Breve Nota tra Rivoluzione e Rivelazione. Noi, rivoluzionari o apocalittici?

09.02.2024

«La nostra Patria per noi sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro Re. (…) Loro[1] l’hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i piedi. È vecchio come il diavolo il mondo che essi dicono nuovo e che vogliono fondare senza la presenza di Dio. (…) Ma di fronte a questi demoni che rinascono ogni secolo, noi siamo la giovinezza. Signori! Siamo la giovinezza di Dio!». [2]

Françoise-Athanase Charette de La Contrie (1763-1796)

Comandante dell'esercito cattolico e reale di Francia

Martire al tempo della Rivoluzione francese

Incipit

    La seguente Nota, vuol essere un umile e dimesso contributo allo sviluppo di una riflessione sulla Quarta Teoria Politica radicata nel principio di realtà e innestata su di esso. È un pensiero che viene da lontano, dalle profondità dell’anima (Urgrund), dalla sua memoria genetica nella quale è stabile la connessione con la Stirpe degli Indoeuropei – (a noi, il termine inconscio “suona male” essendo figlio della struttura mentalista pseudo psichica freudiana, che sostituisce utopisticamente con la triade conscio-subconscio-inconscio, la struttura olistica corpo-mente-anima della Tradizione perenne quale riflesso del Divino) –, e in cui l’intuizione del proprio Sé si rende viva per mezzo di archetipi divini, di simboli spirituali, di miti atemporali che si reificano attraverso idee e indissolubili azioni nelle quali si esprime la “realtà”, ossia viene chiarificata la concretezza del Logos indoeuropeo.

    È una riflessione scevra dalla malattia dell’utopia, dal virus di quella Rivoluzione Antimetafisica (Dugin 2021)[3] sorta nel Rinascimento, per cui l’Ego diventa il centro del cosmo sostituendosi a Dio. Un ego stralunato dall’utopia di ciò che passionalmente vuole, e che pur non esistendo vuole che sia, e che dunque devasta la società affinché la sua utopia finalmente sia. Credendo in questo modo di combattere le tremende ingiustizie presenti nella società, ma in realtà favorendo solamente la giustificazione sociale dei vizi capitali, l’annientamento del Sacro e dell’autorità divinamente costituita.

    Questa malattia dell’Ego testé descritta è in sintesi la storia che accomuna le Tre Teorie Politiche della Modernità – liberalismo, comunismo, fascismo – che partendo dalla presunta difesa di giusti principi quali libertà (1TP), giustizia sociale (2TP), stato corporativo (3TP), tuttavia non aderiscono più all’Ordine Divino della società tipicamente sacrale indoeuropeo. Ma denunciandone la totale decadenza, la sua conclamata antistoricità e rinunciando così a rinnovarlo e a ricostruirlo dall’interno, queste tre teorie politiche propongono violentemente in modo antagonista un nuovo ordine del mondo e un uomo nuovo su fondamenti anti-sacrali o pseudo-sacrali le cui radici promanano dal satanico, si concretizzano col peccato personale e con l’accettazione del male sociale, si realizzano con la strutturazione sociale dei vizi capitali, distruggendo così per gradi e definitivamente la Legge naturale e il Diritto divino su cui per lunghi secoli si era appoggiata la vita e la speranza dei popoli europei, quella sacra lex per cui l’ethnos a tutti gli effetti era considerato come il Popolo di Dio, il Popolo che vive davanti al volto di Dio, il Popolo guidato da Dio.

La necessità di una scelta

    Forse, per tutti noi Ordinovisti [con il "noi", l'Autore si riferisce a se stesso e ad alcuni della sua generazione ed esperienza politica, N.d.R.] che in continuità ideale siamo transitati dalla Terza Teoria Politica alla Quarta Teoria Politica, sotto l’egida dell’Imperium ghibellino evoliano, è giunto il tempo di guardarci in faccia, di dire le cose come stanno, di dare alle cose il loro vero nome, di avere il coraggio di abbandonare il linguaggio o meglio la vulgata rivoluzionaria che da sempre ci accompagna. Abbiamo avuto la forza non comune di andare oltre parole quali camerata, cameratismo, soldato politico, termini molto pregnanti dal punto di vista umano e metapolitico. Li abbiamo a fatica sostituiti con espressioni altrettanto ricche ma ancora poco radicate quali consimile, fratria, soggetto radicale, con uno sforzo esistenzialmente immane ma guidati dalla percezione viva del futuro Imperium che continua ad essere la nostra weltanschauung e che appare ininterrottamente davanti ai nostri occhi come unica realtà futura possibile di pacifica convivenza tra i popoli in un futuro mondo multipolare, e come sogno raggiungibile di una filosofia armata.

