Antonio Gramsci: faro del Mondo nuovo

03.09.2024

“Uccidete pure me, ma l’idea che c’è in me non l’ucciderete mai”

Giacomo Matteotti

Antonio Gramsci è uno dei più grandi pensatori che l’Italia (e il mondo intero) abbia mai visto nascere.

Un pensatore che potrebbe essere affiancato da decine di titoli ulteriori, come politico, filosofo e scrittore.

Un uomo che ha dato la vita per i suoi ideali e ha speso l’intera sua esistenza per far maturare concetti fino ad allora poco conosciuti e compresi nel panorama globale.

Una vita, dunque, al servizio dell’altro, per la costruzione di una società più giusta e di un mondo migliore. Senza mai dimenticare le persone che ha amato fino all’ultimo istante della sua vita (alle quali scriveva ricorrentemente anche dal carcere e dalle quali attendeva con trepidazione le lettere di risposta) e certamente anche grazie alle quali è riuscito a sopportare anni di dura prigionia fascista: Tania, Iulca, Mamma, Delio, Giulia, etc.[1]

Prigionia (fino alla morte) considerata dal regime che ha governato l’Italia dal 1922 al ’43 come l’unica arma in grado di fermare l’impeto delle idee di Antonio Gramsci.

Un’onda travolgente che comunque non si è spenta all’interno delle quattro mura dove egli è stato relegato per troppi anni, ma che ha esondato inarrestabile travolgendo i quattro angoli del globo.

Anche oggi, dunque, a distanza di quasi 90 anni dalla morte dell’illustre comunista sardo (capo indiscusso dei comunisti italiani fin dalla nascita del PCI nel 1921), i suoi concetti, i suoi pensieri, le sue proposte e la sua personalità vengono studiati, analizzati e spesso adottati nell’organizzazione delle società nel suo complesso.

Studiati e analizzati non solo da chi si ispira alla sua persona e ai suoi ideali ma anche da chi si trova agli antipodi di tali ideali: in primis le élite liberaldemocratiche che guidano il c.d. “Occidente politico”.

Studi e “messa a terra” che hanno visto nell’America Latina e Caraibi uno dei terreni più favorevoli, grazie a movimenti popolari e governi che hanno sempre considerato le analisi di Gramsci un faro imprescindibile.

Alcuni esempi:

  • Il Presidente venezuelano Maduro, durante la sua prima visita a Roma, come primo atto visitò la tomba del grande pensatore sardo.
  • I centri studi cubani sono pieni di analisi e approfondimenti del pensiero gramsciano. 
  • Il socialismo del XXI secolo (latinoamericano e caraibico) e la stessa Teologia della Liberazione non sono scevri degli studi gramsciani.

Ma quali sono, dunque, i lasciti “intellettuali” di Antonio Gramsci?

Se gli studi e gli approfondimenti di questo grande pensatore si trovano scritti in decine di libri, credo sia qui e ora utile riportare alcuni dei temi che egli ha trattato durante gli anni di vita e che gli hanno certamente garantito la “vita spirituale” eterna:

 

  • Egemonia e dominio: Un sistema economico – sociale non può basarsi sul dominio, bensì deve farlo sul consenso. Il dominio senza consenso da luogo all’autoritarismo, al malessere nella società e destina i governanti al crollo. C’è dunque necessità del consenso e della capacità di direzione ideale e morale sulle altre classi sociali. Una classe sociale (per Gramsci ovviamente il proletariato) per ottenere le sue rivendicazioni (in primis una nuova formazione economico – sociale) deve fare egemonia. Deve essere egemone prima e dopo la presa del potere, in primis nella società civile. Una grande e forte egemonia dal punto di vista ideale, politico e culturale. Dunque, nelle convinzioni e nella proposta di Gramsci il proletariato deve essere egemone nella società civile anche prima della presa del potere, senza poi imporre le sue idee una volta raggiunto quest’ultimo (in quanto si tratterebbe solo di dominio). In tutto questo, per Gramsci il ruolo del Partito e degli intellettuali è fondamentale.

