Il nuovo comunitarismo di Costanzo Preve

Questo saggio intende presentare e discutere la teoria comunitarista elaborata negli ultimi anni dal filosofo torinese Costanzo Preve, la cui particolarità sta nel collocarsi, diversamente da altre elaborazioni analoghe, nel solco della filosofia politica comunista. Nell’introduzione, sarà esposta brevemente il ruolo e la posizione di questa teoria all’interno del percorso filosofico di Preve, in particolare facendo riferimento al testo di riferimento fondamentale: Elogio del comunitarismo[1]. Si passa poi ad una definizione storica, ossia le radici del comunitarismo, ovvero le sue coordinate storiche, dalla filosofia greca all’idealismo tedesco. Poi ad una definizione negativa, vale a dire in relazione alle patologie e agli avversari del comunitarismo, ovvero il suo confronto con le altre grandi “famiglie politiche”: comunismo, fascismo, liberalismo. Da qui ne emerge, infine, nella conclusione una sua definizione più concisa e positiva. 

 
Stante la ridotta mole della bibliografia primaria rilevante, e la quasi totale assenza di bibliografia secondaria, riferimenti bibliografici saranno direttamente in nota, ogniqualvolta necessario o utile. Lo stesso vale per eventuali commenti dell’autore del saggio su singoli punti.

Verso un “nuovo” comunitarismo

Costanzo Preve, nato a Valenza (AL) il 14 aprile 1943, ha avuto una formazione eclettica: studiando scienze politiche a Torino (con Galante Garrone e Bobbio), filosofia a Parigi (con Hyppolite, Sartre, Althusser e Garaudy), germanistica a Berlino Ovest e letteratura neogreca ad Atene. Successivamente, ha avuto, fino al 1991, contemporaneamente al suo insegnamento nei licei a Torino, una fase di forte impegno politico e culturale. In questo periodo, Preve, come altri intellettuali impegnati della sua generazione, ha seguito un percorso politico nella sinistra extraparlamentare, militando, dopo una breve adesione al PCI, in Lotta Continua e poi Democrazia Proletaria. A queste posizioni politiche, eterodosse rispetto a quelle del comunismo italiano, egli ha sposato interessi di studio e ispirazioni intellettuali altrettanto “dissidenti” all’interno della tradizione filosofica marxista: Lukács, Bloch, Adorno, e in particolare Althusser.
 
Il crollo del socialismo reale in Unione Sovietica e nella maggior parte dei Paesi satelliti, a causa di una serie di cause interne ed esterne, ha indotto il filosofo torinese ad abbandonare la politica, per dedicarsi ad una lunga riflessione critica e filosofica sulle cause del fallimento politico del fenomeno da lui definito «comunismo storico novecentesco». In questa fase, tra il 1990 e il 2010, egli è stato particolarmente prolifico, con circa 70 saggi pubblicati nell’arco di questo ventennio. Partendo dalle sue conclusioni in merito – e tenendo costantemente presente gli sviluppi propri di un’epoca di transizione, come è quella degli anni ’90 e 2000 –, Preve è arrivato a ritenere superate le etichette politiche di “destra” e “sinistra” (ma non la definizione di “comunista”), e a sostenere la necessità di un nuovo modello sociopolitico e filosofico anticapitalista, che vada oltre le teorizzazioni del marxismo classico e novecentesco.
 
La sua produzione può quindi essere divisa sia per fasi storiche susseguenti, sia per filoni tematici paralleli. Nel primo caso, la teoria comunitarista si colloca proprio in quest’ultima fase del pensiero di Preve. Nel secondo, essa non fa parte né dei testi di riflessione sul marxismo, né dei saggi di analisi storico-filosofica, né dei pamphlet d’attualità, bensì fra quelle opere, relativamente poco numerose, in cui elabora le sue nuove proposte politiche. Anche a questa teoria, quasi del nulla trattata in ambito marxista[2], ma importante per la sua elaborazione filosofica, Preve dedica relativamente poco spazio: precursori di questo discorso sono quei testi in cui discuteva il tema delle libere individualità in Marx[3]; più recentemente (2001), inizia la sua collaborazione alla rivista Comunitarismo, e solo successivamente vi dedica contributi specifici come Comunitarismo, Filosofia, Politica[4] e soprattutto il suddetto Elogio del comunitarismo. Ad oggi, Costanzo Preve è un ispiratore nonché un importante collaboratore della rivista Comunismo e comunità, che raccoglie lo sparuto drappello di comunisti comunitaristi italiani. Quello che ancora manca, e a cui questo saggio vuole fornire un contributo, è un’analisi critica del pensiero filosofico di Preve.
 
