Il valore dell'identità

07.11.2016

Il tempo del politicamente corretto è anche il tempo dei grandi problemi ed accadimenti storici che stiamo vivendo: dalla crisi economica alle nuove ondate migratorie dall’Africa verso l’Europa, per arrivare al terrorismo internazionale ed alle diverse guerre disseminate su tutto il globo.

Nel caos che sembra avvolgere le vicende umane sono molteplici gli argomenti e le questioni che si potrebbero porre, eppure vorremmo invitare a una riflessione in merito a quella che sembra essere la vittima designata di questo ardente desiderio di nichilismo, ossia l'identità.

Guardiamoci intorno: la peggiore concezione del divenire, del "tutto passa e muta" sotto un cielo che non è mai lo stesso, ha ormai invaso ogni spazio della vita privata e sociale degli uomini. Sembra proprio che oltre i desideri mutevoli del momento del singolo non vi sia nulla che possa contare davvero qualcosa e che tutto sia divorato dall'utile, dal profitto e per dirla in parole molto in voga in certi circoli anti-sistema dalla voracità del capitale.

Il capitalismo, la turbo finanza - come spesso abbiamo sentito definire lo stadio capitalistico che stiamo attraversando - sembra procedere senza sosta, divorando non solo la ricchezza dei singoli e delle nazioni, ma anche l'idea stessa di nazione, di radici, di cultura dei popoli e dei singoli, ovvero cancellandone le identità.

Sicuramente il sistema economico, così come lo conosciamo, presenta delle falle e molti elementi nocivi per la tenuta sociale delle comunità, ma ad esso si accompagna - non necessariamente causata dall'aspetto economico - un'idea dell'uomo, del tempo e della storia totalmente differente da quella che nel corso dei millenni l'uomo ha elaborato e sulla quale ha impostato e vissuto i propri orizzonti di senso.

Parliamo quindi di quell’idea, quel modo di essere, vivere e sentirsi figli dei propri padri – non solo biologici - chiamati a vivere il presente partendo da ciò che si è costruito in passato, proiettandosi verso il futuro con la consapevolezza di essere ben radicati nella vita e nel tempo.

Culture, civiltà e valori ad esse collegate hanno per millenni accompagnato la vita di ogni singola persona, aiutandola ad affrontarne le innumerevoli sfide, ma anche le gioie, facendola sentire parte di una “storia più grande”.

L’appartenenza, per quanto ripudiata in nome di una vaga ed astratta libertà che pretende di esulare gli individui dalle responsabilità, atteggiamento così in voga nei nostri giorni, è risultata per millenni costitutiva per ogni vita ed avventura umana. Eppure, attraverso un processo lungo il nichilismo delle idee e dei valori ha cominciato ad erodere ed attaccare queste certezze, realizzando sintesi apparentemente improbabili tra materialismo e spiritualismo, sacro e profano, reale ed irreale.

Le giuste battaglie per i diritti civili ed i progressi sociali che nel corso della storia hanno portato ad un miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo, sono state usate costantemente come grimaldello per abbattere quanto di buono restava anche in culture e modi di essere bollati come “retrogradi”. Così per ogni passo compiuto in avanti ne sono stati fatti, lentamente ed a volte inconsapevolmente per i più, almeno il doppio all’indietro. 

Una visione concreta di quanto appena esposto la denunciano con sempre più vigore filosofi e studiosi provenienti da culture distanti, ma che cercano di richiamare l’uomo alla sua umanità e al non essere oggetto tra gli oggetti, riducendosi a schiavo della tecnica. In nome della libertà e della libertà di pensiero ogni giorno vengono messe al bando le idee non ritenute valide e soprattutto utili dal pensiero unico e dal mercato. Sarebbe un paradosso banalissimo e semplicissimo da riconoscere, se non fossimo così sradicati da noi stessi e dal pensarci e viverci come comunità.

Capita, pertanto, che in questo mondo tremendamente affollato di solitudini che forse nemmeno si sfiorano, assistiamo alle guerre tra poveri e a diseguaglianze sociali e culturali da far accapponare la pelle. Torniamo, quindi, all’identità: se ne denunciano le nefandezze perché la sua difesa è spesso presentata come non-cultura e prologo del razzismo e ostacolo per il dialogo tra popoli e culture. Eppure è proprio l’identità di ciascuno ad essere alla base di ogni dialogo. Se non ci riconosciamo per quello che siamo come possiamo pretendere di incontrarci? 

Spesso vengono poi accusati di razzismo quanti hanno fatto della propria vita una ricerca costante di conoscenza ed incontro solo perché in questi tempi di grandi migrazioni e fallimenti a ripetizione dei modelli storici del multiculturalismo (su tutti quello francese) “osano” provare a far notare che le comunità colpite dalla crisi valoriale, sociale ed economica non riescono ad accogliere tutti coloro che sono in cerca di una nuova casa. E’ sempre accaduto e sempre, secondo il mio modestissimo avviso personale, accadrà.

Ma questa è solo una prima considerazione che porta ad seconda domanda un po’ più “forte”, ma fondamentale. Essa rappresenta una sfida ed un interrogativo che la cultura europea deve porsi prima che sia troppo tardi, ovvero se vuole continuare ad esistere come civiltà. Oltre ogni retorica: ha ancora valore per noi uomini e donne di questo secondo millennio sentirci europei e cristiani (non bisogna per forza essere credenti per esserlo) oppure vogliamo diventare qualcosa di diverso?

Sia chiaro: non si nega qui l’incontro che sempre c’è stato tra le diverse culture dell’Europa con quelle del Mediterraneo e dell’Asia, ma di ciò che da millenni ha contraddistinto e garantito proprio quell’apertura verso l’altro da noi.

Chi ci chiede aiuto - come ben sa ogni “emigrante” lontano dalla propria Patria – non rinuncia alla propria storia, al proprio senso del sacro, alle proprie tradizioni e soprattutto non potrà “integrarsi” mai pienamente in ciò che non si fa riconoscere. Dove c’è il nulla, imperano il caos ed il contrasto ed è proprio così che senza identità si lascia spazio a disvalori, a terrore, sfruttamento e rabbia.

Se non apriamo gli occhi su ciò che noi siamo stati, siamo e su ciò che vogliamo essere corriamo il rischio di accogliere migliaia e poi milioni di persone da destinare, ad esempio, alla schiavitù moderna del precariato in nome del profitto ed alimentare al contempo la guerra tra poveri in cerca di una nuova Patria e poveri che hanno smarrito interiormente la propria “Patria”.

La speranza nel domani passa per la necessaria esigenza di non rinnegarsi per re-incontrarsi e ri-scoprirsi ed essere di nuovo Comunità. Solo così ogni incontro ed accoglienza vera e non mediatica sarà possibile.