Controiniziazione: osservazioni critiche su alcuni aspetti della dottrina di René Guénon [6]

10.06.2022

L’assenza di simbolismo controiniziatico nella Tradizione Primordiale

Ora qualche parola sulla Tradizione Primordiale. Dal nostro punto di vista, i contorni di questa Tradizione sono stati delineati con sorprendente chiarezza nelle opere del professore tedesco Herman Wirth, di cui Guénon ha pubblicato una recensione in Études traditionnelles. [Secondo Wirth, tutte le trame mitologiche, i simboli, i dogmi religiosi e i rituali esistenti, e inoltre tutte le lingue e gli alfabeti umani, si sono evoluti da un’unica protoforma calendariale: il Cerchio Sacro, accompagnato da una disposizione di segni proto-runici.[14] Questa protoforma era una descrizione dei fenomeni naturali osservati dall’umanità al Polo Nord, nell’antico continente scomparso di Iperborea (o Arktogaa). Così, da un concetto astratto, la Tradizione Primordiale divenne una realtà tangibile e concreta di un paradigma i cui contorni principali sono stati rivelati in modo estremamente convincente e voluminoso da Herman Wirth.[15]

Ciò che ci interessa nella protoforma calendariale iperborea è quel regno che è associato ai settori oscuri e notturni, corrispondenti alla Notte Polare e al suo simbolismo correlato. È il periodo del solstizio d’inverno, o Grande Yule, la festa principale, centro simbolico e rituale dell’intera struttura della Tradizione Primordiale. La controiniziazione, secondo la definizione di Guénon, è legata agli aspetti negativi del simbolismo universale e, di conseguenza, nel complesso iperboreo corrisponde a quelle realtà che descrivono lo stato della Notte Polare, il declino del sole e altri analoghi simbolici di questo evento. Il serpente e il lupo funzionano spesso come simboli di questo tipo, spesso immaginati come se inghiottissero il sole nell’inverno polare. Questa oscurità è anche identificabile con la Madre Terra, da cui provengono tutti gli esseri viventi e da cui tutti ritornano per rinascere.

Questo quadro primordiale, rigorosamente ciclico e armonioso, ha preceduto la divisione di questo complesso simbolico in elementi positivi e negativi. Il serpente, il lupo, l’oscurità, i regni sotterranei (dove scende il sole), la morte e la notte non hanno significati strettamente negativi. Tutti gli aspetti del ciclo sono ugualmente importanti e necessari: il tramonto è sacro quanto l’alba, e senza la “morte” del sole non ci può essere primavera, né rinascita nel nuovo anno. Pertanto, gli stessi simboli hanno aspetti sia negativi che positivi. Questo è un punto essenziale: non si tratta di un concetto teologico artificiale che cerca di identificare consapevolmente il positivo nel negativo e il negativo nel positivo (come il famoso simbolo cinese dello Yin-Yang), ma piuttosto di uno speciale stato di coscienza che, in linea di principio, non conosce l’idea stessa di negativo. [16] È proprio in virtù di questo stato che la Tradizione è effettivamente Primordiale e Integrale, cioè precedente a qualsiasi interpretazione particolare. La possibilità di diverse interpretazioni di questo simbolismo primordiale è incorporata nel quadro generale, e tali interpretazioni sono ciò che costituisce il contenuto (e lo sfondo) delle religioni e delle mitologie storiche che si sono evolute in complessi simbolici e dottrinali stabili a costo di enfatizzare metafisicamente ed eticamente solo alcuni aspetti dell’unica protoforma iperborea a scapito di altri.

Si può dire che la “Tradizione iperborea” era contemporaneamente duale e non duale, trinitaria e unitaria, monoteista e politeista, matriarcale e patriarcale, sedentaria e nomade. Solo in seguito si è divisa in diversi rami separati e contrapposti.

