Italia e India durante la Seconda Guerra Mondiale. Seconda parte
Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, iniziarono ad affluire nella Penisola prigionieri di guerra provenienti anche dall’India e catturati principalmente in Nord Africa.
Mohammad Shedai operò su tre diverse direttrici per contribuire alla vittoria dell’Asse e partecipare alla liberazione del suo paese: costituì un governo indiano in esilio con sede a Roma; creò Radio Himalaya e si occupò da subito della propaganda presso i prigionieri indiani reclusi nei campi di prigionia italiani, assistito in quest’ultimo compito da un suo collaboratore, il sikh Naranjan Sing.
Il nazionalista musulmano avrebbe voluto unificare tutti gli sforzi volti a persuadere i prigionieri indiani a combattere al fianco degli italiani sotto il Comitato Nazionalista Rivoluzionario Indiano d’Europa (il già citato governo in esilio) la cui sede principale era a Roma. Il primo luogo dove furono raccolti i volontari indiani fu il campo di concentramento per prigionieri di guerra n. 50, dislocato presso il Genova Cavalleria alla Caserma del Macao. Da lì furono trasferiti nel campo di concentramento per prigionieri di guerra n. 80 a Villa Marina. Vi erano musulmani, indù, cristiani, sikh, gurkha, tutti uniti nel voler combattere per un’India libera dal giogo britannico.
Non erano mercenari al soldo di potenze straniere tanto è vero che, pur essendo disposti ad ubbidire ad ufficiali stranieri, consideravano il loro campo di azione esclusivamente l’India e paesi limitrofi e si rifiutarono di combattere per l’imperialismo mussoliniano nel Mediterraneo. Infatti secondo il progetto di Shedai, i militari nazionalisti indiani sarebbero dovuti essere paracadutati nella zona di frontiera tra Afghanistan e India conosciuta come Waziristan (in seguito all’arrivo delle armate dell’Asse in Iran e Afghanistan) e da lì appoggiare Mirza Ali Khan, conosciuto come il Fachiro di Ipi, così da provocare una vera ondata rivoluzionaria che avrebbe dovuto spazzare via definitivamente gli inglesi dal subcontinente. Inoltre era prevista la costituzione di nuove divisioni costituite da ex prigionieri indiani da contrapporre su tutti i campi di battaglia alle forze lealiste anglo-indiane. Su questo punto però Bose non fu d’accordo perché voleva che gli indiani, che fossero stati convinti a costituire un esercito di liberazione , fossero utilizzati solo in India e solo per la liberazione indiana.
Questo dissidio rese irrealizzabile il programma Schema di lavoro per l’India, realizzato nell’aprile 1941 dal Ministero Affari Esteri, seguendo in gran parte le indicazioni di Shedai. Bisogna anche ricordare che proprio nei mesi in cui fu sviluppato il progetto, gli inglesi iniziarono ad intensificare l’arruolamento degli indiani nell’esercito anglo-indiano.
In India erano presenti numerosi campi di prigionia dove furono concentrati numerosi italiani.
Nello Schema di lavoro per l’India si fece presente la possibilità di paracadutare militari italiani nelle vicinanze dei campi di prigionia, liberare i prigionieri e schierare questi soldati al fianco dei nazionalisti indiani. Contemporaneamente alla formulazione di questi progetti e all’avanzamento nei lavori di costituzione del battaglione, iniziarono i programmi di Radio Himalaia che trasmetteva da un appartamento in via Quattro Fontane a Roma anche se si fece credere che la radio era una stazione radio clandestina che trasmetteva dal confine tra India e Afghanistan. I suoi programmi costituirono un grande successo perché i patrioti indiani seguirono costantemente le trasmissioni mentre gli inglesi persero diversi mesi nel tentare di individuarla nell’India settentrionale e al confine con l’Afghanistan.
Lo staff che collaborò con Shedai in Italia durante la II Guerra Mondiale fu formato quasi completamente da musulmani come per esempio un ex ministro degli Esteri del governo afghano molto vicino all'ex re Amanullah Khan e un parente del Gran Muftì di Gerusalemme. Però oltre ai musulmani collaborarono con lui anche esponenti di altre religioni come il sikh Sirdar Ajit Singh che si occupò delle informazioni nel Comitato che funse da governo in esilio in Italia.
