INTRODUZIONE A NOOMACHÌA. LEZIONE 7. IL LOGOS CRISTIANO
In questa lezione andremo ad effettuare un’analisi noologica del Cristianesimo come fenomeno culturale, sociale, politico e filosofico.
1. Cristianesimo come Logos apollineo indoeuropeo
Possiamo formulare alcuni principi generali riguardanti la dottrina cristiana. In primo luogo, dal punto di vista noologico e geosofico, il Logos Cristiano è evidentemente apollineo. I concetti del Dio Padre celeste, della Santa Trinità, della trascendenza del Creatore nei riguardi della stessa Creazione, tutto ciò ha generato un Logos tipicamente apollineo e patriarcale, con una organizzazione dello spazio metafisico completamente verticale. Abbiamo a che fare con il Padre celeste trascendente situato in Paradiso che crea il mondo. Tale atto della creazione rappresenta una discesa dall’alto verso il basso, dall’eternità al tempo, dal Paradiso alla Terra, da Dio all’uomo e alle altre creature. La relazione tra il Creatore e il Creato è dunque di tipo gerarchica, con il Creato che deve sottomettersi al Creatore. Questa verticalità costituisce l’essenza stessa della tradizione cristiana. Alle radici dei princìpi dogmatici fondativi vi è una logica puramente apollinea. Tutte e tre le figure della Sacra Trinità sono inoltre maschili, e questo da un punto di vista simbolico è molto significativo.
In secondo luogo, non è un caso che questa tradizione si sia sviluppata nel mondo indoeuropeo, anzitutto a Roma e in Grecia. Il Cristianesimo ha costituito una tradizione normativa per la parte occidentale della società indoeuropea, dove il concetto del Dio Padre cristiano nelle sue caratteristiche principali era sostanzialmente corrispondente alle divinità maschili dell’era pre-cristiana come Zeus e Giove. Nella coscienza popolare di greci, latini, germanici, celti, slavi è stato quindi facile sostituire un Padre celeste con un’altro, poiché la rispettiva Gestalt era la medesima. La cristianizzazione ha rappresentato una trasformazione che non ha intaccato la struttura della visione del mondo dei popoli indoeuropei, ma che al contrario ha garantito la continuità tra le tradizioni pre-cristiana e cristiana.
Sin dalle prime fasi di elaborazione della dottrina cristiana, vi era la consapevolezza che il Cristianesimo avesse due fonti, non solo giudaica ma anche ellenica, cioè indoeuropea – questo è stato spiegato nella filosofia di alcuni tra i primi apologeti cristiani e santi, ad esempio il filosofo Giustino o Clemente Alessandrino, i quali hanno affermato l’esistenza non di uno ma di due rami tradizionali pre-cristiani, segnatamente giudaico ed ellenico. Ciò è evidente soprattutto nel platonismo cristiano. Il platonismo cristiano non ha avuto inizio con la tradizione esegetica ma con gli apostoli stessi: il Vangelo di Giovanni inizia affermando che «in principio era il Verbo», cioè il Logos, che però non è solo «verbo» nel senso di parola, ma è intelletto, Nous per certi versi, un concetto molto complesso della filosofia greca. Tali vangeli sono stati inoltre scritti originariamente in greco, la koinè ellenistica diffusa nell’ecumene mediterranea, e ciò corrobora la tesi che vede il Cristianesimo come fenomeno nato in un contesto ellenistico.
In molti aspetti la tradizione cristiana ha mutuato sin dall’inizio alcuni concetti greci. Non esiste in effetti nell’aramaico e nell’ebraico una parola equivalente al termine Logos, cioè al termine che designa il concetto iniziale dello stesso insegnamento cristiano – «in principio era il Logos». Ed è con il teologo e filosofo platonico Origene Adamanzio, direttore della scuola catechetica di Alessandria nonché discepolo del filosofo alessandrino fondatore del neoplatonismo Ammonio Sacca, che viene edificata l’intera costruzione della teologia cristiana – con la Sacra Trinità, la trascendenza del Creatore, e così via –, un edificio teologico fondato interamente sul platonismo.
Abbiamo già discusso nelle passate lezioni [1] della relazione tra il Logos di Apollo e l’insegnamento di Platone. Essi sostanzialmente si equivalgono. Detto altrimenti, il platonismo è la più compiuta e perfetta espressione del Logos apollineo. Ciò si riflette anche nell’elaborazione del dogmatismo cristiano, il quale essendo in continuità culturale con la tradizione pre-cristiana risulta centrato sull’apollonismo.