Dunque, la classe che aspira a prendere il potere per realizzare le sue aspirazioni deve intraprendere una grande battaglia culturale e ideale in tutta la società, cercando di rendere egemoni le sue idee.

In questa sua analisi, il pensatore sardo mostra dunque che non basta la battaglia a livello di “struttura” (cercando dunque di modificare i rapporti economici) ma serve anche quella all’interno della “sovrastruttura” (cultura, etica, politica, etc.).

Gramsci condanna anche le semplificazioni deterministiche e le concezioni dogmatiche (la struttura determina la sovrastruttura, in un rapporto di dipendenza meccanica) di certi studiosi che travisano lo stesso pensiero di Marx. Egli invece spiega che il filosofo tedesco definisce si le sovrastrutture come “apparenze” ma solamente per semplificare il suo pensiero e renderlo fruibile al maggior numero di persone possibile. In realtà, si comprende bene che Marx con il termine “apparenze” vuole solamente sottolineare la “storicità” delle sovrastrutture e non negarle o renderle assolute.

  • Il ruolo degli intellettuali: La questione degli intellettuali si salda strettamente a quella dell’egemonia e del consenso. Una società politica (o un Partito o una Classe), per non esercitare solamente un dominio coercitivo, ha bisogno anche degli intellettuali. Intellettuali che aiutano a creare consenso e dunque a fare egemonia. Tale società deve dunque guadagnarsi l’adesione di più intellettuali possibili, siano essi “organici” (espressione diretta di una determinata classe e dei suoi interessi) che non. È solo così che una società politica (aggregando gli intellettuali e le organizzazioni della società civile) può governare rifuggendo il “dominio” ed essendo vera “dirigenza”. Una società politica dirigente che dunque sa svolgere un ruolo realmente progressivo, che riesce davvero a far avanzare la società attraverso il consenso.

Una volta preso il potere, gli intellettuali hanno una funzione decisiva nell’egemonia esercitata dal gruppo dirigente, ossia quella organizzativa e “connettiva”. Essi hanno la funzione di organizzare l’egemonia sociale di chi guida l’intera società, e lo possono fare perché godono di prestigio presso la stessa.

 

  • Il ruolo del Partito: Gramsci introduce la questione del Partito con un’analisi del “Principe” di Machiavelli. Egli spiega che questo “Trattato di Scienza della Politica” è rivoluzionario, in quanto si rivolge alla classe rivoluzionaria del tempo (cioè il popolo, la Nazione italiana, la democrazia cittadina che esprime dal suo seno i Savonarola e i Pier Soderini). Esso ha dunque un carattere essenzialmente rivoluzionario, come l’odierna “Filosofia della Praxis”. Con quest’ultima si intende una teoria legata indissolubilmente alla pratica; una nuova concezione del mondo alternativa e antagonista a quella dominante (nel XXI secolo il capitalismo neoliberista), non solamente astratta e teorica ma legata all’obiettivo di accumulare le forze necessarie per portare a termine la rivoluzione. Dunque, una concezione del mondo che si incarna nel proletariato grazie al lavoro degli intellettuali organici e del conflitto sociale. In conclusione, si può dire che solamente la saldatura e la successiva unità indissolubile tra la formazione e la lotta di classe possono far prendere consapevolezza agli sfruttati della loro condizione di subalternità e a cercare di emanciparsi.