    Poi, però, ci siamo fermati lì, e pur essendoci aperti con generosità alla diversità umana e metapolitica di altre persone provenienti da realtà e da ambienti politico-sociali diversi, comunque ci siamo arenati, forse pensando di avere già pagato un prezzo troppo alto in termini esistenziali e psicologici, dovendo sì superare la nozione ma non certo il senso profondo del cameratismo, il quale rimarrà sempre nelle radici profonde della nostra spiritualità guerriera, perché il nostro onore è la fedeltà e la fraternità del sangue è il nostro patto mistico, è la mistica del Santo Graal.

    Se siamo quindi, e lo siamo, i discendenti dei figli del Sole, se in noi pulsa ancora lo spirito (il logos), la legge interiore (il nomos) e il DNA (il bios) degli kshatriya, dei guerrieri indoeuropei, allora dobbiamo continuare in questa lotta di purificazione ideologica al seguito del pensiero di Aleksandr Dugin, secondo cui il «(…) problema (…) che quasi tutto ciò che continuiamo a pensare appartiene al retaggio delle prime tre teorie politiche»[4], e fare una scelta del cuore tra due realtà metapolitiche che la Storia, dalla Modernità in poi, ha visto essere opponenti: Ordine Divino contro Rivoluzione.

    È inutile quindi appellarsi ad una etimologia accomodante – seppur legata ai nobili ricordi del cuore e dell’anima per cui ognuno di noi ha dato il sangue, la vita, l’onore, la fama, la reputazione e ci ha procurato migliaia di morti sul selciato durante tre guerre civili – per cui si vuole a tutti i costi salvare il sostantivo Rivoluzione col significato di un ritorno all’Ordine, quando invece la storia della Modernità ci ha chiarificato senza ombra di dubbio che il vero significato di Rivoluzione (dal tardo latino revolutio, da revolvere), è inequivocabilmente quello di un interminabile rivolgimento dialettico di ordine storico e politico-sociale privo della presenza del Sacro, che porta all’esito finale della liquidità del Postmoderno e della sua opposizione brutale all’Ordine Divino proprio della struttura sociale e politica degli Indoeuropei.

    Certo, pur ricordando la gloriosa insurrezione di Vandea e di Bretagna contro la Rivoluzione francese, non è certo con il sostantivo reazionario demaistriano “Controrivoluzione” come contrario della Rivoluzione e non Rivoluzione di segno contrario, che possiamo reggere davanti all’urto satanico della Rivoluzione; né tanto meno con la compromissoria terminologia di Rivoluzione conservatrice possiamo dare nuovo corso all’Imperium solare.

    Solo concependo la Rivoluzione come il disegno satanico attuato nella Storia per scalzare l’Ordine Divino presente nella Storia, possiamo trovare un sostantivo che gli tenga testa: esso è Rivelazione! Sì! Perché la Rivelazione è l’attuazione nella Storia dell’Ordine Divino e la Rivoluzione è l’anti-Rivelazione. O meglio, per usare termini duginiani, dobbiamo fare un’iniezione di realtà e comprendere che la Rivoluzione è il sosia, il doppio nero della Rivelazione. Infatti, come Lucifero ha tentato di prendere il posto di Dio nella gloria volendo essere uguale a Lui, così nella Storia Lucifero ha operato in modo subdolo e violento per edificare l’anti-Ordine della Rivoluzione che rappresenta il sosia e il doppio nero dell’Ordine Divino, della Rivelazione: quindi Lucifero è la scimmia di Dio e la Rivoluzione è la scimmia della Rivelazione. Chi vuol capire, capisca… Imperium e Rivoluzione sono ontologicamente incompatibili.