La Tradizione Primordiale non annulla le differenze metafisiche tra le tradizioni, essendo in questo senso strettamente neutrale. Fornisce un contesto generale; utilizza un sistema di corrispondenze e di serie simboliche che permettono di spiegare gli aspetti più misteriosi e oscuri del simbolismo, delle mitologie, delle dottrine religiose e dei tropi sacri. Per quanto riguarda la metafisica, questa Tradizione Primordiale si limita a essere una mera constatazione di fatto. La questione metafisica raggiunge la sua vera intensità in condizioni completamente diverse, quelle più lontane possibile dall’età dell’oro della civiltà polare. È per questo, infatti, che non si può essere d’accordo con Guénon sull’unità esoterica delle tradizioni, poiché esse non sono unificate sul piano metafisico, ma piuttosto unificate nel senso di discendere da un unico complesso cultuale-simbologico sacro, un linguaggio universale, elemento di base alle origini di tutte le varietà della cultura e della religione umana. L’uso di questo linguaggio può servire a esprimere i più diversi costrutti teologici e metafisici, ma tutti riguardano una stessa struttura archetipica, che si limitano a interpretare e di cui dispongono in modo diverso gli accenti metafisici.

Di conseguenza, il complesso simbolico che verrebbe associato alla controiniziazione, nel suo aspetto più universale, dovrebbe essere quello relativo al mistero iperboreo di Yule. Un’interpretazione rigorosamente negativa di questo complesso potrebbe portare a distorsioni grottesche, al punto che gli aspetti più importanti e sacri vengono trattati come “contro-iniziatici”. Questo, secondo Herman Wirth, è ciò che è accaduto alla tradizione cristiana quando ha equiparato vari tropi iperborei “solari-soglia” a realtà demoniache, anche se i loro simbolismi ricordano in modo impressionante la storia calendariale della nascita del Figlio di Dio (il solstizio d’inverno). Ad esempio, la coda del demone era una vestigia della runa del solstizio solare, che connotava la parte inferiore dell’anno polare e le radici dell’albero del mondo. I calderoni in cui i demoni cucinavano i peccatori derivavano dal tropo del calderone (o recipiente) invernale degli dei – il calderone del dio celtico Dagda che non si svuota mai. Si tratta di un motivo tipico del solstizio d’inverno (e la stessa runa di Capodanno era ancora chiamata Dagda al tempo dei Normanni, ed era raffigurata come una ciotola o un calderone). Le corna del “diavolo” sono un simbolo della resurrezione primaverile del sole, in quanto sono l’analogo simbolico delle due mani alzate – la runa primaverile “Ka””[17] e così via.

Queste considerazioni dimostrano che è impossibile giudicare il carattere controiniziatico di questo o quel simbolo o complesso simbologico su basi puramente formali, poiché nel simbolismo iperboreo, che è alla base di tutto il simbolismo sacro, non esistono simboli di questo tipo.

Conclusione

Riassumendo la nostra breve analisi, dovrebbe essere chiaro che è necessario riconsiderare radicalmente la teoria della controiniziazione di Guénon e considerare attentamente i diversi punti di vista coinvolti in questa questione. Questo problema è strettamente legato ad altre tesi di Guénon che, dopo un attento studio e applicazione a religioni storiche e scuole iniziatiche concrete, si rivelano troppo approssimative, imprecise o francamente errate. Allo stesso tempo, questa revisione non offusca in alcun modo l’alta autorità di René Guénon. Senza le sue opere, le sue tesi e i suoi modelli interpretativi più importanti, l’intero quadro dell’esoterismo e della metafisica sarebbe oggi irrimediabilmente confuso. Non si tratta di sfatare il maestro, come hanno cercato di fare alcuni suoi ingrati allievi, come Frithjof Schuon. Al contrario, è necessario affinare e perfezionare le grandi intuizioni di questo geniale essere umano per ripulire i suoi insegnamenti da tutto ciò che è risultato sbagliato e per far risplendere con nuova forza e freschezza quegli aspetti che sono espressione della verità più pura. Guénon ci ha lasciato in eredità uno strumento inestimabile, un’eccellente metodologia di studio della Tradizione. Grazie a lui, possiamo determinare i denominatori comuni degli enormi materiali di teologia, storia delle religioni, iniziazione, ecc. con cui abbiamo a che fare e che altrimenti rimarrebbero frammenti irrimediabilmente contraddittori che sfidano qualsiasi sistematizzazione (per non parlare delle ricostruzioni neospiritualiste o delle teorie di storici ed etnologi profani). Guénon rimane l’autore principale e fondamentale. Ma se, in seguito a serie riflessioni e ai risultati di un’attenta ricerca, si giunge a conclusioni che non coincidono con le sue opinioni ma le correggono, allora è inutile cercare di nascondersi e fingere che tutto rimanga immutato. La questione della controiniziazione è molto importante ed estremamente rilevante. Così come la questione dell’esistenza (o meno) di una vera unità metafisica delle tradizioni. Questo testo è solo un’introduzione a questo problema, ma come traccia per ulteriori ricerche ha un’importanza colossale. Ci auguriamo di sviluppare questo tema in opere successive.