Tuttavia, accanto alla pura logica celestiale di Apollo, in alcuni dogmi cristiani possiamo rintracciare aspetti dionisiaci. Ad esempio nella cristologia, poiché Cristo unisce in sé due nature – umana e divina – e ciò costituisce qualcosa di dionisiaco, di dialettico. Anche nella Santa Trinità riscontriamo qualcosa di simile, essendo essa una e trina al contempo, presentando dunque una dialettica al suo interno. Lo stesso può dirsi per la relazione esistente tra Creatore e Creato: anch’essa è in qualche modo dialettica, giacché Creatore e Creato non rappresentano rispettivamente solo la causa e l’effetto ma sono intrecciati; Dio è presente all’interno della Creazione, e l’incarnazione di Cristo ne costituisce il momento più importante, rappresentando peraltro un ciclo marcatamente dionisiaco, con il Figlio di Dio che discende sulla Terra, muore, giunge al centro dell’Inferno, lo vince, libera le anime sante degli avi, quindi risorge e ascende insieme ad esse al Cielo.
Ogni aspetto della narrativa cristiana è dionisiaco in relazione a Cristo e apollineo relativamente alla struttura fondamentale del mondo in cui tali eventi hanno luogo. Ma con che tipo di Logos dionisiaco abbiamo a che fare? Abbiamo già spiegato nella quinta lezione che nella tradizione indoeuropea il baricentro di Dioniso non si colloca perfettamente al centro tra Logos apollineo e cibeliano, ma che è leggermente traslato verso l’alto rispetto alla linea di demarcazione tra Apollo e Cibele. Detto altrimenti, nella tradizione indoeuropea è presente una lettura apollinea di Dioniso; ciò è del tutto evidente nella figura di Cristo, la quale è priva di qualsiasi aspetto ctonico, negativo o notturno. La figura di Cristo è una figura dionisiaca purificata dal peccato, è apollin-dionisiaca – anche nella discesa all’Inferno al fine di vincere la morte, egli resta assolutamente puro.
Non vi è traccia del Logos di Cibele in questo contesto. La figura della Santa Vergine, la Madre di Gesù Cristo, richiama Demetra rappresentando la natura femminile purificata dagli aspetti terreni e ctonici – uno dei titoli che le vengono attribuiti è infatti quello di Madonna degli Angeli. La venerazione della Santa Madre, con la sua purezza e la sua verginità, costituisce dunque un altro elemento del tutto indoeuropeo.
Tutte le principali figure del Cristianesimo, apollinee o dionisiache, afferiscono alla classica struttura indoeuropea. Tutti questi elementi erano quindi presenti in altre forme ben prima del Cristianesimo, ma non nella tradizione semitica: essi costituivano i concetti di base del mondo ellenistico, noologicamente basato su una sorta di alleanza tra il Logos di Apollo e il Logos di Dioniso. E se alla periferia del mondo ellenistico erano anche presenti – sebbene non dominanti – aspetti ctonici, ossia tracce della pregressa cultura della Grande Madre, nel Cristianesimo al contrario non troviamo nulla del genere: esso rappresenta la riaffermazione di una versione pura del Logos indoeuropeo.
Abbiamo in definitiva a che fare con una religione e una teologia nella sostanza indoeuropee, caratterizzate dalla vittoria del patriarcato sul Logos di Cibele. Questo, come abbiamo già accennato, è anche il motivo per cui il Cristianesimo ha potuto affermarsi come tradizione europea: gli europei hanno potuto abbracciare il Cristianesimo poiché è come se essi fossero in qualche modo già cristiani prima di Cristo. Essi erano preparati alla Rivelazione. Il Cristianesimo si differenzia dalla tradizione pre-cristiana, ma in esso è evidente una certa continuità strutturale. La cristianizzazione non ha alterato l’orizzonte esistenziale della società europea, questo era anzi pronto a ricevere la Buona Novella. Nell’orizzonte esistenziale ellenistico tutto era pronto per abbracciare il Cristianesimo. Questo è un punto molto importante.
Da ciò che abbiamo detto, discende che il Cristianesimo non va inteso come una tradizione completamente nuova emersa nel corso degli ultimi duemila anni, ma come il proseguimento dell’antica tradizione indoeuropea. Certo, con ogni riforma della religione, della mitologia, della tradizione, della chiesa stessa, hanno fatto la loro comparsa nuovi elementi. Ma, nonostante tutto, l’essenza è rimasta la medesima. Con la Comunione, ad esempio, si è passati dal pane di Demetra e dal vino di Dioniso al pane e al vino eucaristici, rappresentanti il sangue e il corpo di Cristo. Dunque, sebbene sia certamente legittimo vedere una prefigurazione di Cristo nel Vecchio Testamento, possiamo altresì vedere – come fanno il filosofo Giustino, Clemente Alessandrino e Origene Adamanzio – una prefigurazione o meglio un’anticipazione dei misteri cristiani nei misteri greci.