    La Rivelazione, in lat. Revelatio, in gr. Αποκαλυψη (Apokàlypsi) è quindi il corrispettivo di Apocalisse. Se sembra giusto chiamare rivoluzionari i seguaci della Rivoluzione, nominare altresì come rivelazionari i fedeli kshatriya della Rivelazione si mostra sinceramente difficile e si presta ad equivoci (anche per le sue eventuali implicazioni teologiche con il fenomeno delle rivelazioni private). L’Apocalisse invece ci rivela la lotta dei tempi ultimi, il Tempo della Fine, il tempo escatologico appunto. Gli ultraguerrieri escatologici e angelologici, gli kshatriya del tempo della fine sono i Soggetti Radicali, quindi nominare i seguaci della Rivelazione come gli “Apocalittici”, risulta a nostro modesto avviso un’affermazione perentoria e un salto quantico che ogni buon Ordinovista che ha scelto la continuità ideale dovrà prima o poi attuare.

    Revelatio sed non Revolutio. Apocalypsis sed non Revolutio. Non “rivoluzionari” quindi, ma “apocalittici”. Apocalittico è l’Uomo in piedi in mezzo alle rovine, è l’ultraguerriero escatologico del tempo della fine, colui e coloro che una volta finito per sempre il tempo del Kathécon si troveranno davanti al drago satanico, all’Anticristo – il falso profeta – e alla Bestia per scatenare contro di loro una guerra cosmica, metafisica, angelologica e teologica.

    “Apocalittico”, diventa così un aristocratico aggettivo della nuova casta guerriera del futuro Imperium, che inteso dal punto di vista metapolitico è capace di sostanziare e di esprimere con più vigore la realtà metafisica e spirituale del Soggetto Radicale.

    «I cieli devastati da giudici plebei

dall’odio degli uomini dal pianto degli dei

Nasce un bel fiore che i cavalieri

portano sui mantelli è il bianco giglio

che ha profumato il campo dei ribelli

    Siamo di Francia ladri e cavalieri

Nella notte noi andiamo

Il vento freddo del terrore

non ci potrà fermare

Se un bianco fiore nasce in petto a noi

è sangue di chi crede ancora

come il bel simbolo d’amor che al Trono ci legò». [5]

Pino Tosca

 

[1] “Loro…”, sono i rivoluzionari francesi, che non hanno un’idea concreta di Patria basata sul principio di realtà come nella visione di Tradizione degli insorti controrivoluzionari Vandeani e Bretoni, ma ne hanno una idea “astratta”, un “culto” ideologico, una nuova “religione”, che prende il posto di Dio. Questo nuovo concetto di Patria, istituzionalizzato da Napoleone è presente poi in tutti i nazionalismi, in particolar modo nel Risorgimento italiano e nella conseguente dottrina del Fascismo, che nel pensiero di Giovanni Gentile realizza il compimento del Risorgimento e arriva a far coincidere questa idea di Patria con l’idea di Stato, coniugando così libertà e autorità. (N.d.R.).

[2] Cit. in M. de Saint Pierre, Monsieur de Charette chevalier du Roi, La Table Ronde, Parigi 1977, p. 15.

[3] Intervento di Aleksandr Dugin alla Conferenza online POLIS E IMPERO. Con la partecipazione di Lorenzo Maria Pacini, Direttore editoriale di Idee&Azione, Referente italiano del MIE – Movimento Internazionale Eurasiatista, e con Giacomo Maria Prati, valente scrittore e collaboratore di Idee&Azione. Evento registrato in data 16 luglio 2021, sul Canale YouTube di Idee&Azione: https://www.youtube.com/@ideeazione5559.

[4] Dall’Intervista di Andrea Scarabelli ad Aleksandr Dugin del 25 giugno 2018: «Evola, il populismo e la Quarta Teoria Politica», Il blog di Andrea Scarabelli, https://blog.ilgiornale.it/scarabelli/2018/06/25/aleksandr-dugin-evola-il-populismo-e-la-quarta-teoria-politica/.

[5] Ritornello tratto da La Vandeana, Inno di Ordine Nuovo.

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