COM’È POSSIBILE CHE NELLA “RIFORMA BOSCHI” SIA PREVISTA L’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO IN ASSENZA DEL PARLAMENTO?
Una stranezza balza agli occhi leggendo i tanti articoli che compongono la cosiddetta “Riforma Boschi” su cui, probabilmente, gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi, ed è quella relativa all’elezione del Capo dello Stato.
Come ben sapete, l’elezione del Presidente della Repubblica viene svolta da un’assemblea comune formata da deputati, senatori e rappresentanti delle Regioni. Le maggioranze richieste per le varie votazioni sono espresse dall’articolo 83 della Costituzione, che recita:
La “Riforma Boschi” introduce una modifica alla base elettorale del Presidente della Repubblica, eliminando i delegati regionali - compresi di fatto nel nuovo Senato - e riducendo appunto il numero dei senatori, passando questi da 315 a 100, cui vanno aggiunti i deputati, per un totale di 730 aventi diritto al voto.
L’attuale Costituzione prevede che si cerchi un’ampia maggioranza per l’elezione del Presidente della Repubblica, per evitare che sia la sola espressione degli equilibri e delle forze di governo, perché si cerchi un’ampia convergenza politica su una figura destinata a governare il Paese per un consistente numero di anni - sette - anche a cavallo di più governi e più legislature, e perché faccia da figura di garanzia e di ampia rappresentanza del popolo italiano. Dopo i primi tre scrutini, che richiedono una maggioranza qualificata dei due terzi, si passa ad una semplice maggioranza assoluta, che spesso è stata anche faticosa da trovare nella storia della Repubblica.
La “Riforma Boschi” invece prevede maggioranze diverse:
E’ prevista fino al sesto scrutinio l’esistenza di una maggioranza qualificata (cioè superiore alla maggioranza assoluta), poi dal settimo scrutinio sarebbe sufficiente una maggioranza (seppure teoricamente alta) dei tre quinti, ma non degli aventi diritto al voto bensì dei “votanti”.
Questo significa che una maggioranza calcolata sui votanti non contempla la presenza necessaria del numero legale (cioè la presenza di almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto) e dunque può prevedere di fatto “maggioranze non legali”, che eleggerebbero però il Presidente della Repubblica, che è il “supremo” garante dell’ordinamento costituzionale.
Ora, la scelta di consentire l’elezione del Presidente della Repubblica di fatto a una maggioranza non chiara e potenzialmente illegale apre la strada a scenari imprevedibili, cioè prevedibilissimi: prima di tutto è prevista una maggioranza non valida per l’elezione del Presidente della Repubblica: poiché anche solo per la promulgazione delle semplici leggi è prevista la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, non è possibile che per l’elezione del Presidente della Repubblica possa essere anche solo prevista una maggioranza inferiore a quella assoluta degli aventi diritto, perché la maggioranza richiesta dal settimo scrutinio in poi, quella dei “tre quinti dei votanti”, può voler dire semplicemente che possono essere presenti anche molti meno deputati della sola maggioranza assoluta, e di questi i tre quinti sceglierebbero comunque il Presidente della Repubblica. Estremizzando le possibilità, in casi eccezionali ma non evidentemente impossibili, cinque parlamentari (o anche solo senatori) potrebbero assicurare il “numero legale”, mentre tre di essi potrebbero eleggere un Presidente della Repubblica. E’ mai possibile? E invece è contemplato che possa avvenire, contravvenendo ad un principio politico, quello di cercare “ampie convergenze politiche” per l’elezione del Presidente della Repubblica, e legale-costituzionale, poiché la Costituzione italiana definisce esplicitamente come “maggioranza legale” quella che prevede la presenza di “almeno la metà più uno” degli aventi diritto al voto per rendere valida la votazione. Quindi assisteremmo al possibile paradosso di un Presidente della Repubblica eletto con una maggioranza non legale-non costituzionale. Da questo deriverebbero diverse conseguenze: ne risulterebbe invalidata ovviamente l’elezione del Presidente della Repubblica, eletto con una maggioranza inferiore a quella assoluta (minima), ci potrebbero essere Presidenti del Consiglio nominati da un tale Presidente della Repubblica eletto dunque irregolarmente; lo stesso Parlamento potrebbe attribuire la fiducia ad un Presidente del Consiglio nominato da un Presidente della Repubblica eletto irregolarmente; questo Presidente della Repubblica potrebbe presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura, delegittimando di fatto l’organismo di rappresentanza dei giudici e indirettamente dunque l’edificio giudiziario e perfino legislativo. Un disastro giuridico, per non pensare ad ulteriori e nefaste possibilità: quella di eleggere il Presidente della Repubblica con un numero minimo di parlamentari (abbiamo detto addirittura solo cinque presenti) per eventi “straordinari” come potrebbero essere evacuazioni improvvise della sede della votazione, impossibilità di una parte dei parlamentari di raggiungere o accedere all’aula per “calamità naturali” o per altri impedimenti. Fatto sta che poche persone potrebbero scegliere il Presidente della Repubblica, non essendo appunto richiesto un “numero legale” di presenti al voto. Com’è possibile una cosa del genere? Eppure è prevista dall’articolo 21 della “Riforma Boschi”, che aprirebbe le porte - appunto - alla possibilità, cioè alla legalizzazione, del “colpo di Stato”, perché a nulla valgono le rassicurazioni secondo cui è il Presidente della Camera a valutare la validità o lo scioglimento della seduta, non essendo vincolato appunto a mantenere un “numero legale”, né il fatto che ci possa essere la prassi della presenza “la più ampia possibile” al voto.