Tutti questi sforzi non possono però portare concreti risultati se un “moderno” Principe (ossia il Partito, dunque non un uomo solo al comando) non si costituisce e non prende il suo legittimo posto nella concreta realtà del presente. Il Partito è la forma di organizzazione più elevata del Soggetto Rivoluzionario, è l’intellettuale collettivo che è spinto a divenire Stato egli stesso e a modellarlo a sua immagine e somiglianza (riunendo in sé tutte le esigenze e le aspirazioni della lotta generale). Il Partito deve essere un intellettuale collettivo, un organismo, un elemento sociale complesso nel quale una volontà collettiva si concretizza. Esso deve essere intellettualmente e moralmente unificante, con una forte leadership e disciplina. Non può e non deve però limitarsi ad essere formato da “rivoluzionari di professione”, ma deve essere molto più ampio. Il suo ruolo principale è quello di guidare la nuova classe sorta nel seno dei presenti rapporti di produzione.

Nella sostanza, nella prima fase (quella della “Guerra di posizione”), il compito principale del Partito dev’essere quello della promozione di una riforma intellettuale e morale delle masse. Ciò serve anche al Partito per espandersi, per fare da principale intermediario tra la fase iniziale della formazione della volontà collettiva e la sua accettazione da parte di tutta la società, costruendo dunque EGEMONIA. Il Partito, quindi, ha come obiettivo quello di educare e trasformare le masse in agenti coscienti del processo rivoluzionario.

Nel Partito deve vigere il “CENTRALISMO DEMOCRATICO”, ossia la formula migliore per garantire una dialettica sana e propositiva all’interno e fra i 3 livelli dai quali il Partito è costituito:

  • Le persone comuni: la base sociale del Partito che partecipa ai lavori basandosi su disciplina e lealtà.
  • I dirigenti: i quadri, la direzione del Partito. Essi sono l’elemento principale di coesione, con una forza altamente coesiva, centralizzatrice e creativa.
  • Gli “intellettuali organici”: essi esercitano una funzione di intermediazione, permettono l’interazione e l’integrazione politica, morale ed intellettuale fra le masse e la direzione.

Una volta preso il potere, il Partito si pone come un “moderno Principe”, un soggetto “assoluto” che fa da guida ed indirizza la società. Ovviamente, una volta preso il potere la riforma “intellettuale e morale” si concretizzerà in primis nella riforma economica della società, per il miglioramento delle condizioni di vita concrete degli strati più depressi della società e per la loro “rinascita interiore”. Per i comunisti, il Partito deve essere considerato come l’organismo nel quale e grazie al quale si concretizza la volontà collettiva. Il Partito è un esercito, un’avanguardia consapevole, organizzata e disciplinata, non chiusa in sé stessa ma destinata ad estendersi e a ramificarsi conquistando nuovi consensi.

  • Centralismo democratico: è necessario che il Partito si basi sul centralismo democratico, ossia un centralismo in movimento, un continuo adeguamento dell’organizzazione al movimento reale, un contemperare le spinte dal basso con il comando dall’alto. Un inserimento continuo degli elementi che sbocciano dal profondo della massa nella cornice solida dell’apparato di direzione che assicura la continuità e l’accumularsi delle esperienze. Non serve un consenso passivo delle masse verso il vertice, bensì c’è bisogno di un consenso attivo e diretto. La necessaria coscienza collettiva forma (e si forma essa stessa) le varie manifestazioni di idee e la loro successiva sintesi unitaria.
  • Blocco storico: Siamo in presenza di un blocco storico quando, all’interno di determinate situazioni storiche, si stabilisce un rapporto omogeneo, un legame organico, un’effettiva interazione tra struttura e sovrastruttura (in sostanza fra “base economica” e “istituzioni politico – sociali” dominanti). Tale saldatura è frutto dell’azione della classe sociale egemone, la quale ha il compito di dirigere le attività sia nella struttura che nella sovrastruttura. Dunque, tale nozione è collegata e connessa all’esercizio e all’organizzazione del potere da parte delle classi dominanti. Tale blocco storico non è sempre presente e non va confuso con la “formazione economico – sociale”, quest’ultima invece sempre esistente.
  • Stato e Società civile: lo Stato deve essere visto e considerato come un “equilibrio di compromesso” fra i gruppi sociali. Esso risulta dall’unità di società politica e civile (quest’ultima intesa come l’insieme degli organismi volgarmente detti “privati”, come la Chiesa, i sindacati, etc.) configurandosi concretamente come “egemonia corazzata di coercizione”. Dunque, almeno nei Paesi più avanzati, lo Stato non è un mero strumento di repressione di una classe (come il vecchio Stato liberale ottocentesco), ma comprende politica ed economia da un lato e società politica e civile dall’altro (uno “STATO INTEGRALE”). E a proposito della visione liberista dello Stato e della società, Gramsci la stronca così: “Si specula inconsciamente sulla distinzione tra società politica e società civile, affermando che l’attività economica è propria della società civile e la società politica non deve intervenire nella sua regolamentazione. Ma in realtà questa distinzione è puramente metodica, non organica, e nella concreta vita storica società politica e civile sono una stessa cosa. D’altronde anche il liberismo deve essere introdotto per legge, per intervento cioè del potere politico.”