Nondimeno, l’autore si dimostra consapevole delle difficoltà insite nel dare vita ad un filone di pensiero in gran parte nuovo. Per questo motivo, nell’Introduzione ad Elogio del comunitarismo egli afferma a chiare lettere[5]:
Sarei allora già contento che fosse un buon saggio “battistrada” di futuri lavori che si muovessero in questa direzione […].

Questo elogio del comunitarismo intende contribuire ad una discussione che è appena agli inizi. Altri verranno dopo di noi e faranno certamente meglio di noi, perché meno invischiati in contenziosi con il recente passato novecentesco.
Prima di proseguire nell’esposizione della teoria previana, è opportuno spendere due righe per chiarire l’aggettivo “nuovo” preposto al termine “comunitarismo”. Lo stesso autore aveva ritenuto opportuno precisare la novità del suo ragionamento, per marcare le distanze rispetto ad alcune degenerazioni storiche ed attuali del comunitarismo (che saranno discusse più avanti)[6]:

In realtà, avevo originariamente l’intenzione di usare l’espressione “nuovo comunitarismo”, per marcare con l’aggettivo “nuovo” il rifiuto delle vecchie forme di comunitarismo che hanno cosparso la storia dell’Occidente.

D’altro canto, aveva ritenuto altrettanto fuorviante quest’aggettivo, volendo egli rifuggire da facili sensazionalismi («l’ennesima concessione opportunistica al “nuovismo” imperante»[7]) ed anzi radicare la propria teoria in una tradizione filosofica ben precisa[8]:

una ragionevole e praticabile nozione di “comunità” (koinonia) ci è stata tramandata dai nostri maestri greci, ed in particolare (ma non solo) da Aristotele, e percorre come un filo rosso tutto il pensiero occidentale fino a giungere alla nozione di “etica sociale” (SittenSittlichkeit) in Hegel e di “comunità” (Gemeinwesen) nello stesso Marx

Tuttavia, pur restando comprensibili e legittime le riserve dell’autore, è evidente che, storicamente parlando, il comunitarismo marxista di Preve rientra nell’ambito storico-filosofico della riflessione neo-comunitarista[9], sviluppatasi peraltro in circostanze simili, ossia la presunta “fine delle ideologie”.

 

Aristotele, Hegel, Marx

Al Preve filosofo sta quindi a cuore inquadrare la propria teoria politica all’interno di una tradizione filosofica ben precisa. A questo fine, egli ricostruisce la storia della filosofia, incentrandola sul concetto di comunità[10]. I momenti fondamentali sono l’antichità greca, in particolare Aristotele, e poi l’idealismo tedesco, in particolare Hegel e Marx. Per motivi di spazio, rispetto all’ampia ricostruzione operata da Preve, ci concentreremo su questi tre autori, premettendo un breve excursus sull’origine comunitaria del concetto stesso di filosofia, così sintetizzata[11]:

L’intera storia della tradizione filosofica occidentale può essere ricostruita senza alcuno sforzo o deformazione unilaterale sulla base della categoria di comunità. Ed anzi, se facciamo un rapido esame comparativo tra la nascita della filosofia nell’antica Grecia (Parmenide) e nell’antica Cina (Confucio), in cui è dimostrata la totale assenza di rapporti reciproci diretti o indiretti, vediamo che in tutti e due i casi al centro dell’attenzione dei filosofi sta la “ricomposizione ideale” di un intero comunitario nel frattempo corrotto e dissolto, in vista di una nuova armonia comunitaria da ricostruire razionalmente e senza più ricorrere all’autorità dei miti cosmogonici precedenti.

L’origine stessa della filosofia starebbe quindi, secondo la ricostruzione di Preve, nell’idealizzazione della comunità come modello sociale di comportamento. Questo sarebbe il vero significato della questione presocratica circa l’arché della physis, e inoltre questo problema, come mostrerebbe il parallelo tra i Presocratici greci e le Cento Scuole cinesi, sarebbe universale[12]. Perciò, l’Essere (to on) corrisponderebbe alla comunità originaria «spezzata e indebolita dal nuovo potere dissolutore del denaro»[13]. Viceversa  il Non Essere[14]:

è sempre un Nulla di Comunità, un’assenza di significati sociali e umani relazionali, un pericoloso e doloroso sprofondamento nell’insensatezza.

