agli eurasiatici russi riferendosi al “nazionalismo multietnico”, basato sul “destino storico”, piuttosto che all'etnia, alla lingua o alla religione (Savin, p. 343). Savin vede la negazione delle differenze etniche come parte del modernismo e del postmodernismo. Allude al “costruttivismo” come tesi postmoderna secondo cui l’ethnos è una creazione delle élite di potere (Savin, p. 328).
Il professor Alexander Wolfheze vede le nazioni moderne come “residui bioculturali” dell'ordine tradizionale rovesciato, in cui la borghesia sostituisce i governanti dinastici. (Il tramonto della tradizione e l’origine della Grande Guerra, 2018, p. 271 [37]). Come aveva predetto Marx, questa classe dirigente borghese sarebbe diventata “internazionale”. Leontiev [38] nel XIX secolo vedeva il nazionalismo moderno come un mezzo di “democratizzazione cosmopolita”. (la politica nazionale come strumento di rivoluzione mondiale). È sorto un nazionalismo aggressivo sciovinista che ha fornito slancio ideologico all'imperialismo e al colonialismo, alla ricerca di mercati e risorse, precursore della globalizzazione.
Al di là dei concetti occidentali, Savin esamina gli arabi, dove la “nazione” è stata definita come una “comunità di persone, legate da una comunanza di razza, lingua, patria e leggi” (Abd al-Rahman al-Kawakibi). Ibn Khaldan si riferiva allo “spirito di solidarietà” (asabiyyah), dove la lingua giocava il ruolo predominante. Nel nostro tempo, il Gran Mufti di Mosca, R. Gaynetdin definisce la “nazione” come una “parentela spirituale” con lingua e legami territoriali. (Savin, p. 346).
Il nazionalismo indiano non fu costituito come dottrina fino al XIX secolo. Ghandi ha equiparato la nazione all'autogoverno. Ghose vedeva il nazionalismo come “una forza divina”, come “dio che si manifestava”. Savarkar è stato influenzato dall'indologia occidentale del XIX secolo, riferendosi a comunalismo, territorio, sangue (ariano), sanscrito e induismo.
Culture strategiche e civilizzazioni
Mentre le nazioni hanno territori fissi, un popolo (al singolare) no. I confini nazionali spesso non corrispondono alle divisioni etniche. Potrebbero esserci sotto-nazioni di successo esistenti all'interno di una sovranazione, o edificio imperiale in cui il monarca è il fattore unificante, confederazioni o costruzioni imposti dallo Stato. Savin usa l'esempio degli indiani Quechua sparsi in un gran numero di stati dell'America Latina.
Il termine “culture strategiche” è stato coniato da Jack Snyder nel 1977 per analizzare l'impatto delle culture sulle relazioni internazionali e sui conflitti militari. Tuttavia gli antecedenti risalgono a Sun Tzu e Tucidide (Savin, p. 358). Durante il XIX secolo concetti come “psiche popolare” e “spirito popolare” anticiparono l'etnopsicologia. Savin fornisce un esempio recente dello studio di Ruth Benedict [39] sull'etnopsicologia giapponese prodotto durante la seconda guerra mondiale, Il crisantemo e la spada [40]. La Benedict e altri scienziati sociali, nonostante la loro persuasione generalmente di sinistra, hanno svolto un ruolo importante durante la Guerra Fredda fornendo studi etnografici per gli Stati Uniti, inclusa la CIA. Attraverso l'Asia Foundation, ad esempio, la CIA ha creato “parte di un modello diffuso che collega centinaia di antropologi e altri specialisti regionali con le agenzie di intelligence della Guerra Fredda”. (Katherine Verdery, The Cold War is not a trope, Hau: Journal of Ethnographic Theory (2016), Vol. 6, No. 2, p. 447 [41]).
Opzioni
Gli scienziati sociali impiegati dalla CIA, lavorando in tandem con Rockefeller, Ford, Carnegie e altri fondi oligarchici, analizzano e classificano i popoli e le culture in base a come potrebbero essere sussunti dalla globalizzazione. Studiosi al di fuori dell'Occidente affermano il riconoscimento piuttosto che l'annullamento della diversità. Gli studiosi musulmani affermano una dicotomia: c'è l'Islam e c'è l'Occidente e i suoi “surrogati” in cui predomina il denaro. Abdul Rahman afferma che non può esserci “dialogo delle civiltà”, a causa della natura egemonica dell'Occidente, ma afferma che ci deve essere un dialogo che mantenga un equilibrio di potere dei diversi blocchi di civiltà. (Savin, p. 379).