Il governo italiano decise, nel 1941, di appoggiare il già citato Mirza Ali Khan, capo della tribù dei Waziri nella regione di incerto confine tra Afghanistan e il futuro Pakistan che a partire dagli anni '30 era stato una continua spina nel fianco degli inglesi, impedendogli di controllare il confine indo-afghano. Il governo italiano, attraverso l’ambasciatore a Kabul Piero Quaroni, arrivò prima dei tedeschi, anch’essi interessati al Fachiro di Ipi, nel Waziristan.
Dopo essere giunti ad un accordo gli emissari italiani consegnarono a Khan una prima tranche di centosessantamila rupie, pari a quarantamila marchi tedeschi dell’epoca, e come finanziamento furono promessi altre venticinquemila sterline da consegnare ogni due mesi. In cambio i waziri avrebbero dovuto scatenare una vasta insurrezione costringendo così gli inglesi a distogliere mezzi e soldati dal fronte mediterraneo per inviarli a sedare la rivolta. Se l’insurrezione fosse riuscita l’Italia avrebbe concesso ulteriori trecentomila rupie come ricompensa.
All’epoca in Afghanistan regnava Mohammed Zahir Shah
Tra il 1942 e il 1943 le possibilità per l’Italia di svolgere una politica estera autonoma dalla Germania andarono sempre più affievolendosi a causa del crescente aiuto dato da Adolf Hitler ad un Mussolini sempre più in difficoltà militari. Questi problemi, però, non impedirono al Ministero degli Affari Esteri italiano di continuare a concepire progetti diplomatici sia per i territori che a fine guerra si sperava di annettere, sia per paesi con cui si sperava di creare legami economici e politici stretti.
Proprio tra gli ultimi mesi del 1942 e gli inizi del 1943 ci fu il punto più critico della presenza britannica in India durante la guerra. Il 7 dicembre 1942 i giapponesi attaccarono la base navale statunitense delle Hawaii e iniziarono in quel giorno la guerra anche contro la Gran Bretagna e l’Olanda: l’obiettivo era eliminare la presenza coloniale europea nel sistema geopolitico dell’Asia-Pacifico.
Le rapide vittorie giapponesi contro gli inglesi portarono in breve tempo diversi politici indiani ad interrogarsi sulle opportunità della guerra e sul pericolo di una invasione delle forze dell’Asse: i nipponici, verso il febbraio 1943, si stavano sempre di più pericolosamente avvicinando sia via terra, attraverso la Birmania, sia via mare, grazie alle incursioni della marina del Sol Levante nell’Oceano Indiano, all’India dando così più forza ai neutralisti e ai filo-nipponici indiani. Churchill si rese conto che sarebbe stato controproducente discutere con gli indiani, durante la guerra, del futuro dell’India e che bisognava sfruttare le divergenze tra i diversi gruppi etnici e religiosi per evitare dolorose concessioni.
L’8 marzo l’esercito giapponese entrò nella capitale birmana Rangoon e il 22 marzo giunse a Delhi il politico britannico Stafford Cripps con il compito di trovare un compromesso tra gli interessi inglesi e quelli musulmani e indù. Il risultato di questi sforzi fu la promessa, da parte del governo britannico, di concedere la piena indipendenza all’India, se lo avesse richiesto ufficialmente un’Assemblea Costituente, al termine della guerra: il problema del rapporto tra la maggioranza indù e la minoranza musulmana non venne discusso in quell’occasione.
Gandhi non era d’accordo con gli inglesi perché riteneva che l’unico modo per evitare che la guerra giungesse fino in India fosse che gli inglesi abbandonassero il subcontinente: nel caso in cui i giapponesi avessero continuato la loro avanzata, gli indiani avrebbero dovuto rispondere con la non cooperazione non violenta. Lanciò contemporaneamente due appelli: agli inglesi con il “Quit India” cioè “ Lasciare l’India”; ai suoi compatrioti quello di “Agire o Morire”. Proprio in questo frangente l’Italia voleva inserirsi per cercare di separare gli interessi indiani da quelli britannici.
Furono pertanto iniziati dei colloqui tra le autorità italiane e quelle giapponesi per discutere del futuro dell’India.