In quest’ottica[15], vanno interpretati anche i filosofi successivi: dai Pitagorici, il cui progetto filosofico-politico prevede proprio la fondazione di una comunità secondo un’armonia matematico-metafisica, a Protagora, fondatore dell’umanesimo moderno (“l’uomo è la misura di tutte le cose”), al dialogo razionale di Socrate, concepibile solo all’interno della polis, fino all’utopia eugenetica (ma comunitaria) della Repubblica di Platone.

Alla minaccia di insensatezza si risponde con proposte differenziate di ristabilimento della sensatezza, sempre e solo su base comunitaria. Pitagora, Parmenide, Protagora, Socrate, Platone, Aristotele, sono tutti momenti di un unico problema, la sensatezza del fondamento della comunità.Aristotele tira i fili di questo dialogo durato tre secoli, proponendo una visione integralmente comunitaria della convivenza umana e sociale. Respingendo la tentazione eugenetica, ben più pericolosa per la comunità delle pensiero sociale sull’uomo.[16]

Aristotele prende quindi le distanze dall’eugenetica platonica per rifarsi all’antropologia umanistica protagorea, fondando dunque tutta la sua filosofia politica sulla natura umana, che è razionale e sociale, e sul concetto filosofico di misura (metron), che racchiude in sé quello etico di giusto mezzo (messotes) e quello politico di costituzione mista (miktè politèia). La stessa morale, in quanto etica, è una scienza dei costumi.

L’uomo misura di tutte le cose è allora l’uomo per natura sociale e politico, quindi comunitario (politikòn zoon) ed ancora l’uomo per sua natura dotato di linguaggio, azione e capacità di calcolo (zoon logon echon).[17]

La politica aristotelica è fondamentale anche per quanto concerne il significato comunitario di economia, come amministrazione dei beni, distinto rispetto alla crematistica, come accumulo di ricchezze, che è il significato dato, a partire da Adam Smith, all’economia moderna. 
Dopo Aristotele e il passaggio dalle polis ai despotismi ellenistici e poi all’impero romano[18], anche la filosofia abbandona l’ambito comunitario politico per rifarsi a piccole comunità filosofiche (il Giardino epicureo) o ad un’universale comunità ideale (cosmopolitismo stoico). Lo stesso cristianesimo nasce in questo contesto come comunità messianica, per poi imporsi come religione comunitaria nell’Ecumene tardo-antico e poi nel Medioevo feudale.
Le cose cambiano con la modernità filosofica e l’elaborazione, nel lasso di tempo che va dall’Umanesimo all’Illuminismo, dei concetti di proprietà individuale, di progresso lineare, di materia atomistica, di empirismo e di utilitarismo, i quali stanno alla base della filosofia liberale, che a sua volta legittima il capitalismo moderno. Questo è quindi il contesto in cui si svolge la filosofia occidentale moderna, per dirla con Preve[19]:

Lo sviluppo intrecciato di queste cinque categorie, apparentemente del tutto innocue, produce la piattaforma teorica più individualistica ed anti-comunitaria di tutta la tradizione filosofica occidentale. Ci voleva una reazione, un raddrizzamento comunitario, che venne puntualmente […]. I quattro nomi fondamentali […] sono Rousseau, Fichte, Hegel ed infine Marx.

Rousseau avrebbe il merito, secondo Preve, di criticare sia la sacralizzazione gerarchica cristiana sia l’individualismo capitalistico, contrapponendo al pessimismo antropologico di entrambi[20] una natura umana fondamentalmente positiva, riaprendo quindi la strada alla fondazione di una comunità umana. Il suo difetto sarebbe però quello di concepire la costruzione di questa comunità come somma di individualità isolate.

Ben prima di Marx, è stato certamente Rousseau ad aver sostenuto in modo rigoroso che il ristabilimento della comunità umana che si era storicamente consumata e dissolta non poteva che avvenire per via rivoluzionaria.[21]

Il superamento del naturalismo russoviano si ha però già con l’idealismo tedesco, a partire da Fichte, il quale parte dall’astrazione universalistica di Umanità (l’Io), per calarla nel contesto della lotta e trasformazione sociale, contro il Non Io. Hegel rappresenta il fondatore moderno del comunitarismo, che egli vede prender forma nello Stato moderno, prussiano, come superamento del passato feudale e modernizzazione della società, che egli individua nell’universalizzazione della libertà, intesa come ragione.

