Dall’Arcangelo Michele al Soggetto Radicale: la filiazione del desiderio
Una radice comune
Nel precedente articolo, abbiamo cercato di delineare la radice angelologica del Soggetto Radicale, ossia ciò che lo accomuna all’essenza angelica, sottolineando che tale radice – da cui il termine “Radicale” – è data dal desiderio di Dio che è desiderio di appartenere totalmente a Dio eterno amore, di cui l’arcangelo Michele ne è origine per le schiere angeliche fedeli e fonte primordiale per gli stessi Soggetti Radicali.
Questa elevazione ontologica a radice e fonte primordiale, si ha quando, attraverso l’urlo di guerra che sostanzia il suo nome, MIKA’EL supera la prova della tentazione di prevaricare il trono di Dio e, così facendo, calamita a sé gli angeli che vogliono rimanere fedeli a tale desiderio di totale appartenenza a Dio, spronandoli alla lotta e gettandosi per primo nella mischia contro Lucifero e gli angeli ribelli che vogliono sostituirsi a Dio ( l’articolo è visibile al seguente link: https://www.ideeazione.com/il-martirio-di-darya-dugina-e-larcangelo-michele-sorgente-primordiale-del-soggetto-radicale/ ).
Ricordiamo anche che il “desiderio di Dio” vissuto come volontà di totale appartenenza, espresso così sostanzialmente da MIKA’EL, dalla cui natura sgorga tale principio angelologico dello spirito radicale come eros, agape, philia e DNA spirituale, nel momento in cui inizia la guerra celeste sarà comunicato essenzialmente per emanazione a tutta l’immensa schiera degli angeli fedeli. Questo medesimo desiderio di Dio, nella lotta che avviene nel corso della Storia per l’affermazione della Città di Dio sulla terra, viene declinato dal piano della teologia a verità metafisica, a evidenza antropologica e a progetto metapolitico, accomunando così angeli e uomini – soprattutto i Soggetti Radicali – nella battaglia per l’affermazione dei diritti di Dio, i quali sono a tutti gli effetti gli unici possibili garanti dei veri diritti dell’uomo, quelli inscritti nella legge naturale che emana dall’Ordine Divino.
Nel Soggetto Radicale, attraverso la discesa negli inferi, si attua la sua purificazione (katharsis) e lo svuotamento di sé (kenosis), che rappresentano la dinamica esistenziale (dynamis) dell’acquisizione del suo desiderio di Dio. Qui, la sua nietzschiana volontà di potenza si perfeziona, si trasforma e si manifesta come angelologica volontà di totale appartenenza al Divino. In questo passaggio metafisico dall’ultraumano del superuomo alla soprannaturalità dell’angelo fedele, si realizza, dopo una grande sofferenza esistenziale, l’immersione e l’abbeveramento da parte del Soggetto Radicale nella fonte primordiale di MIKA’EL e, quindi, la sua filiazione angelologica come messaggero del desiderio di Dio.
Se comune è la radice del desiderio di Dio tra la natura angelica e l’apparizione nei tempi ultimi del Soggetto Radicale, il quale la rende esplicita attraverso un’intransigenza di ordine teologico e metafisico nei confronti della Postmodernità e per l’affermazione di un Imperium interiore e metapolitico, ci chiediamo: visto questa comune radice, può anche esistere un percorso esistenziale analogico tra l’Angelo e il Soggetto Radicale? La risposta è sì, a condizione di non suddividere la realtà dell’eternità secondo le categorie del tempo. Infatti, per gli angeli non esiste il tempo e, per avvicinarci umanamente alla comprensione di ciò che avvenne nella totalità dell’evento di ribellione di Lucifero e degli angeli a lui sodali, nonché delle conseguenze eterne di questa decisione, per noi – a causa della nostra permanenza nella temporalità – risulta necessario almeno dividere in istanti atemporali la stessa eternità (rendendoci palesemente conto che tale affermazione è un ossimoro). Pur sapendo che, con i criteri della stessa eternità, al dire dei Padri e dei Dottori della Chiesa, dopo la loro creazione gli angeli furono ipso facto messi alla prova e salvati o condannati attraverso un giudizio istantaneo. Nei prossimi paragrafi vedremo la successione di questi istanti, che rappresentano analogicamente l’anticipo nell’eternità del percorso umano di purificazione (katharsis) e di svuotamento (kenosis) del Soggetto radicale, una dinamica esistenziale necessaria per realizzare la filiazione angelologica del desiderio di Dio.