Addirittura c’è chi sostiene che si potrebbe - con il referendum - approvare l’articolo così com’è e poi modificarlo, senza alcuna garanzia che questo poi venga effettivamente fatto. Questo aprirebbe la possibilità di procedere all’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica con il solo articolo 21 della riforma approvato.
La questione dunque resta aperta: è prevista la possibilità di eleggere un Presidente della Repubblica con una maggioranza non legale; è possibile aprire le porte ad un “colpo di Stato” legalizzato, mettendolo in Costituzione; è possibile di fatto scegliere di volta in volta quando è il momento di “cambiare” il Presidente della Repubblica, non essendo per nulla comprensibile che cosa possa essere questa “maggioranza dei tre quinti dei votanti”. Questa indefinitezza del quorum rende del tutto aleatorio anche solo l’esercizio della funzione politica: com’è possibile dover o poter procedere in ogni momento ad un elezione del Presidente della Repubblica senza sapere neppure su che base appoggiarla? Ed inoltre: se qualcuno intendesse approfondire il concetto di “votanti” potrebbe scoprire che quei votanti potrebbero anche non essere i parlamentari, ma i cittadini-elettori (il corpo elettorale insomma) dovendosi così procedere ad elezioni dirette del Presidente della Repubblica e chiedendo una maggioranza molto alta per eleggerne uno (i tre quinti dei votanti, cioè il 60% dei voti) per convalidare l’elezione. Questa sarebbe l’introduzione subdola del presidenzialismo, cioè dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, con il cambio di una sola parola di un comma, senza farne menzione esplicita, e senza calcolare tutti gli altri effetti sull’intera architettura costituzionale. Come sia possibile tutto ciò o se sia lo scherzo di qualcuno non è dato sapere, ma non si tratta certo di una svista, essendo l’elezione del Presidente della Repubblica un atto importante e fondamentale della vita del Paese.
Qualcun altro invece ha sostenuto che la maggioranza assoluta sarebbe comunque garantita dall’articolo 64 della Costituzione, che recita:
Senza sapere che “salvo che” significa “tranne, a meno che”, e dunque esclude la prima soluzione (quella della maggioranza assoluta dei componenti per la validità e della maggioranza dei votanti per l’approvazione) perché ne è prevista una seconda, la “maggioranza speciale” che nell’attuale Costituzione prevede sempre, appunto, maggioranze più qualificate che la semplice maggioranza assoluta.
Che poi in sede di votazione del Presidente della Repubblica si debba o possa procedere ad interpretazioni di questo articolo appare paradossale ed inquietante, oltreché inutile: se fossero presenti 300 deputati invece dei 730 nominali la seduta sarebbe regolare, stando a questa riforma, e di questi 180 potrebbero eleggere un nuovo Presidente della Repubblica, ben al di sotto, appunto, almeno della maggioranza assoluta di 366.
Come si esce da questo pasticcio?
Il Governo non può esimersi dal promulgare il referendum costituzionale, perché incorrerebbe così nel reato di “attentato alla Costituzione”, essendo state raccolte tra i cittadini le firme necessarie per promuovere il referendum confermativo e dunque il diritto al referendum sarebbe già sancito.
L’unica soluzione, stante il fatto che è stato approvato per il voto referendario un testo almeno per questa parte palesemente incostituzionale, è che il Presidente della Repubblica si rifiuti di promulgare il decreto di indizione del referendum - quello di conferma della data scelta dal Consiglio dei Ministri -, bloccando così definitivamente il referendum e la stessa riforma, impedendo poi che il reato di “attentato alla Costituzione” lo compia lui stesso, incorrendo in entrambi i capi di imputazione previsti per la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica come dal dettato dall’articolo 90 della Costituzione.
Non è dunque possibile portare al voto una simile riforma - essendo tra l’altro il quesito semplice ed onnicomprensivo - perché si rischierebbe di poterlo appunto approvare, né si potrebbe sperare di portarlo al voto sperando che passi il ‘no’.
Vicenda incredibile, frutto di una forzatura (di che tipo?) non calcolata nelle sue conseguenze. A giovamento di chi o di che cosa, resta un mistero.