Nel frattempo, ci permettiamo di osservare che una visione adeguata della contro-iniziazione, un chiarimento della sua natura, della sua essenza e della sua “localizzazione”, ci condurrà ai segreti più terribili che, nascosti dietro il dubbio mito del mondo moderno, sono pronti a trovare la loro incarnazione da incubo, agghiacciante, di fronte a un’umanità irrimediabilmente assopita e sonnolenta che vaga verso il massacro. Contrariamente alle ingenue storie dell'”Ordine dell’Asino Rosso” e degli esotici e relativamente innocui “Luciferiani”, la vera missione di controiniziazione è vertiginosamente su larga scala, efficace e onnipresente. Sta preparando un destino terribile per tutti i popoli e le civiltà. Ma per riconoscere questa catastrofe imminente, è necessario guardare le cose con sobrietà e attenzione, al di là della foschia romantica dell’occultismo residuo e della “trama poliziesca” dei romanzi horror a buon mercato.

Nulla rallegra il “nemico dell’umanità” più dell’assordante stupidità di coloro che decidono frettolosamente di intraprendere il cammino della lotta contro di lui senza soppesare seriamente tutte le circostanze e valutare l’intero volume di quell’insondabile e terribile problema che l’apostolo San Paolo chiamava “mistero di iniquità”.

 

Note

[1] Abbiamo affrontato questo argomento in dettaglio in: Alexander Dugin, Metafizika Blagoi Vesti. Pravoslavny ezoterizm (La metafisica del Vangelo: Esoterismo ortodosso, Mosca: Arktogeia, 1996). Quest’opera contiene un esame dettagliato delle opinioni cristologiche di Guénon che derivano dalla sua appartenenza confessionale all’Islam e non da eventuali corrispondenze tra le loro “verità esoteriche univoche”. In generale, nonostante Guénon abbia scritto molto poco sulla tradizione islamica, la maggior parte delle sue tesi sulla questione esoterica è nata proprio dalle sue posizioni islamiche sulle cose. L’Advaita-Vedanta indù e l’Islam sufi erano i più cari a Guénon. Gli approcci specifici all’esoterismo propri di queste due tradizioni hanno plasmato notevolmente le preferenze e le analisi di Guénon nell’ambito delle religioni storiche e dei loro dogmi. Per quanto logici o armonici possano essere questi due sistemi, essi sono ancora lontani dall’esaurire tutte le possibili varianti delle dottrine esoteriche e iniziatiche.

[2] Si veda: Dugin, Metafizika Blagoi Vesti.

[3] Il cristianesimo è annoverato tra le tradizioni abramitiche solo nella prospettiva islamica e in alcune correnti giudaico-cristiane. L’Ortodossia non può riconoscere tale titolo in quanto è chiaramente consapevole della sua natura spirituale interna di tradizione melchisedecica, pre-abramitica e sovra-abramitica.

[4] Dugin, Metafizika Blagoi Vesti, capitolo 41. [5] Ibidem. `

[6] Anche questo è davvero il caso? La logica della nostra analisi suggerisce che la questione è un po’ più complessa.

[7] Possiamo ricordare il caso del viaggio iniziatico di Dante che, dal fondo del cratere dell’inferno, inizia a scendere lungo il corpo di Satana ancora più in basso, raggiungendo infine non il centro dell’abisso, ma la superficie della terra vicino al Purgatorio e alla collina del paradiso terrestre. Questa categoria contiene anche una serie di simboli che collocano il paradiso sotto la terra, i demoni in cima alle montagne, ecc.

[8] Ad esempio, il marito di Indira Gandhi era un Pars (zoroastriano).