L’arcangelo Michele, l’inferno e la sua discesa
La condizione tipica del male è quella di non-essere, perché è carenza del Bene che è Essere, come ci insegnano Platone, Aristotele, Plotino e Sant’Agostino. Il male, quindi, non è una condizione di chàos primordiale, di nichilismo cosmico che precede e prefigura il kosmos, ma è una condizione infernale di anti-ordine, in quanto si oppone al kosmos, all’Ordine Divino, generando sofferenza e morte eterna, come vediamo molto lucidamente nella liquidità postmoderna. Dio, dunque, non ha creato l’inferno, ma lo stato stesso di non-essere ha creato la sofferenza e la morte eterna e, quindi, anche il luogo spirituale di questa rovina eterna che è appunto l’inferno. Nell’istantaneità della condizione eterna, nella lotta tra Michele e i suoi angeli contro Lucifero e i suoi diavoli, il rifiuto orgoglioso dell’Ordine Divino da parte di quest’ultimi, ha provocato un allontanamento dal Trono di Dio, una loro caduta verticale fino al terribile luogo del non-essere, l’inferno. Nell’inferno sono precipitati i diavoli, che persa la loro bellezza sono stati trasformati in mostri orrendi e sono anche scesi gli angeli che li incalzavano, fino a che l’Arcangelo Michele chiuse e sigillò sopra i primi le porte del pozzo eterno.
Quindi, nell’impeto di combattere e di distruggere Lucifero/Satana e i suoi diavoli, anche Michele e i suoi angeli, sono scesi nel luogo dell’inferno, pur nella loro condizione interiore di Essere e di Bene, che li rende immuni alla sofferenza e alla disperazione infernali. Anche se non hanno sofferto la pena del fuoco, però a nostro modesto giudizio, in quel luogo anche Michele e gli angeli buoni hanno provato la terribilità dell’assenza e della lontananza da Dio: in primis, per purificarsi dalla tentazione subita la quale lascia sempre delle impressioni negative nell’anima, pur valendo anche per loro l’assioma morale secondo cui sentire non è acconsentire; in secondo luogo per confermarli nella bontà della loro scelta e per far intendere loro la bellezza e la gioia infinita della vita eterna a cui sono destinati; infine, per certificare nella felicità della loro beatitudine eterna, ossia la “gloria” che non conosce tramonto, quell’ardore struggente, quel desiderio di appartenenza totale a Dio che è l’Eterno Amore, come vien detto anche per i cristiani che cercano il volto di Dio, secondo San Paolo apostolo: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”. (Seconda Lettera ai Corinzi 3,18)
Questa katharsis, questa purificazione angelica, la quale prefigura nell’eternità la discesa negli inferi del Soggetto Radicale che avviene nel tempo della sua esistenza, nel suo esser-ci, è una caduta verticale, un precipitare volontario, accettato e desiderato verso il fondo della propria anima. E lì, per il Soggetto Radicale, è un vedere sé stesso nella corruzione proteiforme del proprio io malato di narcisismo, di egocentrismo, un ricettacolo di tutti i vizi capitali, di tutte le imperfezioni, di tutti i peccati. È la mostruosità della natura umana priva di Dio, la quale al limite del tracollo e dell’estinzione sente il bisogno di Dio e sperimenta l’abbandono di Dio, in una condizione di intensa aridità antropologica che innesca poi l’esplosione di un immenso desiderio di Dio e di totale appartenenza a Lui. È una prova terribile e umanamente di difficile comprensione, che alla fine richiede e dona un’altrettanta resurrezione verticale di uscita dall’abisso, fatta di imperturbabile pace nelle difficoltà e di titanico ardore nella lotta. Ma prima di questa agognata resurrezione, l’anima precipitata verticalmente nel fondo dell’abisso, dovrà poi conoscerne la sua estensione immensa, in una traiettoria di cammino orizzontale, in una nuova tappa, quella della conoscenza di Thanatos, della Signora Morte, di Michele Angelo della Morte, una tappa che la porterà alla kenosis, allo svuotamento radicale del proprio io, affinché la luce della sua anima possa risplendere in tutto il suo fulgore.
