In difesa di Maurizio Blondet e di tutti gli altri

22.06.2020
Dov’è Voltaire quando serve? Dov’è la voce che proclamava “stai dicendo delle sciocchezze ma darei la vita perché tu possa continuare a farlo”? Voltaire è morto da secoli e il suo corpo polvere consegnata agli eoni. I suoi insegnamenti gli sopravvivono solo nella tradizione che li tramanda. Il filosofo francese, poi, non ha mai detto la celebre frase, che gli è stata attribuita per un errore storiografico che si è oramai ben radicato nel comune sentire [1]. 
 
E allora perché ricordare uno dei padri dell’Illuminismo e con affettuosa prepotenza chiamarlo in causa, quasi testimone per queste mie righe imperfette?
 
Perché qui in Italia, democratici e progressisti hanno sempre fatto sfoggio della loro superiore (a parer loro) statura morale sputando in faccia, a noi tutti gli altri, proprio la frase attribuita per sbaglio a Voltaire. Per spiegare bene, a noi tutti gli altri, come non capissimo cosa fossero la libertà di parola, la democrazia, la tolleranza per le altrui opinioni e gli altrui modi di vivere.
 
Perché la situazione in cui si trova l’Italia oggi non è più solo quella di una nave senza nocchiero in gran tempesta [2] ma quella di un qualcosa che pur essendo popolo (e quindi Storia, passioni di carne e sangue) si ritrova a sprofondare in sempre nuovi abissi di raccapriccio, in cui sempre più spesso viene messo all’indice e tacitato chi dissente dalla vulgata comune, sbandierata dai signori del discorso e difesa dai loro mastini a libro paga.
 
Per il momento non ci sono ancora leggi formali che proibiscano esplicitamente di dire o scrivere certe cose ma l’aria che si respira sta diventando via via più pesante ed irrespirabile. È l’aria della caccia alle streghe, tipica di un sistema che vede nel pensare altrimenti [3] un nemico da distruggere e non la componente essenziale della democrazia.
 
Così, una delle conseguenze dell’epidemia di Covid-19 è che si sono manifestate delle spinte che sembravano impensabili fino a pochi mesi fa. Chiaramente erano già presenti, ma celate sotto la superficie ribollente del sentire collettivo ed incapaci di palesarsi perché prive di un catalizzatore specifico. Qualcosa che facesse tracimare il mare di viltà in cui affoga il cuore di molti italiani odierni e che ne plasma l’inconscio collettivo. La paura di morire a causa del nuovo virus respiratorio, paura anche coltivata ad arte da un certo tipo di giornalismo per ragioni di pura audience, ha spinto molti miei compatrioti ad accettare e condividere l’idea di barricarsi in casa obbedienti alla quarantena imposta dal governo italiano. Molti americani hanno agito diversamente a casa loro, impugnando perfino le armi per difendere il loro diritto ad uscire di casa in piena epidemia, ma in Italia la cosa è andata diversamente. 
 
Perennemente sazi eppure sempre affamati, maschi deboli e femmine nevrotiche della nostra società nutritiva [4] si sono a volte trasformati volontariamente in delatori contro chi violava le nuove regole.
 
Così, chi è andato a correre perché esaurito dal confinamento domestico è stato denunciato al volo dai vicini di casa e multato subito dopo dalla polizia. Cene semi clandestine tra familiari ed amici sono state interrotte dall’irruzione improvvisa di poliziotti armati, chiamati da zelanti vicini di casa e solerti condomini. Si è visto un uso generoso di droni rintracciare qualche solitario corridore, mai visti prima quando si trattava di scovare criminali di altro tipo, magari gli stessi spacciatori di droga che da anni impestano le nostre piazze ed avvelenano la vita dei nostri figli. Si è visto l’uso di trattamenti psichiatrici obbligatori contro chi disobbediva alle, o palesava un comportamento ritenuto inusuale secondo le, nuove regole. Sono state interrotte manu militari messe e celebrazioni religiose anche quando erano rispettate le nuove regole igieniche decretate dal governo [5], [6].
 