Nell’interpretazione comunitaristica che ne dava Hegel, il contenuto sociale che lo stato doveva sviluppare e garantire era in primo luogo l’istituzionalizzazione giuridica dei “costumi” (Sitten), tanto è vero che lo stato stesso era concettualmente incorporato in quella che è generalmente tradotta in italiano come eticità (Sittlichkeit). Ma eticità significa soltanto etica sociale, comunitaria […].
Il comunitarismo di Hegel si fonda dunque […] su di un’etica comunitaria dei costumi sociali compresi e condivisi.[22]

Inoltre, sul piano teoretico, la filosofia di Hegel, secondo Preve, rappresenta un’esplicita critica sia ai fondamenti filosofici dell’economia politica liberale «intesa come sapere “oggettivo” e “neutrale” sulla società» (sensismo, empirismo, scetticismo, utilitarismo), sia al modello politico rivoluzionario ed egualitarista giacobino, di matrice russoviana, di cui contesta l’astrattezza e l’apriorismo[23].
Si arriva così a Marx, l’ultimo grande pensatore di riferimento per il comunitarismo previano, oltre che l’autore più studiato e approfondito dal filosofo torinese. Egli propone un Marx il più possibile depurato dalle strumentalizzazioni politiche e sacrali compiute da un secolo e mezzo di marxismo, ma mai depotenziato, edulcorato o declassato a mero economista[24]. Nella filosofia marxiana, confluiscono essenzialmente due filoni: uno utopico-romantico mirato alla riconciliazione tra Uomo e Natura, e uno scientifico-positivista legato all’analisi dei modi di produzione e delle sovrastrutture. Marx, secondo Preve, resta però un filosofo profondamente idealista e hegeliano, che critica il suo maestro da un punto di vista comunitarista, ritenendo, infatti, che non sia possibile costruire una comunità umana ideale (Gemeinwesen) in una società divisa in classi.

Il punto di partenza filosofico di Marx è una sorta di universalismo politico di tipo stoico, e dunque necessariamente astratto, in cui si persegue una “comunità ideale” in grado di cancellare quelle alienazioni che rendono impossibile all’uomo il raggiungimento della propria natura “generica”, cioè libera e creatrice […].Nello stesso periodo, Marx si convince che il “comunismo”, questa utopia universalistica dell’emancipazione dell’ente naturale generico dall’alienazione, non sia solo un auspicio astratto, ma un vero e proprio “movimento reale che abolisce lo stato delle cose presenti”, e che il proletariato ne sia il portatore storico empirico.[25]

Questo sarebbe quindi il nucleo del comunitarismo marxiano, a livello filosofico, ma, d’altro canto, il filosofo di Treviri non ha elaborato una vera e propria teoria politica, e la sua stessa filosofia presenta non poche aporie, specie su questo punto di vista. A loro volta, queste aporie sono state problematizzate e spesso irrisolte dai marxismi successivi[26]. La rappresentanza politica, sia essa parlamentare come nella socialdemocrazia o partitica come nel leninismo, infatti, non è conciliabile con un’abolizione effettiva delle classi, da cui i problemi connessi ai vari tentativi di socialismo reale. Basti chiudere quest’ampia digressione storica, priva di connotazioni teleologiche ma fondamentale per comprendere le radici e il nocciolo filosofici del comunitarismo previano, con questa sintesi, che ne spiega l’importanza ai fini di elaborazioni future:

La tradizione filosofica occidentale, così come ho cercato di ricostruirla, non ha per nulla falsificato e messo agli archivi l’idea e la pratica del comunitarismo. Al contrario. Ci ha però consegnato una concezione dialettica, problematica e ambivalente di esso, che non ci permette più di compiere indebite semplificazioni.[27]

 