San Michele, Angelo della Morte
L’arcangelo Michele è stato de facto l’esecutore della morte di Satana e della sua volontà perversa di prendere il posto di Dio, MIKA’EL ha rappresentato la personificazione vivente di questa morte che dalla sua natura angelica è scaturita per annientare il principe del male. Nell’antichità pagana la Morte, Thanatos, è spesso raffigurata similarmente a MIKA’EL e, al di là delle possibili e reciproche contaminazioni tra l’angelologia ebraica e quella pagana almeno dal punto di vista simbolico, nel cristianesimo la figura di MIKA’EL è stata sempre accostata agli eventi legati alla morte: San Michele assiste i moribondi quale angelo della morte, porta le loro anime davanti al giudizio di Dio, pesa le anime con la bilancia nel giorno del Giudizio universale, quando anche i corpi risorgeranno per unirsi alle anime per una sentenza di vita eterna o di morte eterna. La realtà spirituale dell’arcangelo Michele è così vista come una figura tanatologica, che trova la sua giustificazione teologica e angelologica, nella morte eterna che egli ha inflitto a Lucifero e agli angeli ribelli, chiudendoli nelle cavità infernali.
Thanatos è quindi la parte in ombra dell’arcangelo Michele, che si manifesta nell’estremità finale dell’esistenza umana o si rivela in modo impersonale e/o personale nel travaglio esistenziale del Soggetto Radicale, per confermarlo ontologicamente come angelo guardiano e custode del fuoco della Tradizione. Esistono almeno tre gradi di manifestazione dell’arcangelo della Morte nella vita del Soggetto Radicale, durante il cammino oscuro dello stesso Soggetto Radicale all’interno dell’abisso infernale localizzato nelle profondità della sua anima, dove avviene la sua kenosis, lo svuotamento del proprio io. Tali gradi di manifestazione tanatologica sono i seguenti: senso crepuscolare della vita, presenza oscura, presenza manifesta e non sempre essi si rivelano contigui, conseguenti o sovrapponibili, ma sono tappe di kenosis dettate dalla particolare costituzione di ogni Soggetto Radicale, il quale necessità di purificazioni dell’io diversificate in base all’accumulo di negatività occorse ed assorbite nel corso della propria esistenza.
Nel senso crepuscolare della vita, che è un primo grado di manifestazione tanatologica impersonale, la prova maggiore è data dalla viva percezione dell’inconsistenza e della vacuità della vita umana su questa terra, dal senso della morte che tutto pervade, dall’illusorietà del cuore che si attacca a persone e a beni materiali o spirituali che presto dovrà lasciare, dal vedere l’ombra della morte che si proietta su tutto il creato con i suoi cerei bagliori. Tutto appare all’anima come un deserto arido, come una terra argillosa disseccata e a grandi zolle, come uno spoglio autunno che già sente arrivare i venti freddi e i primi rigori dell’inverno. Anche i rapporti interpersonali diventano aridi, fluidi, impersonali, si vive in uno stato di apparente ebetismo o si viene a soffrire una solitudine esistenziale molto profonda e/o un isolamento da parte di chi ci sta vicino, da chi lavora con noi o da chi ci osserva, inconsci totalmente del dramma interiore e del capovolgimento cosmico interiore che si sta vivendo. Anche la vita familiare, i rapporti parentali sembrano agonizzare e tendenti a creare pena su pena, incomprensione su incomprensione, dramma su dramma, senza possibili vie d’uscita. È un senso della morte che sembra imperare e non finire mai.