Vi è una continuità anche nella struttura sociale, dal momento che nella società cristiana ritroviamo la stessa struttura trifunzionale indoeuropea, con i sacerdoti e i patriarchi, i re e i guerrieri, e infine i contadini – una struttura che per inciso si è preservata intatta fino all’alba della Modernità. Tale continuità ha riguardato anche i riti e le pratiche di culto, come pure in un certo senso la forma politica imperiale, su cui ci soffermeremo più avanti. Possiamo in sintesi affermare che strutturalmente esiste una unità e una continuità tra orizzonte esistenziale pre-cristiano e orizzonte esistenziale cristiano.
2. Alessandria e Antiochia
Allo stesso tempo, nel primo Cristianesimo esistono due centri di elaborazione della dottrina cristiana tra loro contrapposti: la scuola alessandrina e la scuola antiochena.
La scuola alessandrina fu fondata da San Marco evangelista e sviluppata da Clemente Alessandrino, Origene, i padri cappadoci come Basilio Magno, San Gregorio, e così via. Il suo asse concettuale era costituito dal neoplatonismo, il cui punto più alto è stato raggiunto da Dionigi l’Aeropagita, con la cui simbologia neoplatonica venivano spiegati i misteri cristiani (nelle sue opere si manifesta il puro platonismo cristiano). La tradizione alessandrina si basava su di una lettura simbolico-allegorica del Vecchio e del Nuovo Testamento, che porta a porre l’umanità di Cristo in secondo piano. Un tale tipo di lettura costituisce la norma per il platonismo, dato che l’insegnamento platonico tratta tutto ciò che esiste come simboli, icone, immagini delle idee e paradigmi, dunque ogni cosa – figure, eventi, persone – dovrebbe essere letta come un testo simbolico. Da ciò discende l’interpretazione allegorica come base per lo studio delle Sacre Scritture.
A differenza della scuola alessandrina, la scuola di Antiochia poneva a fondamento per l’interpretazione delle Sacre Scritture un approccio storico-letterario, il che porta tale scuola a rivendicare l’umanità completa di Cristo – il Cristo non viene considerato tanto una divinità quanto un santo, un profeta, l’ultimo salvatore, sussistendo una differenza e una opposizione tra i mondi materiale e spirituale. Per questo particolare tipo di approccio, si è soliti affermare che nella scuola antiochena si manifesti uno spirito semitico – a volte questa lettura del Cristianesimo viene denominata «giudeo-cristiana» – contrapposto allo spirito greco (platonico) che anima la scuola alessandrina.
Anch’io inizialmente, prima di studiare in maniera più approfondita questi aspetti, ritenevo fosse così. In effetti, la scuola di Antiochia si trovava in Siria, dove vivevano molte popolazioni semitiche. Ma dopo aver iniziato a studiare questa scuola e il fenomeno del giudeo-cristianesimo più nel dettaglio, e dopo aver redatto il volume dell’opera Noomachìa dedicato al Logos semitico [2], sono giunto alla conclusione che in realtà non è corretto affermare che la scuola antiochena sia semitica.
Qui è opportuno aprire una breve parentesi sul Logos semitico. Il Logos semitico è qualcosa di piuttosto differente da ciò che abbiamo visto finora. Esso si basa su una sorta di titanismo che si manifesta nel culto pre-giudaico di Baal, la principale divinità adorata dai cananei, una divinità titanica che richiedeva sacrifici di infanti. All’orizzonte culturale della Cananea si opponeva il giudaismo, che in un certo senso possiamo considerare anti-semitico. Alla tradizione semitica occidentale incentrata sul culto di Baal, i giudei contrapponevano il loro antico Dio, considerando Baal come una specie di divinità minore che lo aveva detronizzato. Ma né Baal, né l’antico Dio del primo giudaismo hanno a che fare col Cristianesimo. Nella scuola antiochena non ho in effetti rintracciato questo dramma intrasemitico tra tradizione semitica occidentale (siriana, aramaica, ecc.) e giudaica, ma qualcosa di completamente differente: la tradizione iranistica, l’iranismo nella sua pura forma.
Se consideriamo il tardo giudaismo, quello successivo all’esilio babilonese, del cosiddetto periodo del Secondo Tempio, possiamo facilmente identificare in esso aspetti iranici. Questo perché rappresenta una tradizione originariamente giudaica che successivamente è stata trasformata nel contesto iranico zoroastriano, subendo la grande influenza del Logos iranico sotto l’impero anchemenide. Ed è precisamente da quest’ultimo, come abbiamo accennato nella precedente lezione, che discendono i concetti di Messia, storia, Salvezza, Resurrezione. Questi erano tutti assenti nel giudaismo delle origini e vi fanno la comparsa solo nel periodo dell’esilio babilonese. Il tardo giudaismo può essere definito una forma iranizzata di giudaismo, e questo punto è molto importante nella nostra analisi.
È dunque più corretto definire la tradizione di Antiochia iranistica, oltre che dualistica e più avanti manichea, essendo tutti i tipi di tendenze messianiche il risultato logico del concetto di «guerra della luce» e della figura dell’Ultimo Re o Salvatore che apparirà alla Fine dei Tempi. Tutto questo ai nostri occhi è totalmente cristiano o tardo giudaico, ma proviene dalla tradizione iranica. Solo nella tradizione iranica tutto ciò ottiene un significato metafisico strutturale. Il messianismo non è metafisicamente giudaico, ma iranico; è la metafisica iranica che spiega il perché della storia e della guerra tra la luce e le tenebre.
È pertanto presente nel Cristianesimo una sorta di conflitto tra due poli: il platonismo greco advaita (non dualistico) rappresentato dalla scuola alessandrina, con una lettura delle Sacre Scritture allegorica, e una versione del Cristianesimo iranistica dvaita (dualistica), con una lettura storica e messianica. Entrambi questi poli possiedono inoltre versioni eretiche, che si collocano al di fuori dall’ortodossia dogmatica cristiana. La scuola di Antiochia ha generato Ario e Nestorio, mentre il radicalismo del platonismo alessandrino ha generato un estremismo opposto, l’eresia monofisita. Il monofisismo («una sola natura»), elaborato nel V secolo dal monaco bizantino Eutiche, negava la duplice natura di Cristo riconoscendo in Lui la sola natura divina; ciò costituiva una versione estremista del platonismo greco. Per contro, nel nestorianesimo troviamo una versione estremista dell’iranismo, che predica la totale separazione delle due nature di Cristo, per cui i nestoriani credono che Maria abbia generato solo l’uomo Gesù e non Dio. Si tratta di due estremismi eretici relativi a due legittimi orientamenti ortodossi, rappresentati da un lato dai padri cappadoci come Basilio Magno e San Gregorio (scuola alessandrina), e dall’altro da teologi e filosofi come Giovanni Crisostomo (scuola antiochena).
Ciò che è importante rilevare è che nel Cristianesimo abbiamo a che fare con la continuazione dell’orizzonte esistenziale ellenistico mediterraneo, con due poli – greco e iranistico. Esso rappresenta dunque una nuova forma dell’ideologia del tradizionale spazio indoeuropeo.
3. La condizione della donna
Questa continuità si manifesta anche nella condizione femminile.
Nel Cristianesimo individuiamo due approcci in relazione alla condizione della donna, entrambi di natura indoeuropea. Da un lato, vi è una forma di aniliginia, propria della società indoeuropea turanica, ma trasposta sul piano spirituale; ciò si manifesta in una sorta di uguaglianza spirituale tra uomo e donna in Cristo – San Paolo, a tal proposito, ha affermato che «non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Ciò implica il pieno riconoscimento della dignità dell’anima della donna, che viene posta sullo stesso piano dell’anima dell’uomo. Questa «uguaglianza dell’anima» richiama all’amicizia egualitaria turanica tra guerriero e guerriera. Potremmo dire che nel Cristianesimo uomo e donna sono entrambi guerrieri di Cristo.
Allo stesso tempo, sussiste un secondo genere di relazione tra uomo e donna, in cui si riflette la discesa degli indoeuropei nomadi sulla società matriarcale e la successiva «domesticazione di Cibele», e che si manifesta in altre affermazioni di San Paolo, secondo cui le mogli devono essere «sottomesse ai mariti come al Signore» (Ef 5,22) e per il quale «alla donna non è permesso di insegnare né di dominare sull’uomo» (1Tm2,12).
Vi è quindi, potremmo dire, una «gerarchia nell’uguaglianza», con la presenza di entrambe le versioni degli archetipi di genere tradizionali della società indoeuropea – ad un livello sottomissione gerarchica, ad un altro amicizia e uguaglianza nella dignità spirituale. Nella nostra tradizione, nel modo in cui il nostro spazio spirituale e culturale si è andato creando, durante lo sviluppo storico ed esistenziale, quella cristiana ha rappresentato la migliore soluzione possibile poiché ha soddisfatto entrambe le domande di uguaglianza e gerarchia nel modo più organico e naturale. E questo è il motivo per cui i popoli mediterranei ellenistici hanno accolto il Cristianesimo: in esso risuonava la loro (e nostra) stessa identità, un qualcosa che esisteva già prima che la tradizione cristiana emergesse e si consolidasse, e che quest’ultima ha preservato e rinnovato.