Gli eurasiatici russi in emigrazione, come Chkheidze, criticando il carattere imperfetto della Società delle Nazioni, vista come il tentativo di realizzare uno Stato universale, sostenevano gli Sstati continentali”, che tenevano conto della psiche razziale, del patrimonio culturale e di un riconoscimento comune dei compiti storici. Questi blocchi geopolitici potrebbero includere Pan-Islam, Pan-Europa, Pan-America, Pan-Asia e Russia-Eurasia. Queste idee hanno probabilmente influenzato Karl Haushofer [42], teorico geopolitico tedesco, la cui dottrina a sua volta ha influenzato gli attuali pensatori russi. (Savin, p. 390).
Samuel Huntington [43] ha politicizzato il concetto di “civiltà” in Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (1996) [44]. Qui vediamo blocchi di civiltà in conflitto intrinseco mentre perseguono o resistono all'egemonia. L'egemonia globalista riceve un'opposizione coerente forse soprattutto dall'Islam sciita e dalla Russia. Tuttavia, Dugin offre un'ideologia e delle strategie implicite destinate ad essere abbastanza ampie da essere adattate in tutto il mondo: un tipo di anti-globalizzazione globale. Dugin in Teoria del mondo multipolare (2012) [45] attribuisce a Huntington il merito di essersi avvicinato di più alla concettualizzazione del “polo” come base per un sistema pluriversale di relazioni internazionali.
Mentre Dugin è il più conosciuto e influente degli attuali eurasiatici, fa parte di una tradizione geopolitica in Russia, il “padre fondatore” è Petr Savitsky il cui concetto di mestortazvitie (“sviluppo del luogo”) si riferisce all'emergere di blocchi come totalità che comprendono fattori geografici, etnici, economici, storici e di altro tipo. (Savin, p. 392). L'etnografia è stata un fattore importante. Lev Gumilev [46] con il suo Ethnogenesis and the Biosphere of the Earth (2012), ha fornito un'affascinante ipotesi sull'emergere dell'etnoi e sul ruolo della geografia. Dalla Germania il teorico geopolitico Carl Schmitt (“grandi spazi”) ha fornito un contributo importante.
Concludendo le sue considerazioni sulla “civiltà”, Savin afferma che etimologicamente essa implica un “processo”. Si riferisce a Norbert Elias [47] (The Civilizing Process, Basilea, 1939 [48]) affermando che la globalizzazione è uno di questi “processi di civilizzazione”.
Alternative
La “politica internazionale” è vista come un'invenzione occidentale, che trae un sostegno significativo dalle élite occidentalizzate delle ex colonie. Si può indicare che organizzazioni come l'Istituto Afroamericano hanno selezionato e formato classi politiche, tecnocratiche e manageriali per assumere la guida delle ex colonie africane, sostituendo i funzionari coloniali uscenti con i nuovi servitori del neo-imperialismo statunitense e della Banca Mondiale. Savin attinge a pensatori anticolonialisti come Frantz Fanon (Black Skin, White Masks) [49]. Ma, dato lo sradicamento delle classi manageriali e tecnocratiche modellate dalla globalizzazione in quello che G. Pascal Zachary [50] ha chiamato con approvazione The Global Me, forse mantenendo il riferimento ad una “classe dominante” bianca, si supera e oscura la profondità della globalizzazione come processo di coagulazione di tutte le etnie e culture? Potremmo anche notare che le culture Black e Brown che sono state rimodellate dal postmodernismo in sottoculture come l'Hip Hop sono usate come mezzo per cooptare i giovani nel processo di globalizzazione, come mostrato nel memorandum Rivkin (Charles Rivkin, Minority Engagement Report , Ambasciata degli Stati Uniti, Parigi, 2010).
Tuttavia, ci sono studiosi all'interno del mondo accademico occidentale che forniscono critiche approfondite della globalizzazione e delle sue origini illuministe, comprese le sue implicazioni per l'identità etno-culturale. John Gray in Enlightenment's Wake: Politics & Culture at the Close of the Modern Age (1995) [51] percepisce sia il liberalismo che il marxismo come appartenenti al “fallimento storico mondiale” “laico, razionalista e umanista” (Gray, p. 98; Savin, 400).
Anche le implicazioni dell'ecologia sono basate sull'identità: cosa sono le nazioni e i blocchi geopolitici se non ecosistemi di etnoi da cui sono nati, sviluppati e sostenuti? Savin cita Jacob von Uexküll [52], fondatore dell'ecologia, che afferma che “non esiste un mondo unitario”. Il filosofo italiano Giorgio Agamben [53] afferma, “ogni ambiente è un'unità chiusa” (L’aperto: l’uomo e l’animale, 2003, pp. 40-41 [54]; Savin, p. 401), una sfida filosofica diretta alla "società aperta di Karl Popper [55] e il suo protetto George Soros [56], ma una sfida che non sembra dissuadere la politica “verde” dall'abbracciare le agende globaliste.