Invero, viviamo tempi davvero incredibili. Nelle grandi epidemie dei secoli passati le chiese sono sempre rimaste aperte, magari con le porte spalancate, così che i fedeli all’esterno potessero sentire la Parola di Dio e da Essa trarre conforto e speranza. Invece, in questi giorni moderni, i luoghi di culto sono stati chiusi. Chiusi per virus. Alcuni sacerdoti, fedeli al Vangelo in modo differente, hanno preferito predicare e celebrare forzatamente in segreto e, se apertamente, sotto la minaccia di un intervento della polizia. Dalle pieghe di un passato lontano è sembrato aleggiare una volta ancora ed ugualmente sinistro, il non licet esse christianos di secoli oramai lontani. Non per bocca di funzionari di un impero ostile, quanto per quella di ottusi burocrati della Repubblica e, ironia di una sorte sempre più triste e sciagurata, di quella di sacerdoti che non hanno più una vera fede nel Dio nel cui nome ancora predicano e chiedono soldi.
 
Il Covid-19 ha semplicemente mostrato il velo di ipocrisia in cui molti preti sono tuttora avvolti: forse un giorno Dio aprirà loro gli occhi sul modo in cui hanno vissuto e predicato la propria fede e scopriranno allora di non avere abbastanza lacrime da piangere.
 
È possibile che in futuro ci siano nuove persecuzioni contro i cristiani qui in Occidente, dove la deriva modernista sta da tempo tormentando la Chiesa: una parte è indubbiamente devota agli insegnamenti ritenuti più veri e profondi del Vangelo, un’altra pare votata a compiacere il mondo (sic) con una interpretazione “più moderna ed attuale” delle Scritture. 
 
La lettera che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto recentemente al presidente americano Donald Trump [7] ci dice che alcuni sacerdoti hanno oramai dolorosamente ben chiaro che la battaglia che si sta combattendo non è solo su un piano umano bensì soprannaturale.
 
Ci aspetta forse un futuro dove un Ned Flanders in chiave arcobaleno è il padrone incontrastato del mondo ed impone con la forza a tutti noi il suo sorriso ipocrita e la sua bontà vile, pena la perdita della libertà e di quanto ci è più caro [8]?
 
C’è una proposta di legge, per il momento ancora all’esame del parlamento, contro le presunte tendenze omofobe e discriminatorie della società italiana nei confronti della comunità LGBT (al netto di altre lettere dell’alfabeto). Oltre che sulle pene previste per gli eventuali condannati, alcuni si interrogano sulla natura intrinseca di tale legge: se approvata, potrebbe rendere di fatto impossibile non solo predicare il Vangelo ed essergli fedele ma anche solo parlarne. O predicare il Corano e solo parlarne. O leggere Dante. O scrivere di cose che il nuovo Potere, il nuovo Sistema, tollererebbe a fatica anche quando gli siano offerte addomesticate [9]. 
 
L’epidemia di Covid-19 ha offerto anche l’opportunità di creare comitati di verifica delle fake news (quelle degli altri, mai le proprie); di presentare liste stilate all’estero in cui compaiono i siti italiani che uno straniero ci dichiara inaffidabili [10]; di cancellare da YouTube tutti quei video sull’epidemia “contrari agli standard della nostra comunità” tra cui anche il video di Sara Cunial che, da parlamentare e proprio in Parlamento, esprime la sua opinione sulla situazione che viviamo, osando criticare la gestione dell’emergenza e le idee di Bill Gates sui vaccini [11]. 
 
Se questo meccanismo dovesse radicarsi e diventare prassi di Stato, arricchito da altre leggi simili, i primi a sparire sarebbero Maurizio Blondet e il suo blog; Massimo Mazzucco e il suo sito Luogo Comune; Claudio Messora e la sua web TV ByoBlu [12]. Sparirebbero Enrica Perucchietti e i suoi libri così critici sulle nuove meraviglie del mondo moderno; non potremmo più ascoltare Silvana De Mari né leggere i suoi “Arduin il rinnegato” o “Io mi chiamo Joseph”; non ci sarebbe spazio per Danilo Quinto e la sua conversione sulla sua personale via per Damasco [13]. Sarebbero banditi Diego Fusaro e la sua filosofia, che di certo comprende meno cose di quante ce ne siano in cielo e in terra ma non per questo è meno utile e preziosa. Sara Cunial non potrebbe più parlare in Parlamento su Bill Gates e dire le verità e le sciocchezze che ha il diritto di proferire in quanto essere umano e rappresentante eletto (lei, a differenza di altri) del nostro popolo. Non troverebbero ascolto neppure Ennio Remondino e il suo giornalismo pacato né Paolo Barnard e le sue serie indagini giornalistiche [14]. 
 