4. Ideologia imperiale e Catéchon
La continuità tra tradizione pre-cristiana e cristiana si manifesta inoltre nell’idea del Sacro Impero.
Il Cristianesimo, con Costantino il Grande, viene legittimato e diviene progressivamente ideologia imperiale. Ma oltre a ciò, fa il suo ingresso un concetto molto importante, anche questa volta di origine iranica: il concetto del Catéchon, dal greco τὸ κατέχον (tò katéchon), alla lettera «ciò che trattiene». Questa figura appare in un passo enigmatico della Seconda Lettera ai Tessalonicesi di Paolo di Tarso: «E ora conoscete ciò che lo trattiene (tò katéchon), affinché si riveli a suo tempo. Infatti il mistero dell’iniquità (tò mystérion tês anomías) è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene (ho katéchon).» (2Tess, 2, 6-7). Solo allora l’empio, il figlio della perdizione, sarà rivelato. Il Catéchon è dunque quella figura che si oppone alla venuta dell’Anticristo. Tale figura si inscrive in una visione non platonica ma piuttosto storica, messianica del Cristianesimo. Non a caso essa è una figura chiave nella sequenza istoriale iranica, nel Logos dualistico iranico, nel quale viene rappresentata dal Re sacro chiamato a combattere le forze dell’oscurità e ad impedire che esse invadano il mondo. Abbiamo pertanto a che fare con una figura puramente iranica, inesistente nella concezione greca – per contro nell’ideologia romana, a seguito delle influenze iraniche presenti nella cultura ellenistica che andrà a costituire la base culturale dell’Impero romano, appare qualcosa di simile anche se non così chiaramente definita.
La figura del Catéchon, del «frenatore» menzionata da Paolo di Tarso, è stata in seguito identificata da Giovanni Crisostomo – rappresentante di quello che abbiamo definito ramo iranistico della teologia cristiana, cioè la scuola antiochena, e questo è significativo – con l’Impero romano.
La Fine dei Tempi, la Resurrezione, la grande apostasia – tutta la visione ciclica e storica della Chiesa cristiana è basata su questa figura. Soprattutto in Bisanzio, ma non solo. Nello spazio esistenziale bizantino, il Catéchon viene identificato con l’Imperatore cristiano. Egli era considerato essere una sorta di vescovo esterno alla Chiesa, la figura chiave del Sacro Impero che lotta contro la venuta dell’Anticristo. E, insieme al Patriarca, costituisce la cosiddetta «sinfonia dei poteri» (simfonija vlastej), basata sull’alleanza tra Sacerdotium, l’autorità spirituale, e Imperium. L’impero dunque ottiene una nuova dimensione. Non è semplicemente una organizzazione politica, ma viene considerata un’organizzazione sacra, cristiana. Una organizzazione della realtà politica apollinea.
Anche l’Imperatore, essendo il Catéchon, non era considerato solo un governatore secolare, ma rappresentava una figura sacrale. Ed è precisamente l’Imperatore cristiano, il Catéchon, ad essere simmetrico all’Anticristo. Il dualismo non è tra l’Anticristo, il figlio della perdizione come lo chiama Paolo di Tarso, e Cristo – poiché Cristo è Dio, non può essere messo sullo stesso piano dell’Anticristo – ma tra Imperatore e Anticristo. Il Catéchon è l’ostacolo, la resistenza. Una figura simbolica che unisce il mondo cristiano e dà ad esso il suo asse verticale. Egli costituisce dunque una figura molto importante, anch’essa continuatrice di una tradizione pre-cristiana.
Se mettiamo insieme tutti questi elementi – verticalità apollinea, natura dionisiaca di Cristo, messianismo storico dell’iranismo, figura del sacro imperatore (Catéchon) – otteniamo un insegnamento che in realtà non è nuovo ma costituisce una nuova forma in cui si riflettono tutti gli elementi che preesistevano al Cristianesimo. In altri termini, ribandendo quanto abbiamo affermato in precedenza, nel Cristianesimo ritroviamo l’eterno momento della Noomachìa dello spazio esistenziale indoeuropeo.