Società politica e civile formano la sovrastruttura e fanno parte a pieno titolo dello Stato.

In più, lo Stato non produce la situazione economica ma ne è l’espressione. Più precisamente, però, si deve parlare dello Stato come agente economico, in quanto fa comunque parte di questa situazione.

Negli auspici di Gramsci, dunque, l’egemonia comunista va promossa all’interno della Società civile (la quale fa parte dello Stato) e, una volta raggiunta, si può dare vita a quel “potere egemonico” (guidato dal Partito Comunista come avanguardia del proletariato, nonché da quest’ultimo) che ha alla base il concetto di consenso. Infine, il “soggetto – classe” di questo potere egemonico, per essere davvero egemone non può che farsi Stato.

  • Coscienza di classe: Fondamentale ma non scontata. Infatti, senza un efficace lavoro il proletariato (la classe di lavoratori salariati sfruttati dal capitale) non ha coscienza di classe e dunque non è consapevole né della sua condizione di subordinazione né di ciò che può fare per cambiare la situazione che vive. Il ruolo del Partito (in quanto avanguardia organizzata di questa classe) e degli intellettuali (in primis quelli organici) è quindi fondamentale per condurre i subalterni ad una superiore concezione della vita, creando anche un “blocco intellettuale – morale” che renda politicamente possibile un progresso. Questo è lo strumento e il primo passo necessari per far riconoscere i proletari in un’unica classe che operi per unire la giusta teoria e la giusta pratica (dando dunque vita a quella “Teoria della Praxis” marxiana).
  • Educazione e Scuola: Gramsci considera fondamentale la cultura e il ruolo della scuola. Egli descrive la scuola come “Struttura Oggettiva”, luogo di elaborazione culturale. Egli aborrisce la scuola autoritaria e discriminante (come quella del suo tempo.... e non solo), fa presente che tutti i giovani devono essere uguali dinnanzi alla cultura, è contrario alla divisione tra scuola classica e professionale. Egli sostiene una scuola “unica, iniziale, di cultura generale, umanistica e formativa, che porti allo sviluppo intellettuale e manuale (tecnico)”.[2] Dunque, una SCUOLA UNITARIA. Accanto a ciò si dovrebbe affiancare, nella formazione, anche il Partito inteso come intellettuale collettivo. Quindi, un rapporto strettissimo fra cultura, società e politica.

In conclusione, dunque, è possibile affermare che l’esempio e il pensiero di Antonio Gramsci sono imprescindibili per cercare di comprendere il mondo (e provare a cambiarlo).

Un lascito senza tempo come strumento indispensabile per almeno provare a non essere gli “utili idioti” di un sistema interessato solamente a perpetrare sé stesso a vantaggio di pochi “eletti”.

“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza.

Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo.
Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.”

Antonio Gramsci

Fonte


[2] Carlo Ricchini, Eugenio Manca, Luisa Melograni, Gramsci, le sue idee nel nostro tempo, Editrice L’Unità, Roma, 1987.