Tutti loro e tutti quelli come loro si ritroverebbero troppo impegnati a spegnersi in qualche prigione della nuova società nella quale sarebbe reato tenere in casa una copia del Vangelo che non fosse conforme alle nuove direttive o scrivere una pagina che non fosse allineata ai dettami di qualche commissione di controllo di un qualche Ministero dell’Amore o della Verità.
 
Sparirebbero per primi i più visibili e i più facilmente odiabili, braccati come prede da una nuova polizia politica, derisi e sbeffeggiati da professionisti a pagamento, privati della libertà, del denaro, della patente di guida e del passaporto, “curati” da psichiatri di Stato. Infine buttati in un angolo come i sacchi vuoti in cui verrebbero trasformati dalle sevizie subite, prima di essere uccisi da un sicario di Partito.
 
Passata questa orgia iniziale, sadicamente catartica per molti, sarebbe il turno di figure minori, allineate sì ai diktat del Potere ma che hanno compiuto uno sbaglio involontario, uno scivolone non voluto. Infine capiterebbe a tutti gli altri, gli italiani da bar, quelli che indossano guanti e mascherine anche da soli in automobile.
 
Si salverebbero quelli già morti e solo nel corpo, come il compianto Giulietto Chiesa a cui sono stato una volta accostato perché entrambi nella stessa lista nera: io nobilitato da una simile vicinanza, lui svilito dalla mia compagnia.
 
Stolto chi si sfrega le mani pregustando una simile vittoria. Idiota, perché dimentica che un sistema di questo tipo non ammette critica alcuna, nemmeno per errore. Nessuno sarebbe al sicuro: i favoriti di oggi possono diventare le vittime di domani. In 1984 di Orwell, nella cella di Winston Smith oramai prigioniero del Partito, arriva anche il poeta Ampleforth, che si credeva al sicuro dalla Psicopolizia. Il crimine di Ampleforth era stato di non aver cancellato la parola “Dio” da una poesia: un errore inevitabile e in apparenza trascurabile, in ossequio alle regole della metrica poetica. Prima Ampleforth, poi Smith, finiranno entrambi nella Stanza 101, consegnati al loro triste destino.
 
È uno scenario che si è già verificato in passato, con modi e strumenti diversi: nella Germania nazista con la sua Gestapo e i suoi campi di sterminio; nella Russia di Stalin con i suoi gulag e i suoi ospedali psichiatrici; nella Cambogia di Pol Pot e i suoi killing fields. 
 
Sbaglia chi pensa che uno scenario simile non possa verificarsi nell’Italia dei nostri giorni, in forma peggiore e più crudele grazie alle nuove tecnologie. Esso di fatto si sta già avverando, ma i suoi passi sono ancora incerti e malfermi. C’è ancora il tempo per fermarlo ma il tempo, però, prima o poi finirà.
 
 
[1] Un paio di esempi tra i tanti: 
[2] Dante (almeno finché si può ancora citarlo) Purgatorio, canto VI, vv. 76-78: 
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!”
[3] Il filosofo italiano Diego Fusaro ha dedicato un intero libro alla questione del dissenso:
“Pensare altrimenti” – Einaudi - 2017 
[4] Roberto Giacomelli: “Oltre il maschio debole (prospettive per ritrovare la Via del Guerriero)” pag. 41 Cap. 5 – Passaggio al Bosco Edizioni  - 2020
[8] I Simpson: “La paura fa novanta - V” – Stagione 6, in Italia l’8 ottobre 1998
[14] Ennio Remondino:  http://www.remocontro.it/ 
Paolo Barnard (per esempio il suo ultimo video sul Covid): https://youtu.be/aGTjlG-5hms