La presenza oscura, è un secondo grado di manifestazione tanatologica, di presenza sia impersonale che personale, la quale si caratterizza per uno stato interiore di buio profondo, di una sorta di buia presenza che cammina dentro di noi e ci accompagna, non quantificabile né qualificabile, ma che conduce inesorabilmente e in modo segreto l’esistenza della stessa anima. Tra i tanti effetti di questo sentire interno possiamo sommariamente descrivere: la sensazione della persecuzione, di forze oscure che fanno andare a male qualsiasi rapporto di lavoro, qualunque relazione interpersonale; la certezza di essere perseguitati dalla sfortuna e la convinzione profonda che qualsiasi attività iniziata sia destinata a fallire nei suoi esordi, nel suo proseguire o nella sua fine; il fallimento economico, la perdita di lavoro, di denaro, di affetti, di amicizie, della voglia di continuare a combattere per uscire da questo inferno interiore; infine, il desiderio di farla finita, di togliersi la vita e di togliere la vita altrui, di commettere atti esasperati quasi per infrangere il muro di questa orribile prigione e fuggire verso l’ignoto, in cui si desidera e si vuol essere inghiottiti per sempre. È un senso della morte che paralizza in toto la vita quotidiana e l’intera esistenza della persona, tentandola alla disperazione finale.
La presenza manifesta, è il terzo grado di manifestazione tanatologica, di presenza personale, che appunto si contraddistingue per la rivelazione all’anima della morte come essere personale di natura angelica, che entra nella sua vita, la sconvolge radicalmente e, infine si rivela a lei come compagna della sua esistenza per poi manifestarsi come la parte in ombra dell’arcangelo Michele. È una prova estremamente terribile, la quale se mal gestita può portare a disturbi neurobiologici permanenti, se non alla pazzia, e per cui si richiede l’accompagnamento di un esperto maestro di vita interiore, il quale abbia già sperimentato e superato l’inferno di questa terribile prova spirituale. È un’esperienza che può durare anni, che si svolge in varie tappe, i cui connotati preferiamo rimandare a un nostro precedente articolo, che la descrive alla perfezione, senza stancare, con una parte realizzata sotto forma di racconto e che vi esortiamo vivamente a leggere: https://www.ideeazione.com/thanatos-e-odysseus-langelo-della-morte-nellesperienza-mistica-di-un-soggetto-radicale/ .
Così, nel Soggetto Radicale con la discesa negli inferi, la sua katharsis e la sua kenosis, dynamis necessaria all’acquisizione radicale del suo desiderio di Dio, si attua quel capovolgimento cosmico interiore che lo fa transitare dalla volontà di potenza propria del superuomo alla volontà di totale appartenenza al Divino propria dell’angelo fedele. Un passaggio metafisico di filiazione angelologica, che si concretizza come totalizzante desiderio di Dio, all’interno dell’immane prova dei tre gradi tanatologici di conoscenza impersonale e/o personale di Thanatos, l’angelo della morte.
Nella volontà di totale appartenenza quale superamento metafisico della volontà di potenza, secondo il nostro modesto parere scaturito dalla profonda e serena riflessione intorno al magistero filosofico di Aleksandr Dugin, si attualizza anche la realtà del Soggetto radicale come vincitore di Dio e vincitore del nulla, in quanto la “totalità” espressa dal suo struggente desiderio di Dio, penetra e vince il cuore dell’Essere di Dio – dell’Essere Colui che È – e annienta il non-essere del male, il nulla. Nell’apertura dell’Uovo del mondo e della propria anima verso il basso, nel Sole di Mezzanotte dell’Urgrund antropologico-esistenziale, nel desiderio totalizzante scaturito dalla filiazione angelologica, il Soggetto Radicale ritrova Dio e lo vince con il suo amore.