In questo contesto, le forze ctoniche sono rappresentate dalla figura di Satana, così come Babilonia la Grande rappresenta la Grande Madre, Cibele. Troviamo inoltre il serpente, che tradizionalmente è il consorte della Grande Madre. Queste forze cercano di rovesciare l’Impero cristiano, posto sotto il potere della figura spirituale del Patriarca e dell’Imperatore sacro. Simbolicamente, dunque, nel contesto cristiano sono presenti tutti e tre i Logoi. Il Cristianesimo si basa sulla vittoria su Satana, che viene incatenato e messo sotto il controllo dell’Impero. La civiltà cristiana non è stata infatti costruita sul nulla; è stata costruita sulle spalle di Satana, sulle spalle del potere ctonico domesticato e sottomesso dal Logos di Apollo. La figura dell’Imperatore, del Czar, costituisce una sorta di suggello a questa vittoria della Chiesa cristiana sul mondo satanico e cibeliano. Ma Satana, incatenato agli Inferi, è sempre vivo. E quando l’Imperatore diverrà troppo debole per resistervi – questo è anche il soggetto del racconto classico iranico – apparirà l’Anticristo: con la rimozione del Catéchon, il figlio della perdizione si libererà dalle catene che lo tengono imprigionato agli Inferi e giungerà nella società umana. E ciò rappresenterà l’esplosione del sottosuolo, il ritorno della dominazione di Cibele, la restaurazione di Babilonia la Grande, ecc., che distruggerà la Chiesa e creerà una civiltà completamente nuova appartenente ad un altro livello esistenziale.
5. Ortodossia e Chiesa cattolica
Quella che abbiamo appena descritto costituisce la normale visione del mondo nell’Ortodossia Cristiana. Essa si è preservata molto più nella Chiesa orientale, nella tradizione bizantina, dove continua a rappresentare la norma, tanto che se oggi ci recassimo al Monte Athos, vi troveremmo persone che condividono la stessa autocoscienza e ripeterebbero esattamente ciò che abbiamo appena detto. I monaci del Monte Athos continuano a condurre questa lotta contro i demoni. E se leggessimo Padre Paisios, potremmo renderci chiaramente conto di come questa lotta acquisisca anche una dimensione fisica. In altre parole, non abbiamo a che fare solo con metafore, ma con una lotta fisica contro le forze dell’oscurità.
Nel punto di vista Ortodosso affiorano le radici indoeuropee del Cristianesimo. In effetti, la prospettiva Ortodossa non si riduce solo alla Chiesa e al culto, ma corrisponde ad una completa visione del mondo che attualizza l’ideologia indoeuropea in una nuova forma, con disposizioni normative in campo sociale e politico – una sorta di monarchismo per cui non si può essere di norma democratici se si è cristiani, ma si dovrebbe in qualche modo riconoscere la validità dell’insegnamento del Catéchon –, relazioni normative tra uomo e natura, e così via. E, nei consessi in cui l’Ortodossia tradizione si è preservata – sul Monte Athos, ma anche in Serbia, in Bulgaria, in Macedonia, in Romania, in Ucraina, in Grecia, ecc. –, riscontriamo a tutt’oggi la stessa visione, la stessa cultura, la stessa civiltà.
Anche nel caso della Chiesa Latina abbiamo questa visione, ma con un accento maggiore posta sul potere dell’autorità spirituale, che viene collocata al di sopra dell’autorità regale. La tendenza dominante nel cattolicesimo era l’opposizione tra i «due regni» formulata dall’ex manicheo Sant’Agostino [3], per cui il Papa di Roma rappresentava la verticalità spiritale ancora una volta di natura indoeuropea, mentre i Re non erano sacri ma del tutto secolari. Pertanto al posto della «sinfonia» vi era l’idea che fosse il sacro Papa romano a dover governare su di essi.
Tuttavia, con un atto che ai nostri occhi ortodossi appare un’usurpazione, nell’800 Carlo Magno viene da Papa Leone III incoronato imperatore, titolo che non era stato mai più usato in Europa Occidentale dopo la destituzione di Romolo Augusto nel 476. Noi non riconosciamo lo status di imperatore a Carlo Magno, poiché al tempo riconoscevamo l’imperatrice bizantina Irene d’Atene, considerando l’Impero bizantino l’unico e legittimo discendente dell’Impero Romano; ma il fatto che il trono romano fosse occupato da una donna spinse il Papa a considerarlo vacante, e questo portò a quella che noi definiremmo una usurpazione del trono imperiale. In questa sede però non stiamo discutendo su chi in tale disputa fosse nel giusto e chi nel torto; ci interessa piuttosto rimarcare come anche nel mondo cristiano dell’Europa Occidentale abbia fatto il suo ingresso con Carlo Magno la figura dell’Imperatore accompagnata da una certa idea di Catéchon e come questa tradizione catecontica cristiana occidentale si sia rinnovata dall’inizio del IX secolo nella tradizione imperiale dei Re dei Franchi fino all’Impero Asburgico, considerato l’ultima manifestazione del Catéchon in Europa Occidentale.