Il modello cinese
Nel tracciare le origini di un approccio non occidentale alle relazioni internazionali, Savin cita la pubblicazione del documento di A. Acharya e B. Buzan nel 2010, “Non-Western International Relations Theory” in Perspectives on and beyond Asia [57]. Savin dà il primo posto per tali prospettive alla “scuola cinese”. Tuttavia, cita anche Yazing Qin che sostiene che non esiste una “scuola cinese”. Le idee principali sono state prese dall'Occidente e rimangono fondate sull'antico “sistema tributario”, che subordina gli altri al polo cinese. (Qing, Why is there no Chinese International Relations Theory?, in Non-Western International Relations Theory, 2010, pp. 29-31 [58]; Savin, p. 410).
Savin sostiene che la scuola cinese si basa sul modello 3G: Great Learning, Global Vision, Grand Harmony, basato sulla dottrina confuciana.
Induisti e musulmani
Acharya (op. cit.) sostiene un approccio indiano alle relazioni internazionali basato sulla tradizione religiosa. Savin cita Swaraj (autogoverno) e Swadeshi (autosufficienza) come principi ancora largamente impiegati in India. (Savin, p. 413). L'India rimane fondamentale per qualsiasi resistenza alla globalizzazione secondo l'opinione di questo revisore. (Bolton, Geopolitics of the Indo-Pacific, 2013 [59]).
La teoria islamica si basa su una dicotomia di Stati musulmani e non musulmani. (Savin, p. 414). Questa dicotomia religiosa è descritta dai propagandisti globalisti nell'affermare l'inevitabilità dello “scontro di civiltà”. Tuttavia, la Storia ha mostrato sia epoche di conflitto che di accordo tra l'Islam e l'Occidente. La situazione è sfruttata dialetticamente dal sostegno degli Stati Uniti agli stati wahhabiti, mentre pretendono doppiamente di condurre una “guerra al terrorismo” come metodo principale per imporre la Pax Americana. (Bolton, Zionism Islam and the West, 2014).
Sostenibilità
La Quarta Teoria Politica tenta di fornire una filosofia coerente su cui premettere alternative alla globalizzazione e alla Pax Americana che si basa su quelli che noi vediamo come dogmi liberal-illuministi del tardo Occidente. La Quarta Teoria Politica è intrinsecamente conservatrice, definita come consapevole dell'importanza delle tradizioni e quindi delle differenze. Rifiuta anche intrinsecamente la nozione di positivismo e l'approccio lineare alla storia come “progresso”.
Questo rifiuto conservatore del positivismo e del concomitante industrialismo che è stato applaudito tanto da Marx quanto dalla Scuola di Manchester, ci ha portato a un'economia a tre ruote che ha invaso la maggior parte del mondo; vale a dire la globalizzazione e ciò che Marx ha predetto (approvando) come la tendenza internazionalizzante della produzione capitalistica. A questo Savin oppone lo “sviluppo sostenibile”. Sebbene questo sia un obiettivo delle Nazioni Unite, l'istituzione stessa è un prodotto di nozioni positiviste e illuministe di “umanità”. Le nazioni che compongono gran parte dell'ONU sono ancora saldamente radicate in varie fasi del capitalismo, comprese quelle che vengono descritte come socialiste. Fanno eccezione alcuni Stati musulmani e latino-socialisti, come Iran e Cuba. Per esempio, pochi funzionano al di fuori dell'orbita della Banca Mondiale. Da qui l'abbandono dell'ambiente (Savin, p. 420) e la mancanza di una prospettiva ecologica, che includa le culture umane come costituenti di ecosistemi unici.
Dasein
Il professor Martin Heidegger svolge un ruolo importante nella ricerca degli antecedenti alla Quarta Teoria Politica. (Savin, p. 421).
Il concetto heideggeriano di Dasein può essere visto come in accordo con Khudi e i suoi concetti analoghi in Oriente e Occidente. Qui Dasein significa uno stato di autentico essere, in cui si esiste tra passato e presente, la nozione sottostante dell'eterno e il nesso tra l'uomo e la divinità.
Alexander Dugin chiede: “si può parlare di un Dasein russo specifico?” (Savin p. 425). Ogni civiltà ha il suo concetto di Dasein. Per la Russia è incentrato sul cristianesimo ortodosso e sull'eurasiatismo: tradizione e divenire. Savin cita Heidegger sulla metafisica di un “popolo storico” che si manifesta come metapolitica. Il Dasein richiede un processo di riscoperta per chi vive nel postmodernismo.
Savin fornisce esempi dell'influenza di Heidegger in tutta l'America Latina, tra studiosi musulmani, giapponesi (scuola di Kyoto), l'equivalente buddista di Dasein (“vero essere”) e in Corea. Heidegger è un ponte tra Oriente e Occidente, tra “contemplazione astratta” e “rigido razionalismo”. (Savin, p. 427).
