Il nuovo comunitarismo di Costanzo Preve
Questo saggio intende presentare e discutere la teoria comunitarista elaborata negli ultimi anni dal filosofo torinese Costanzo Preve, la cui particolarità sta nel collocarsi, diversamente da altre elaborazioni analoghe, nel solco della filosofia politica comunista. Nell’introduzione, sarà esposta brevemente il ruolo e la posizione di questa teoria all’interno del percorso filosofico di Preve, in particolare facendo riferimento al testo di riferimento fondamentale: Elogio del comunitarismo[1]. Si passa poi ad una definizione storica, ossia le radici del comunitarismo, ovvero le sue coordinate storiche, dalla filosofia greca all’idealismo tedesco. Poi ad una definizione negativa, vale a dire in relazione alle patologie e agli avversari del comunitarismo, ovvero il suo confronto con le altre grandi “famiglie politiche”: comunismo, fascismo, liberalismo. Da qui ne emerge, infine, nella conclusione una sua definizione più concisa e positiva.
Verso un “nuovo” comunitarismo
Sarei allora già contento che fosse un buon saggio “battistrada” di futuri lavori che si muovessero in questa direzione […].Questo elogio del comunitarismo intende contribuire ad una discussione che è appena agli inizi. Altri verranno dopo di noi e faranno certamente meglio di noi, perché meno invischiati in contenziosi con il recente passato novecentesco.
In realtà, avevo originariamente l’intenzione di usare l’espressione “nuovo comunitarismo”, per marcare con l’aggettivo “nuovo” il rifiuto delle vecchie forme di comunitarismo che hanno cosparso la storia dell’Occidente.
una ragionevole e praticabile nozione di “comunità” (koinonia) ci è stata tramandata dai nostri maestri greci, ed in particolare (ma non solo) da Aristotele, e percorre come un filo rosso tutto il pensiero occidentale fino a giungere alla nozione di “etica sociale” (Sitten, Sittlichkeit) in Hegel e di “comunità” (Gemeinwesen) nello stesso Marx
Aristotele, Hegel, Marx
L’intera storia della tradizione filosofica occidentale può essere ricostruita senza alcuno sforzo o deformazione unilaterale sulla base della categoria di comunità. Ed anzi, se facciamo un rapido esame comparativo tra la nascita della filosofia nell’antica Grecia (Parmenide) e nell’antica Cina (Confucio), in cui è dimostrata la totale assenza di rapporti reciproci diretti o indiretti, vediamo che in tutti e due i casi al centro dell’attenzione dei filosofi sta la “ricomposizione ideale” di un intero comunitario nel frattempo corrotto e dissolto, in vista di una nuova armonia comunitaria da ricostruire razionalmente e senza più ricorrere all’autorità dei miti cosmogonici precedenti.
è sempre un Nulla di Comunità, un’assenza di significati sociali e umani relazionali, un pericoloso e doloroso sprofondamento nell’insensatezza.
Alla minaccia di insensatezza si risponde con proposte differenziate di ristabilimento della sensatezza, sempre e solo su base comunitaria. Pitagora, Parmenide, Protagora, Socrate, Platone, Aristotele, sono tutti momenti di un unico problema, la sensatezza del fondamento della comunità.Aristotele tira i fili di questo dialogo durato tre secoli, proponendo una visione integralmente comunitaria della convivenza umana e sociale. Respingendo la tentazione eugenetica, ben più pericolosa per la comunità delle pensiero sociale sull’uomo.[16]
L’uomo misura di tutte le cose è allora l’uomo per natura sociale e politico, quindi comunitario (politikòn zoon) ed ancora l’uomo per sua natura dotato di linguaggio, azione e capacità di calcolo (zoon logon echon).[17]
Lo sviluppo intrecciato di queste cinque categorie, apparentemente del tutto innocue, produce la piattaforma teorica più individualistica ed anti-comunitaria di tutta la tradizione filosofica occidentale. Ci voleva una reazione, un raddrizzamento comunitario, che venne puntualmente […]. I quattro nomi fondamentali […] sono Rousseau, Fichte, Hegel ed infine Marx.