E, sebbene nella tradizione cattolica sussistesse una divisione tra Imperatore e Papa, che si rifletteva nel conflitto tra guelfi filopapisti e ghibellini filoimperiali, e nonostante la linea imperiale non fosse molto ben accetta dal Papa di Roma, è interessante notare come anche i guelfi, i partigiani del potere assoluto del Papa romano sui Re secolari dell’Europa Occidentale, e in definitiva la Chiesa occidentale stessa riconoscessero ugualmente lo status del Cathécon all’Imperatore, anche se non nei termini più chiari propri dell’interpretazione ghibellina.
Così, abbiamo due versioni della civiltà cristiana. In quella Orientale, più vicina alla versione originale, tutte le proporzioni si sono conservate fino ad oggi; in questa ininterrotta tradizione cristiana orientale, il retaggio indoeuropeo di provenienza ellenistica si è preservato fissandosi nella forma dei primi sette concili ecumenici. Vi è poi la oserei dire più contraddittoria tradizione cristiana occidentale. Mentre Bisanzio rimane più in linea con il platonismo, a Roma prevale l’eredità dualistica (non dimentichiamo che Sant’Agostino era un ex manicheo). Ma nonostante ciò, nel complesso la tradizione cristiana si è preservata in entrambe le versioni orientale e occidentale (nel Cattolicesimo al più fino al Concilio Vaticano II).
6. Protestantesimo
Il collasso avviene col Protestantesimo, terzo ramo del Cristianesimo. È interessante notare come all’origine del Protestantesimo vi siano idee corrette. Anzitutto, vi era la denuncia della totale corruzione che albergava nella Chiesa romana e di come essa avesse «usurpato» la relazione tra Uomo e Cristo. Questo è un riflesso di come la Chiesa viene concepita nel Cattolicesimo: essa viene fatta corrispondere alla comunità dei soli sacerdoti, escludendo di fatto tutti gli altri, i quali vanno a costituire una sorta di circolo esterno attorno alla Chiesa costituito dai «quasi-cristiani». A noi ortodossi una tale immagine risulta bizzarra, poiché per la concezione dogmatica ortodossa la Chiesa è la comunità non solo dei sacerdoti ma di tutti i battezzati. Nella tradizione cattolica al contrario è presente una sorta di gerarchia, intesa in senso spirituale, che interrompe la relazione diretta tra il cristiano ordinario e Dio facendola passare attraverso il clero e il Papa romano, che in questa relazione funge da intermediario. Gli anticipatori di quella che poi venne denominata Riforma Protestante, in particolar modo i mistici tedeschi come Meister Eckhart, Enrico Suso e altri, affermarono per contro l’esistenza di una relazione intima e diretta tra il cuore dell’uomo e Cristo, relazione che non dovrebbe passare per il tramite di un’istanza esterna.
Nella tradizione ortodossa questo problema non si pone poiché in essa, data la diversa concezione della Chiesa nell’Ortodossia, vengono riconosciute sia la completa autorità della Chiesa sia la relazione diretta tra uomo e Cristo. Al contrario, nella tradizione cristiana occidentale, questo problema è effettivamente presente. A questo, i mistici pre-protestanti risposero affermando la diretta relazione tra noi e Dio, che Dio può parlare dentro di noi e che ciò costituisce la nostra dimensione interna. In questo essi furono effettivamente platonici e in un certo senso più vicini agli ortodossi, ed è tale concetto radicale del rapporto personale tra l’uomo e Cristo, da alcuni di essi chiamato della «luce interiore» o «Cristo interiore» che vive nel cuore dell’uomo, all’origine del protestantesimo.
Tuttavia, l’originaria restaurazione della pura dimensione spirituale nel Cristianesimo si è presto degradata in una versione titanica dello stesso. In una sua deviazione. Nell’affermare con Lutero e Calvino questo insegnamento, i protestanti hanno rotto con la tradizione stessa, privandosi delle icone, dei monasteri, della Chiesa in quanto tale. Nel tentativo di liberare il diretto accesso da parte dell’uomo verso Dio, essi hanno distrutto la sacralità stessa, sostituendo ciò che potremmo chiamare «soggetto radicale» – il sé interiore divino che vive all’interno della nostra anima, una estrema radicale interiorità al centro del nostro cuore dove vive Cristo – con una «individualità profana», esteriore, un «soggetto positivo». Ciò ha condotto ad una forma di «individualismo religioso» che ha preso il posto della dimensione mistica iniziale, poiché quando il protestantesimo inizia a espandersi, esso fa appello alle masse, che non possono avere questa particolare esperienza interiore. Così, partendo da un punto iniziale legittimo sostenuto dei primi protestanti o dai pre-protestanti, si è giunti alla distruzione della società cattolica tradizionale e ciò ha rappresentato qualcosa di completamente titanico. Una totale perversione.