Prassi multipolare
C'è una crescente discussione sui principi multipolari impliciti nel “multilogo” e nel “polilogo”, dove anche studiosi e diplomatici occidentali sono alla ricerca di alternative all'unipolarismo. Si stanno valutando nuove alleanze a diversi livelli.
Mohammed Samir Hassain, dell'Università di Pune, vede una comunanza tra Germania e India nell'opporsi all'unipolarismo. In Germania, gli ambienti accademici e diplomatici stanno discutendo il concetto di “Paesi ancóra” (Istituto tedesco per lo sviluppo, 2004; Savin, p. 433), l'equivalente dei “poli” di Dugin, attorno ai quali potrebbero formarsi blocchi regionali. L'Unione Europea ha il potenziale per quella che i pensatori di alto livello chiamano “autonomia strategica”. (D. Fiott, Strategic Autonomy towards European Sovereignty in Defence?, EU Institute for Security Studies, novembre 2018 [60]; Savin, p. 437). In particolare, al di fuori della NATO si stanno formando dottrine sulla difesa continentale europea, come il Fondo europeo per la difesa.
Savin suggerisce che l'Unione Europea potrebbe diventare “un altro Occidente”, mentre si discute sulla Unione che diventa un altro “polo” in un mondo multipolare. (Savin, p. 438). La Russia si trova tra Oriente e Occidente. Il ruolo della Russia con quello della Germania è ampiamente riconosciuto come tale tra gli strateghi sia in Russia che nell'Unione Europea. Sebbene Savin abbia sminuito Spengler, come Moeller e altri conservatori dell'era di Weimar, Spengler ha visto il futuro della Germania allineato a quello della Russia come successore dell'Occidente sulla scena mondiale. (Spengler, The Two Faces of Russia & Germany's Eastern Problems, 1922, in Prussian Socialism & Other Essays, London, 2018, pp. 111-125).
Contro i colossi
Quali forme strutturali potrebbe assumere un mondo multipolare? Parlando di blocchi geopolitici e regionali, l'impressione potrebbe facilmente essere di entità burocratiche ingombranti che cancellano le identità locali e impongono strutture discendenti. Tuttavia, la ragion d'essere della dottrina eurasiatica è quella di offrire un'alternativa all'uniformità globale, mantenere o ripristinare ogni identità autentica.
La Quarta Teoria Politica suggerisce i blocchi geopolitici come confederazioni di piccole entità. Ciò è contrario alla concezione del tardo Occidente della “banalità del multiculturalismo” (Savin, p. 449), che serve a fratturare e reintegrare entità nazionali e culturali attorno a un nesso monetario.
Ciò che l'Eurasiatismo suggerisce è sul modello della Confederazione Svizzera, dove 22 regioni formano una totalità organica. Savin attinge alle opere del pensatore tedesco Leopold Kohr [61], che ha rifiutato la nebulosità dell'”umanità” a favore di identità che avrebbero sostituito i confini artificiali degli Stati-nazione (costrutti liberali modernisti, eppure così amati dalla destra nazionalista), lo “spirito borghese” come lo chiama Savin (Savin, p. 446).
L'obiettivo è, conclude Savin, “un ordine pluriversale e armonioso di un complesso di sistemi policentrici...”
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[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Nikolaj_Sergeevi%C4%8D_Trubeckoj
[3] https://www.dni.gov/files/documents/GlobalTrends_2030.pdf
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Kagan
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[6] Charles Krauthammer // Affari esteri, vol. 70, n. 1, L’America e il mondo 1990/91 (1990/1991), pp. 23-33. http://www.jstor.org/stable/20044692
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[7] https://it.vvikipedla.com/wiki/George_Washington%27s_Farewell_Address
[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Moeller_van_den_Bruck
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Oswald_Spengler
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[19] https://it.wikipedia.org/wiki/Max_Weber
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[22]
https://it.wikipedia.org/wiki/Adam_Smith ;
https://it.wikipedia.org/wiki/Jeremy_Bentham ;
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[23] https://www.amazon.it/dp/019507453X/ref=cm_sw_em_r_mt_dp_9S0YE0E1WY11NFXY3JSA
[24] https://it.wikipedia.org/wiki/Rerum_Novarum
[25] https://it.wikipedia.org/wiki/Quadragesimo_Anno
[26] https://www.amazon.it/dp/0739188828/ref=cm_sw_em_r_mt_dp_384EPAH9PHMPMZQJ6E87
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Articolo originale di Kerry Bolton:
https://www.geopolitica.ru/en/article/end-pax-americana
Traduzione di Costantino Ceoldo