Ben prima di Marx, è stato certamente Rousseau ad aver sostenuto in modo rigoroso che il ristabilimento della comunità umana che si era storicamente consumata e dissolta non poteva che avvenire per via rivoluzionaria.[21]
Nell’interpretazione comunitaristica che ne dava Hegel, il contenuto sociale che lo stato doveva sviluppare e garantire era in primo luogo l’istituzionalizzazione giuridica dei “costumi” (Sitten), tanto è vero che lo stato stesso era concettualmente incorporato in quella che è generalmente tradotta in italiano come eticità (Sittlichkeit). Ma eticità significa soltanto etica sociale, comunitaria […].
Il comunitarismo di Hegel si fonda dunque […] su di un’etica comunitaria dei costumi sociali compresi e condivisi.[22]
Il punto di partenza filosofico di Marx è una sorta di universalismo politico di tipo stoico, e dunque necessariamente astratto, in cui si persegue una “comunità ideale” in grado di cancellare quelle alienazioni che rendono impossibile all’uomo il raggiungimento della propria natura “generica”, cioè libera e creatrice […].Nello stesso periodo, Marx si convince che il “comunismo”, questa utopia universalistica dell’emancipazione dell’ente naturale generico dall’alienazione, non sia solo un auspicio astratto, ma un vero e proprio “movimento reale che abolisce lo stato delle cose presenti”, e che il proletariato ne sia il portatore storico empirico.[25]
La tradizione filosofica occidentale, così come ho cercato di ricostruirla, non ha per nulla falsificato e messo agli archivi l’idea e la pratica del comunitarismo. Al contrario. Ci ha però consegnato una concezione dialettica, problematica e ambivalente di esso, che non ci permette più di compiere indebite semplificazioni.[27]
Comunismo e comunità
“Comunismo” significa, infatti, in primo luogo “mettere in comune”, ossia mettere in comunità, il sapere, il potere e quindi anche il reddito e il consumo. Il semplice livellamento coatto dei consumi, attuato con metodi politici e polizieschi, in permanenza ed anzi in allargamento dei differenziali di sapere e di potere sociale dovuti alla divisione sociale e tecnica del lavoro, è qualcosa di temporaneo e che non può riprodursi a lungo se non con forme di dittatura sociale e minoritaria.
Mi considero un allievo indipendente di Marx […], condividendone nell’essenziale l’utopia emancipativa universalistica ed il fatto che essa sia incompatibile con una strutturazione classista della società.
I falsi comunitarismi
Di fronte alla cattiva comunità, la comunità organica, colonialista, espansionista, razzista, persino l’individualismo atomistico sradicato può essere migliore, ed è di fatto migliore. Almeno, lascia la gente nella sua solitudine insensata, ma non ne distrugge gli autonomi progetti di vita, di matrimonio e professionali.[37]
La critica radicale e senza compromessi al fascismo e al nazionalsocialismo, fatta in nome di un principio comunitario, deve essere condotta in modo assolutamente indipendente dalla retorica dell’antifascismo politicamente corretto. Questo antifascismo è solo un insieme di ideologie di legittimazione, posteriore al 1945 e quindi in totale assenza di fascismo, nel frattempo già morto, seppellito e non più seriamente proponibile.[40]
Hitler non è stato una “eccezione demoniaca”, ma la punta dell’iceberg della deriva nazionalista, razzista ed eugenetica che ha interessato l’intera storia europea degli ultimi due secoli.[43]
Il comunitarismo e i suoi nemici
Nello spazio sacro, che si identificava di fatto con lo spazio dei proprietari, venivano elaborate reali tecniche giuridiche e politiche di tutela non solo del nudo fatto della “proprietà privata” […] ma anche di tutela e garanzia delle libertà di espressione e di comunicazione […].Nello spazio profano, in cui erano inserite sia le masse interne dei poveri e dei salariati da tenere sotto controllo […] che le masse esterne dei popoli da colonizzare, sfruttare ed espropriare, i grandi teorici del liberalismo classico hanno sempre volutamente praticato due pesi e due misure.
Il mondo attuale, che si presenta come una liberaldemocrazia fondata sulla religione universalistica dei Diritti Umani, è in realtà un totalitarismo dell’economia gestito da una oligarchia politica che si legittima mediante referendum periodici che presuppongono la totale impotenza progettuale degli oppositori […] forte della dittatura di grandezze e di forze rigorosamente anonime e impersonali, e pertanto insuperabili (i “mercati”, la “produttività”, la “concorrenza internazionale”, l’“invecchiamento della popolazione”, l’“insostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale e di assistenza pensionistica”, eccetera).
Conclusione