ISRAELE: E’ rivolta tra le aziende del settore Difesa dopo l’accordo con gli USA per gli aiuti alla spesa militare
Decine di piccole e medie imprese israeliane del settore Difesa sono in rivolta all’indomani della stipula dell’accordo firmato da USA ed Israele che stabilisce un finanziamento decennale di 38 miliardi di euro da parte statunitense a sostegno delle spese militari di Gerusalemme. Una cifra record, che però include una clausola capestro che impedirà alle PMI israeliane di accedere a queste risorse. Un disastro per queste aziende la cui sopravvivenza è strettamente legata ai tradizionali finanziamenti Usa e si vedono ora destinate alla chiusura, con il conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori e la dispersione delle conoscenze "uniche" acquisite nel corso dei decenni precedenti. Il problema è stato esposto da fonti di alto livello impegnate nel settore dell'industria della Difesa israeliana, contattate dal quotidiano d'informazione economica "Globes" all'indomani dell'accordo. Il nuovo contratto, che entrerà a regime ad ottobre del 2018, dopo sei anni non consentirà di convertire il 26 per cento della quota mensile di aiuti statunitensi nell'indotto economico israeliano. "Questa clausola è una catastrofe per le piccole e medie imprese del settore Difesa israeliane", ha affermato una fonte di altro profilo degli imprenditori del comparto. In breve tale clausola del contratto annulla l'autorizzazione di Israele a spendere il 26,3 per cento in commesse ad aziende nazionali. "La spesa in shekel del budget della Difesa per l'appalto per la produzione di armi da parte di aziende locali è già bassa e le commesse alle piccole aziende del settore e' resa possibile in gran parte dalla conversione in shekel degli aiuti ricevuti in dollari", ha affermato il funzionario citato da "Globes".
L'esperto ha evidenziato inoltre come finora le piccole aziende ricevessero in subappalto lavori commissionati ai leader del settore a livello locale, tra cui l'Industria aerospaziale israeliana (Iai), Rafael Advanced Defense Systems Ltd., Elbit Systems Ltd. e l'Industria militare israeliana (Imi), ma in futuro questo andamento verrà modificato perchè queste società dovranno acquistare e subappaltare i lavori ad aziende statunitensi. La fonte ha spiegato, infine, che questa situazione rappresenta "un duro colpo" sia per le piccole e medie imprese (Pmi), ma anche per i leader del settore, che tuttavia potranno comunque continuare a contare sul business generato dall'esportazione dei loro prodotti, mentre le Pmi che non esportano saranno costrette a chiudere.
L'accordo che prevede il finanziamento per l'approvvigionamento di strumenti militari per le Forze armate israeliane è stato firmato lo scorso 14 settembre a Washington e prevede un budget annuale di 3,8 miliardi di dollari. All'indomani della firma del memorandum d'intesa decennale sugli aiuti militari degli Stati Uniti a Israele si è scatenato un ampio dibattito ripreso dalla stampa israeliana, che in particolare contesta il reale valore di questo accordo. A tal proposito, oggi, il ministro delle Finanze israeliano Moshe Kahlon ha detto che "l'importo va bene ed è in sintonia con il piano pluriennale delle Idf". La settimana scorsa, il quotidiano "Haaretz" ha commentato in un editoriale quello che è stato presentato da entrambi i governi come un risultato senza precedenti, rilevando come il divario tra la realtà e l'immagine fornita da Gerusalemme non sia mai stato così ampio. Formalmente, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo portavoce hanno ragione: l'accordo prevede, infatti, la concessione a Israele di 38 miliardi di dollari per la difesa nell'arco di un decennio. Il confronto con i 31 miliardi concessi dagli Usa nel decennio precedente, secondo "Haaretz", è però "ingannevole".
Su "insistenza" dell'amministrazione Obama, il nuovo accordo è all inclusive e Israele si impegna a non chiedere al Congresso altri finanziamenti, ed anzi a restituirli se i legislatori Usa dovessero approvarne di loro iniziativa. Questo genere di stanziamenti aggiuntivi, concessi dal Congresso e, talvolta, dalle stesse amministrazioni presidenziali Usa, sono stati concessi a Israele di volta in volta per compensare le spese legate alla guerra nella Striscia di Gaza del 2014, per sostenere lo sviluppo delle tecnologie, per individuare le gallerie sotterranee scavate dai membri del movimento islamista palestinese di Hamas, oltre che per accelerare lo sviluppo e la fornitura di sistemi anti-missilistici. Secondo l'Agenzia di difesa missilistica degli Stati Uniti, Israele ha ricevuto 729 milioni di dollari di fondi aggiuntivi per questi scopi nel 2014, di cui 620 milioni di dollari solo l'anno scorso. In altre parole, l'accordo "senza precedenti" comporta in media un incremento effettivo dei contributi statunitensi nell'ordine di 100-200 milioni di dollari all'anno, e questo senza tener conto degli effetti dell'inflazione.
Si tratta di un dato di poco conto, ha incalzato il quotidiano, specie se paragonato ai sette miliardi di dollari di perdite quantificate da molti analisti a causa della cattiva gestione dell'accordo sul nucleare iraniano da parte del premier Benjamin Netanyahu, del suo difficile rapporto con il presidente Barack Obama e dei ripetuti ritardi nella firma del nuovo accordo. Infine, l'editoriale ha evidenziato anche i riflessi negativi sull'economia, in quanto l'accordo prevede che una parte della produzione debba essere realizzata negli Usa, che a lungo termine porterebbe ad una perdita dei posti di lavoro. L'analisi è terminata mettendo in evidenza la "contraddizione" esistente tra la firma di un accordo definito "grandioso" ed il funzionario scelto per firmare l'accordo, ovvero il generale Yaacov Nagel, presidente del Consiglio nazionale della sicurezza. Secondo l'editorialista per celebrare un accordo del genere sarebbe stata coerente la presenza del premier negli Usa.