[9] È il caso dei Dönmeh, i seguaci dello pseudo-messia ebreo Sabbatai Zevi, che seguirono esteriormente il loro leader nell’adozione dell’Islam, ma che, alla guida dello Stato turco nel XX secolo, abolirono immediatamente l’Islam come religione di Stato e proclamarono la creazione di una “civiltà di tipo occidentale” in Turchia. Pur essendo assolutamente tradizionali per quanto riguarda la loro comunità cabalistica esoterica e fedeli al contesto generale della diaspora ebraica, i Dönmeh portarono avanti quella che da una prospettiva puramente islamica è una missione anti-islamica e profana.

[10] Si veda Dugin, Metafizika Blagoi Vesti.

[11] Si veda l’articolo “Il messianismo della Cabala: The Metaphysics of the Nation, the Messiah, and the End Times in the Zohar” in Mily Angel 3 (1998).

[12] Ecco un frammento della lettera di Guénon a un certo Hillel nel 1930 che descrive questa storia: “Qui dietro al-Azhar (un’università del Cairo) c’è un vecchio signore che assomiglia in modo impressionante ai ritratti dei filosofi greci antichi e produce strani dipinti. Una volta ci ha mostrato il disegno di un drago con la testa di un uomo barbuto con un cappello del XVI secolo e sei piccole teste di vari animali che spuntavano dalla barba. È particolarmente curioso che questa figura assomigli chiaramente a un’immagine trovata nella Revue internationale des sociétés secrètes come illustrazione del libro L’élue du dragon. Si suppone che questa illustrazione sia stata tratta da qualche libro antico… Ma la vera chicca è che questo signore sostiene di aver visto questa testa altrove e di averla dipinta esattamente come l’originale!”.

[13] Si veda: Mily Angel 1 (1991).

[14] Si veda: Herman Wirth, “Das Heilige Jahr” in Der Aufgang der Menschheit (Jena: Eugen Diedrichs, 1928). Tradotto in russo da Alexander Dugin come “Sviashchennyi God” e pubblicato in Mily Angel 3 (1998). Si veda anche Alexander Dugin, “Kosmicheskii Spasitel'” (“Il Salvatore cosmico”) nello stesso numero.

[15] Si veda Alexander Dugin, Giperboreiskaiia teoriia (“La teoria iperborea”, Mosca: Arktogeia, 1993).

[16] La linguistica contemporanea divide i tipi di pensiero in due varietà principali: “digitale” e “analogico”. Il pensiero “digitale” corrisponde precisamente al profanismo e al materialismo, opera con le categorie astratte di “c’è” e “non c’è” e funziona secondo le leggi della logica formale (legge del terzo escluso, legge dell’identità, ecc.). I filosofi la chiamano “razionalità classica”. Il pensiero analogico è diventato una categoria scientifica nel corso dello studio dei popoli, delle culture e delle mitologie arcaiche “primitive”. Il pensiero analogico corrisponde al mondo della Tradizione e conserva un legame con le tracce della tradizione iperborea. Non conosce la “negazione pura”. “Non” significa quindi “un altro sì”. L’assenza pura è inimmaginabile, poiché il concetto stesso di “assenza” evoca immediatamente l’immagine di “un’altra presenza”. Il pensiero analogico afferma prima l’intera immagine e solo in seguito la decostruisce nelle categorie di “presenza”, “assenza”, “positivo”, “negativo”, e persino “maschile”, “femminile”, “grande” e “piccolo”. Nel pensiero analogico, non esiste una distinzione rigorosa tra il soggetto dell’azione e l’oggetto dell’azione, tra la sostanza e l’attributo, tra l’azione e la sostanza. Così, nel nostro esempio, il sole, la sua scomparsa e la sua assenza agiscono come qualcosa di intero e integrale. L’affermazione del sole contiene già la sua negazione (il tramonto in inverno), e la negazione del sole (l’oscurità invernale) è un’affermazione che testimonia il significato del sole. Sulla base di questa logica, il simbolismo primordiale in linea di principio non era soggetto a interpretazione morale. Si trattava di un sistema di elementi interconnessi, integrali e sacri, nessuno dei quali dotato di una priorità di valore. Tutto in esso era espressione dell’unico Essere sacro, la Luce del Mondo, in diversi stadi della sua pulsazione ciclica.

[17] Si veda Dugin, “Kosmicheskii Spasitel'”, op. cit.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini