L'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) ha rigettato il saggio del professore di storia Eugenio Di Rienzo, dedicato ai rapporti fra Obama e la Russia, che avrebbe dovuto far parte di un volume sulla presidenza Obama. Il motivo? Troppo filorusso e antiamericano.
La disavventura editoriale, come la chiama il protagonista stesso della nostra intervista, capitata al professore Di Rienzo la dice lunga sulla libertà d'espressione e le prese di posizione più "in voga" nell'ambito accademico (e non solo) italiano. Sputnik Italia per approfondire la vicenda ha raggiunto direttamente Eugenio Di Rienzo, professore di storia all'Università Sapienza di Roma.
— Professore Di Rienzo, che cosa ne pensa di questa "censura" nei suoi confronti? Le è mai capitata una esperienza simile prima d'ora?
— Sì, non è la prima volta. Infatti io dico sempre ai miei giovani colleghi e ai miei allievi che la libertà d'espressione è una conquista, anche nelle società con una democrazia avanzata, dove sembra ci sia la totale libertà di dire e di scrivere tutto quello che si vuole.
La storia che mi è capitata adesso, mi permetta il termine, la trovo piuttosto grottesca, perché è stata l'ISPI a contattarmi per scrivere all'interno di un volume dedicato alla presidenza Obama, un capitolo su Obama e la Russia. Sono rimasto molto sorpreso, perché quest'Istituto è molto schierato, anzi io direi troppo schierato sulla posizione filostatunitense, ma mi sono illuso che volessero avere anche una voce fuori dal coro. Evidentemente no, volevano solo maestri di cappella. Se l'articolo non fosse piaciuto, motivandomelo con argomenti seri è un conto, il pezzo invece era piaciuto al curatore del volume, che l'aveva inviato in stampa. Quando già era in bozze, il pezzo è stato bloccato.
Il curatore mi ha comunicato che il mio contributo non poteva essere più pubblicato perché connotato da sentimenti smaccatamente filorussi e eccessivamente antiamericani. Ha aggiunto che si è trattata di una decisione calata dai piani alti dell'ISPI. È un episodio spiacevole, direi anche volgare dal punto di vista dei rapporti accademici.
— Gli stessi americani, esperti e giornalisti, sono spesso critici nei confronti delle politiche di Obama. Lei non è un'eccezione. Perché in Italia però è così difficile esprimere una posizione critica per rapporto agli Stati Uniti?
— Perché c'è una tradizione di servilismo intellettuale, mi dispiace dirlo, ma questo esiste, c'è la tradizione di schierarsi dalla parte del più forte, salvo a cambiare campo. Se mai si giungesse ad un riavvicinamento fra Washington e Mosca, queste stesse persone che hanno censurato il mio saggio, magari comincerebbero a cantare le lodi della Russia, di Putin e Lavrov. Il mio difetto è di pensare con la mia testa e di non avere padroni di nessun tipo.
Con i miei interventi e il mio libro sull'Ucraina edito da Rubettino, di cui avete parlato anche voi di Sputnik, ho certamente incontrato delle difficoltà ed ho avuto dei problemi. Devo dire però che da una parte dell'Accademia e anche da parecchi media importanti, come il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, Il Foglio e Il Giornale, il mio libro è stato recensito ed anche con elogi. Non voglio dire che in Italia non si possano esprimere opinioni eterodosse, però una stretta di carattere censorio la cominciamo a sentire tutti, soprattutto su problemi di carattere internazionale.
— Possiamo dire che la libertà d'espressione c'è, ma alcune posizioni sono più gradite di altre.
— Ci terrei a dire una cosa ai lettori di Sputnik: io sono un professore di 63 anni, con una posizione accademica solida, dirigo una rivista di storia molto importante, ho accesso anche ad organi di stampa. Oggi su "Il Giornale" è stato pubblicato un mio pezzo sulla mia disavventura editoriale. Ora immaginiamoci questa pressione su dei giovani ricercatori. Magari viene detto loro che se assumono determinate posizioni, poi non possono fare carriera né pubblicare saggi su riviste importanti.
Foreign Affairs era un'ottima rivista, ora è diventata la cassa di risonanza del dipartimento di Stato. In questa rivista ci sono stati però degli articoli molto critici sulla politica americana verso la Russia. Qui in Italia a volte si è più realisti del re.
— Secondo lei perché il suo articolo ha dato fastidio?
— Secondo me nell'articolo ci sono state due cose che hanno fatto indispettire i piani alti dell'ISPI. Io sono venuto in possesso della trascrizione, conservata negli archivi di Gorbaciov, di quello che si dissero nel dicembre del '91 Bush e Gorbaciov. Era appena caduto il muro, si immaginava sarebbe caduto il mondo socialista dell'Europa orientale. Bush padre dice a Gorbaciov a Malta che ha ricevuto molte pressioni nel suo Paese per mettere KO la Russia, però lui non lo avrebbe fatto mai, sottolinea Bush. Poi ha aggiunto che se i russi non si fossero opposti ad una transizione pacifica dei Paesi socialisti ad un altro sistema, cosa che Gorbaciov fece infatti, non avrebbe attaccato mai gli interessi strategici della Russia. Questo significava che non avrebbe fatto mai avanzare la NATO verso Oriente.
In secondo luogo l'amministrazione Obama, appoggiando il revanscismo antirusso nei Paesi come la Polonia e gli Stati Baltici, ha creato una fortissima spaccatura all'interno della NATO. Paesi come l'Italia, la Francia e per certi versi la Germania vorrebbero la fine della nuova guerra fredda, purtroppo la NATO all'ultimo vertice di Varsavia ha ribadito la politica dello scontro con la Russia. Questi due punti, evidentemente, hanno dato fastidio.
Io da storico cerco di analizzare gli eventi oggi, come ho analizzato gli eventi internazionali del passato con la stessa scientificità. Naturalmente sono un essere umano e provo delle simpatie.
— Lei stesso si ritiene filorusso?
— Io ho una grande simpatia per il popolo russo e per la Russia da sempre, questa simpatia si è accentuata negli ultimi anni, perché ritengo che la politica occidentale verso Mosca non porti a niente di buono per la Russia, ma soprattutto per lo stesso Occidente. Non sono affatto antiamericano. La miglior dimostrazione di questo è che il mio articolo come il mio libro sono basati moltissimo su articoli e saggi americani. Se uno legge i miei scritti, noterà che la loro base è nata proprio là. Se sono antiamericano io, allora è antiamericano anche Kissinger, che sull'Ucraina ha espresso critiche molto forti nei confronti dell'amministrazione Obama.
— Il suo saggio sarà comunque visitabile, perché verrà pubblicato dalla rivista "Acropoli" diretta da Giuseppe Galasso, giusto?
— Sì, si tratta di una rivista che non ha le mie stesse idee, forse è più filostatunitense che filorussa! Il direttore non pubblica solo lavori in sintonia con il suo pensiero, ma anche altri punti di vista. Questo è il vero mondo accademico italiano. Appena è uscito su "Il Giornale" il pezzo sulla mia disavventura editoriale, ho ricevuto offerte per pubblicare il saggio da altre riviste che non la pensano come me. Questa disavventura alla fine è servita. Ci sono sempre difficoltà ad assumere certe posizioni, io me lo posso permettere, uno più giovane di me magari ci pensa due tre volte.