Comunismo e comunità

Passiamo ora ad esaminare la critica che Preve opera nei confronti del comunismo, la quale si può sintetizzare in due punti, solo apparentemente inconciliabili: l’affermazione positiva dell’idea comunista da un lato e il riconoscimento del fallimento dell’esperienza storica comunista dall’altro. Questo fallimento non è però inerente per via d’insuperabili contraddizioni, ma è dovuto a ragioni storiche ben precise: non tanto per un tradimento da parte delle burocrazie staliniane (interpretazione trotzkista) né per un accerchiamento geopolitico da parte delle potenze imperialiste (interpretazione stalinista), bensì per l’irrisolto problema della divisione tecnica e sociale del lavoro[28]:

“Comunismo” significa, infatti, in primo luogo “mettere in comune”, ossia mettere in comunità, il sapere, il potere e quindi anche il reddito e il consumo. Il semplice livellamento coatto dei consumi, attuato con metodi politici e polizieschi, in permanenza ed anzi in allargamento dei differenziali di sapere e di potere sociale dovuti alla divisione sociale e tecnica del lavoro, è qualcosa di temporaneo e che non può riprodursi a lungo se non con forme di dittatura sociale e minoritaria.

D’altro canto, essendo per Preve il comunismo sostanzialmente «una forma radicale ed estrema di comunitarismo», le sue patologie affliggono anche il comunitarismo. In particolare, queste derivano dalla vera e propria scissione metodologica verificatasi tra la filosofia di Marx e il marxismo. Peraltro, il metodo marxiano, lungi dall’essere smentito dal collasso dei regimi comunisti, è ancor oggi utile per capire come questo sia avvenuto. Alla sua luce, è evidente che la presenza di apparati burocratici dirigenziali, distinti dalle masse, e il progresso sociale ed economico diffuso abbiano dato vita ad una vera e propria classe borghese che, negli anni ’80, ha curato e realizzato la transizione al ritorno ad un’economia di mercato, a proprio esclusivo vantaggio[29].
Inoltre, poiché una società può essere rivoluzionata solo a partire dalla condivisione della verità su se stessa, è necessaria la piena libertà di critica, d’espressione, e d’interpretazione, diversamente da come generalmente è stato nei regimi comunisti storici. Altra questione, infine, è quella dei due errori fondamentali compiuti da Marx stesso e poi ripetuti ad nauseam dai suoi successori marxisti. In primo luogo, la fiducia nella «prevedibilità scientifica delle dinamiche complessive degli insiemi sociali»[30], che l’ha portato a scadere in degenerazioni positivistiche, necessitariste ed economicistiche. Il secondo, è «l’investitura metastorica della classe operaia, salariata e proletaria»[31] a soggetto sociale e politico privilegiato nella lotta di classe e nell’instaurazione di una società comunista. Entrambe queste previsioni sono state ampiamente smentite dagli eventi storici novecenteschi, ma continuano ad essere tenute per vere dagli interpreti marxisti, categoria da cui Preve si chiama fuori, senza per questo abbandonare Marx[32]:

Mi considero un allievo indipendente di Marx […], condividendone nell’essenziale l’utopia emancipativa universalistica ed il fatto che essa sia incompatibile con una strutturazione classista della società.

 

I falsi comunitarismi

La definizione previana di comunitarismo è però inconcepibile senza un carattere emancipativo universalista. Per questo motivo, egli, coerentemente con le sue radici marxiane ed hegeliane, rifiuta di considerare tali le comunità primitive tribali, quelle antiche schiaviste e quelle medievali sacralizzate. Allo stesso modo, nell’ambito delle dottrine politiche contemporanee, egli rifiuta la patente di comunitarismo a quelle che considera degenerazioni, ossia il fascismo e il nazionalsocialismo, “comunitarismi” fondati rispettivamente sul nazionalismo colonialista e sul razzismo eugenetico. Il giudizio di Preve su questi movimenti e regimi è assolutamente negativo, prima ancora che per motivi storici (la condanna dei crimini compiuti), per motivi filosofici (il carattere particolaristico ed escludente da un lato, ed organicistico e repressivo dall’altro). 
Qui va rilevato un punto importante: chiunque accusi Preve di “fascismo”[33]per via della sua apertura al dialogo nei confronti di intellettuali provenienti dall’estrema destra, come Giano Accame[34] ed Alain de Benoist[35], dovrebbe tenere a mente questo passo chiaro ed inequivocabile, che dovrebbe fugare ogni insinuazione di simile tenore[36]:

Di fronte alla cattiva comunità, la comunità organica, colonialista, espansionista, razzista, persino l’individualismo atomistico sradicato può essere migliore, ed è di fatto migliore. Almeno, lascia la gente nella sua solitudine insensata, ma non ne distrugge gli autonomi progetti di vita, di matrimonio e professionali.[37]

D’altro canto, simili attacchi, al di là dei casi dovuti all’ignoranza, rispondono ad una chiara strategia culturale postmoderna, in gran parte portata avanti da intellettuali post-comunisti.
Infatti, il giudizio del filosofo torinese è altrettanto negativo nei confronti dell’antifascismo contemporaneo, da lui assimilato all’anticomunismo. Entrambi questi fenomeni ideologici sono rivolti a sistemi politici ormai inesistenti, ma hanno – come mostra Preve – un ruolo come esecrazione ed esorcizzazione di tutto ciò che rientra nella categoria accademica di “totalitarismo”: concetto che assimila in unico calderone comunismo, fascismo e ogni altra forma politica e ideologica[38] che, pretendendo un primato della politica sull’economia, si oppone, di fatto, al liberal-capitalismo imperante. In questo senso è fin troppo facile praticare la reductio ad Hitlerum anche in modelli politici o figure intellettuali irriducibili ai fascismi storici, come l’Iran di Ahmadinejad o la Serbia di Milosevic, oppure Tariq Ramadan e Gennady Zjuganov. L’antifascismo postbellico, in Italia come altrove, è stato inoltre storicamente funzionale a formare un terreno comune tra il comunismo e i partiti democratici, portando gradualmente il primo a perdere la sua alterità rispetto al sistema politico liberaldemocratico[39].

La critica radicale e senza compromessi al fascismo e al nazionalsocialismo, fatta in nome di un principio comunitario, deve essere condotta in modo assolutamente indipendente dalla retorica dell’antifascismo politicamente corretto. Questo antifascismo è solo un insieme di ideologie di legittimazione, posteriore al 1945 e quindi in totale assenza di fascismo, nel frattempo già morto, seppellito e non più seriamente proponibile.[40]

Quest’antifascismo legittima perciò ideologicamente gli Alleati occidentali, vincitori della Seconda Guerra Mondiale (e della Guerra Fredda), in quanto combattenti contro il Male Assoluto “nazifascista” e poi (e qui si salda l’anticomunismo) difensori del “mondo libero” dalla minaccia sovietica. I crimini del colonialismo e del capitalismo occidentale, così come i bombardamenti di Dresda e Hiroshima[41], passano così sotto silenzio. Gli stessi regimi fascisti sono condannati esclusivamente per le persecuzioni contro Ebrei e omosessuali, lasciando sullo sfondo le guerre imperialistiche in Africa e i progetti di colonizzazione forzata dell’Est slavo. Il concetto di “totalitarismo”, nelle sue varianti antifascista e anticomunista, meglio se in lotta tra loro nel teatrino degli scontri fra opposti estremismi, risulta così un mero strumento ideologico. Per questo motivo, Preve, di contro a Bobbio, ritiene ormai superate e prive di senso le categorie politiche Destra/Sinistra[42].
Viceversa per Preve le stesse radici del fascismo sono parte integrante della cultura politica europea del periodo, mai veramente risolte. Così come nella coscienza nazionale italiana è assente ogni discussione dei crimini coloniali, le stesse problematiche sono rimosse dalla coscienza dei popoli occidentali, sostituite dalla demonizzazione dell’eccezionalità malefica nazionalsocialista e dell’utopia sanguinaria comunista.

Hitler non è stato una “eccezione demoniaca”, ma la punta dell’iceberg della deriva nazionalista, razzista ed eugenetica che ha interessato l’intera storia europea degli ultimi due secoli.[43]

 

Il comunitarismo e i suoi nemici

Infine, l’altro grande modello socio-politico-economico da prendere in esame è quello liberal-democratico-capitalista, di matrice individualista[44]. Mentre, per il comunismo storico e per i fascismi, Preve parla di forme patologiche del comunitarismo, in quest’ultimo caso, con l’individualismo, egli identifica l’“avversario” vero e proprio – il Non Io, per dirla in termini fichtiani – delle comunità. Il filosofo torinese, infatti, contrappone all’antropologia comunitarista – secondo cui l’uomo è per sua natura sociale e razionale, nonché generico, dunque in grado di elaborare molteplici forme sociali e politiche – l’antropologia individualista, nata con Hobbes, secondo cui l’uomo sarebbe un atomo egoista, e che Preve ritiene assurda, prima ancora che da un punto di vista filosofico, da un semplice punto di vista storico ed etologico.
Da qui, la critica muove a coinvolgere il liberalismo, fondandosi sulla contraddizione di fondo, assente nella teoria liberale ma ben presente nella prassi delle società liberali, insita nella distinzione fattuale tra spazio sacro e spazio profano[45]:

Nello spazio sacro, che si identificava di fatto con lo spazio dei proprietari, venivano elaborate reali tecniche giuridiche e politiche di tutela non solo del nudo fatto della “proprietà privata” […] ma anche di tutela e garanzia delle libertà di espressione e di comunicazione […].Nello spazio profano, in cui erano inserite sia le masse interne dei poveri e dei salariati da tenere sotto controllo […] che le masse esterne dei popoli da colonizzare, sfruttare ed espropriare, i grandi teorici del liberalismo classico hanno sempre volutamente praticato due pesi e due misure.

In sintesi, le garanzie liberali sono state applicate originariamente ai soli proprietari, e successivamente in parte anche alle masse interne una volta divenute consumatrici, consentendo al tempo stesso una prassi di aggressione, colonizzazione e sfruttamento dello spazio profano.
Diverso è il trattamento che Preve riserva ai concetti di libertà e di democrazia. Il primo, ben distinto dal liberalismo come ideologia politica, è un semplice dato di fatto della natura umana, da riconoscere in quanto tale. La seconda[46] è una forma politica risalente già alla polis greca, e in sé non priva di una sua problematicità: in particolare non tanto riguardo ai suoi aspetti formali – che il filosofo torinese ritiene poco importanti – quanto al suo aspetto contenutistico, ossia la giusta scelta da parte della comunità democratica. Qui s’inserisce la critica alla democrazia, avanzata già da Socrate e Platone, secondo cui le decisioni collettive non sono garanzia di verità, per cui sarebbe senz’altro preferibile una decisione oligarchica ma giusta, a una decisione democratica ma sbagliata. Preve ribatte però che stante la natura sociale e politica dell’uomo, l’arte politica non è perciò specialistica, ma propria ad ogni uomo, e perciò deve essere messa in comune. D’altra parte, è sua precisa convinzione il fatto che la nostra non sia per nulla una società liberaldemocratica, se non in apparenza[47]:

Il mondo attuale, che si presenta come una liberaldemocrazia fondata sulla religione universalistica dei Diritti Umani, è in realtà un totalitarismo dell’economia gestito da una oligarchia politica che si legittima mediante referendum periodici che presuppongono la totale impotenza progettuale degli oppositori […] forte della dittatura di grandezze e di forze rigorosamente anonime e impersonali, e pertanto insuperabili (i “mercati”, la “produttività”, la “concorrenza internazionale”, l’“invecchiamento della popolazione”, l’“insostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale e di assistenza pensionistica”, eccetera).

In quest’ottica, la condanna del capitalismo che opera Preve è senza appello, e affonda le sue radici tanto nella critica marxiana e marxista dell’economia capitalistica, tanto nella critica antimperialista nei confronti dell’imperialismo euroatlantico. Su questo secondo punto[48], il filosofo torinese non esita ad assumere come prioritario il principio della sovranità nazionale, a sua volta radicato nella tradizione politica del concetto di “Nazione” a sinistra (da Rousseau a Bauer a Stalin)[49], e il contributo analitico della geopolitica. Egli si oppone ad ogni ingerenza da parte dell’imperialismo egemonico statunitense, fosse anche questa “giustificata” da motivi in apparenza legittimi (nella realtà calpestati dagli stessi interventi “umanitari”) come la tutela dei diritti umani e delle autonomie locali (quest’ultima un altro uso distorto del comunitarismo). D’altra parte, guarda con fiducia all’affermarsi delle potenze emergenti (i cosiddetti BRICS) al fine della costruzione di un mondo multipolare e più equilibrato.
Dal punto di vista filosofico-sociale, invece, il capitalismo in quanto fondato su un’antropologia illusoria – l’individualismo atomistico – è di per sé nichilistico (ossia privo di sostanza reale) e relativistico (ossia privo di una concezione veritativa), per cui ogni rapporto comunitario è sostituito da rapporti mercantili, legati al potere d’acquisto dei consumatori in relazione alla Merce. Per questo motivo, il capitalismo non è – come sostiene invece Camatte – una comunità, ma al tempo stesso, per riprodursi deve servirsi di comunità manipolate e controllate (è il caso della strumentalizzazione delle minoranze etniche a scopo imperialistico o consumistico), quando non addirittura fittizie, come nel caso di subculture artificiali di consumatori (i giovani, le donne, gli anziani, gli omosessuali, gli “alternativi”, ecc.)[50].