Il protestantesimo ha segnato il passaggio dal «terzo uomo» al «secondo uomo» nel linguaggio mistico di Giovanni Taulero – per Taulero l’uomo è composto da tre uomini: il primo è l’uomo esteriore o l’animale sensibile, il secondo è l’uomo ragionevole con le sue facoltà razionali, il terzo è il Gemüt, cioè l’uomo misterioso nascosto all’interno della nostra anima, il soggetto radicale che è in relazione con Dio – affermando la dignità di qualcosa che non può averla, poiché non vi è possibile diretta relazione tra il «secondo uomo», il soggetto positivo, e Dio. Dovrebbe esservi sempre un qualche intermediario. Una relazione diretta è impossibile, e la pretesa di avere questa diretta relazione è titanica. In questo passaggio è avvenuta una trasformazione del Logos stesso.
Detto altrimenti, se nel primo protestantesimo abbiamo la legittima rivendicazione ad avere una relazione diretta tra il «terzo uomo» di Taulero e Dio, nel protestantesimo normale, nel protestantesimo profano, riscontriamo un approccio completamente differente, che si è rivelato fatale. Questo titanismo, apparso nell’insegnamento luterano ma soprattutto in quello calvinista – ben peggiore del luteranesimo poiché si basa sulla radicale assenza di ogni sacralità nel mondo e sulla glorificazione del «secondo uomo» come il solo esistente, e ciò costituisce qualcosa di totalmente profano –, ha portato alla distruzione della società tradizionale e alla primissima affermazione della moderna civiltà post-cristiana.
Il protestantesimo ha rappresentato una breccia fatale nel grande muro della civiltà cristiana che ha coinciso con la distruzione della tradizione cristiana occidentale.
7. Conclusione
La prossima lezione verterà sull’analisi noologica della modernità. Tuttavia, già da ora possiamo in modo molto sintetico dire qualcosa su ciò che la decristianizzazione della società moderna ha rappresentato. Essa non è stata altro che la distruzione del Logos apollineo e del suo alleato dionisiaco, cioè del patrimonio indoeuropeo. Una catastrofe molto più profonda della sola caduta del Cristianesimo poiché ha rappresentato la caduta di un Logos che era nostro da ben prima. Si è trattato della distruzione di ogni forma di verticalità e dell’irruzione del potere titanico nell’orizzonte esistenziale europeo. Escatologicamente, ha coinciso con la reale venuta dell’Anticristo, la liberazione di Satana dalle catene dell’Inferno.
La vittoria del Logos di Apollo, coadiuvato dal Logos di Dioniso, sul Logos di Cibele ha dato inizio alla nostra civiltà. E per migliaia di anni abbiamo vissuto in questo momento della Noomachìa, nella vittoria della luce sulle tenebre. Un momento della Noomachìa che, come abbiamo visto in questa lezione, non è iniziato con il Cristianesimo, ma è continuato in esso. Per migliaia di anni abbiamo vissuto nel «regno della luce», con tutti gli aspetti drammatici insiti in questa Noomachìa, di questa battaglia. La modernità segna al contrario il passaggio ad un nuovo momento della Noomachìa. Con la decristianizzazione irrompe qualcosa di assolutamente radicale da un punto di vista noologico e geosofico. Nella prossima lezione andremo a vedere di cosa si tratta.
[1] Di seguito, l’indice di tutte le lezioni precedenti del corso introduttivo alla Noomachìa:
• Lezione 1. Noologia https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-1-noologia-la-disciplina-filosofica-delle-strutture
• Lezione 2. Geosofia https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-2-geosofia
• Lezione 3. Il Logos della civiltà indoeuropea https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-3-il-logos-della-civilta-indoeuropea
• Lezione 4. Il Logos di Cibele https://www.geopolitica.ru/it/article/il-logos-di-cibele
• Lezione 5. Il Logos di Dioniso https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-5-il-logos-di-dioniso
• Lezione 6. La civiltà europea https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-6-la-civilta-europea
[2] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Civilizacii granic. Semity. Monoteizm Luny i Geshtal't Va'ala (Noomachìa: guerra della mente. I semiti. Monoteismo della Luna e Gestalt di Baal), Academic Project, Mosca 2017.
[3] Esistono due città, secondo Sant’Agostino, nella cui intersezione si svolge la vicenda umana: la città celeste (Civitas Dei, il regno spirituale, la sfera della redenzione, della Chiesa e di quanti vivono secondo Dio) e la città terrena (Civitas Mundi, il governo secolare in cui luce e tenebre s’intrecciano). [NdT]
Trascrizione e traduzione a cura di Donato Mancuso.