 

Conclusione

In sintesi, l’attuale pensiero di Costanzo Preve, filosofo politico tanto prolifico quanto poco studiato, ruota attorno al concetto di comunitarismo. Non si deve presumere che quest’ultimo rappresenti un superamento del comunismo di matrice marxiana, ma anzi occorre leggerlo all’interno di queste coordinate. In questo senso, rappresenta un raro caso di comunitarismo marxista. A Marx, vanno poi aggiunti, come principali ispiratori, Hegel e Aristotele.
Il comunitarismo di Preve si fonda in particolare su un’antropologia ben precisa. L’essere umano è in quanto tale, nella sua più intima essenza, un essere razionale e generico, ovvero non predeterminato nelle sue specificità, e perciò sociale e comunitario, perché solo in questo contesto egli può esercitare le sue qualità fondamentali, ossia la ragione e la libertà, attraverso il dialogo e la cooperazione con gli altri individui. Viceversa, non potrebbe essere veramente libero, se si trovasse ad essere sradicato da questo contesto e atomizzato, ma sarebbe un individuo onnipotente in astratto e impotente in concreto.
Per questo motivo, l’individuo non deve essere considerato in contrasto con la comunità, né come atomo a parte, né come atomo di un collettivo, perché la comunità che limitasse la partecipazione e l’espressione di un suo membro, priverebbe l’uomo di una delle sue qualità fondamentali. Per questo motivo, le false comunità (siano esse il collettivismo burocratizzato o l’organicismo etnicista o lo statalismo nazionalista, ecc.) non solo non sono tali, ma in quanto forme patologiche risultano essere più pericolose che non l’individualismo atomizzato. 
Invece, attraverso l’esercizio della razionalità e della socialità in ambito comunitario, unico luogo ove esse sono entrambe possibili, si pongono le basi filosofiche e reali per un vero e concreto universalismo che non sia né astrattamente cosmopolita, né imperialisticamente imposto, ma autenticamente emancipativo. A questo fine, concorrono sia la libertà individuale che la solidarietà comunitaria di ogni uomo, entrambe necessarie.
Lo scopo del filosofo torinese è evidentemente quello di proporre un nuovo modello sociale e politico, che custodisca in sé intatto il nucleo universalista ed emancipativo della filosofia marxiana, al netto degli errori di prospettiva di Marx e delle tare ideologiche marxiste, come unica valida alternativa all’odierno modello socio-economico liberalcapitalista. Al tempo stesso, intende riscoprire le radici di questo pensiero all’interno della tradizione filosofica occidentale, dai Greci ad Hegel.
Si tratta indubbiamente di un progetto ambizioso e, per come è presentato, non privo di aporie ed ingenuità. In particolare, va rilevata una tendenza tutta hegeliana a semplificare e schematizzare gli eventi storici, nonché una visione filosofica eccessivamente sociologica e materialista. Questi, a nostro parere, sono i limiti maggiori. Va però riconosciuto all’autore, oltre al coraggio di affrontare un tema così ampio e complesso, l’onestà di riconoscere che si tratta di aprire la strada ad una discussione ancora in nuce, e con cui la filosofia politica contemporanea dovrebbe, sempre a nostro parere, confrontarsi seriamente.
 
[1] C. Preve, Elogio del comunitarismo, Napoli, Controcorrente, 2006.
[2] Preve cita J. Camatte, trad. it. Comunità e divenire, Milano, Colibrì, 2000.
[3] C. Preve, L’assalto al cielo. Saggio su marxismo e individualismo, Milano, Vangelista, 1992, e C. Preve, Individui liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui, Pistoia, CRT, 1998.
[4] C. Preve, Comunitarismo, Filosofia, Politica, Molfetta, Noctua, 2004.
[5] C. Preve, Elogio del comunitarismo, cit., 10.
[6] Ibidem, 5.
[7] Ibidem, 5.